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Chiara Zappa racconta i semi di pace in Terra Santa

L'intervista alla giornalista Chiara Zappa sul suo libro "Gli irriducibili della pace"

La copertina del libro | La copertina del libro | Credit Terra Santa Edizioni La copertina del libro | La copertina del libro | Credit Terra Santa Edizioni

“Layla è palestinese, Robi è israeliana. Entrambe hanno perso un figlio nel conflitto che da decenni sconvolge il Medio Oriente. Si sono incontrate nell’associazione Parents’ Circle, un forum di famiglie israeliane e palestinesi che da anni promuove percorsi di riconciliazione fra persone che hanno perso un congiunto nella lotta… Questa è solo una delle potenti storie di riconciliazione e di speranza raccontate in questa inchiesta. Storie di chi lavora per la pace all’interno di coraggiose organizzazioni non governative, apolitiche, apartitiche, laiche, in cui sovente collaborano israeliani e palestinesi, spesso ostacolati dai loro stessi governi… Ma non tutto è perduto: oltre il trauma e il dolore, ci sono ancora tante figure di ‘irriducibili’, da una parte e dall’altra, che si rifiutano di arrendersi alla logica dello scontro e credono nell’unica strada della convivenza possibile. Queste sono le loro storie”. Così scrive la cantante israeliana Achinoam Nini, in arte Noa, nell’introduzione del libro della giornalista Chiara Zappa, ‘Gli irriducibili della pace. Storie di chi non si arrende alla guerra in Israele e Palestina’: dieci storie che vanno oltre il dolore e il trauma e che raccontano il rifiuto della logica dello scontro per abbracciare quella della convivenza possibile. 

 

Nel libro si racconta di Aziz e del suo progetto visionario di aprire una piccola agenzia di viaggi che, attraverso il turismo, aveva l’ambizione di fare cadere i muri di diffidenza reciproca; di Layla, che nella Cisgiordania assediata osa parlare di perdono nel nome di un figlio strappatole ancora in fasce; di Ariella e Reem, donne per la pace sui due lati opposti del muro; di Samah e Nir, abitanti di un villaggio bi-nazionale che è un sogno ostinato in mezzo alla tempesta. E poi di Chen, un tempo ufficiale dell’esercito israeliano che ha abbandonato la divisa e combatte l’occupazione attraverso il teatro; di suor Nabila, che per mesi ha cercato di mantenere viva l’umanità sotto le bombe di Gaza; e di Daoud, che nella sua fattoria minacciata dalle ruspe e dai coloni ha creato un presidio di dialogo e di resistenza pacifica. Essi sono loro gli ‘irriducibili della pace’, che “spesso sono liquidati come folli, ingenui, illusi. Ma l’utopia che inseguono è in realtà la forma più chiara di pragmatismo… Ho ascoltato le loro storie ed ho deciso di raccontarle. Perché sono questi testimoni, e non i predicatori dell’odio, le avanguardie dell’unico futuro possibile nel cuore ferito del Medio Oriente”. 

 

Alla giornalista Chiara Zappa chiediamo di raccontarci gli ‘irriducibili della pace’?

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“Sono persone che in mezzo al conflitto ed all’odio hanno scelto un’altra via, che è quella del dialogo e della comprensione reciproca, che conduce ad una giustizia  per tutti per tutelare la dignità della persona. Hanno scelto di lottare insieme per un futuro condiviso, che è l’unico possibile per la Terra Santa. Troppo spesso queste persone sono liquidate come illuse oppure folli, ma in realtà quell’utopia che inseguono è la forma più chiara del loro pragmatismo, cioè sono loro le avanguardie del futuro; sono quelli che propongono che sia l’unica soluzione percorribile in quella Terra”.

 

In quale modo è possibile raccontare la riconciliazione?

“Ho raccontato la riconciliazione partendo dalle singole storie delle persone, che hanno compiuto questa scelta con fatica ed a volte pagando il prezzo dell’incomprensione da parte della propria comunità di appartenenza e persino di emarginazione, in alcuni casi. Però sono riusciti ad ottenere risultati nella loro storia personale; quindi rappresentano una via da seguire. La scelta di raccontare le singole storie all’interno della Storia è la via che ci permette di capire che certe scelte sono davvero possibili nella vita reale”.

Come si può cercare la via del dialogo?

“Le persone da me intervistate rispondono a questa domanda, affermando che si può cercare la via del dialogo attraverso l’accettazione di guardare in faccia l’altro, togliendole dalle categorie collettive in cui è incluso (il nemico con cui sono in conflitto, palestinese od israeliano) per guardarlo in faccia ed incontrarlo. La sfida dell’incontro è molto difficile, anche perché concretamente in quella Terra è molto difficile incontrare l’altro, in quanto i contesti in cui incontrarsi si riducono sempre più  causati dalla costruzione di muri e scuole separate oppure da embarghi. Quindi è molto difficile, eppure la via è quella di incontrarlo per vederlo come è veramente e conoscere la sua vita nel suo dolore. Alcune persone intervistate da me sul tema della riconciliazione sostengono che solo quando impari ad ascoltare il dolore dell’altro, puoi aspettarti che l’altro ascolti il tuo dolore. Occorre capire il trauma personale e collettivo dell’altra persona e cercare di mettersi nei suoi panni:è il primo passo per cercare la via del dialogo”.

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Quanto è ‘duro’ credere nella pace?

“Può essere molto duro, perché a volte ti senti solo, in quanto la maggioranza della tua comunità percorre un’altra strada, ma anche perché la pace in sé è complicata, in quanto è fatta di mediazione, di compromesso, di comprensione reciproca ed anche di incomprensione. Lo spiega bene Ariel Sharon, uno dei responsabili educativi di ‘Neve Shalom - Wahat al-Salam’, villaggio binazionale che in Israele ospita famiglie israeliane e palestinesi che per scelta vivono insieme, che racconto come sia faticosa questa convivenza, in quanto la pace non è ‘bianco o nero’ (dice), ma andare a vedere i ‘grigi’, quindi la persona oltre il suo ruolo. La pace può essere difficile, però lui sottolinea che la pace è possibile ed in quanti più persone si è a percorrere questa via, tanto più questo traguardo diventa meno difficile”. 

 

In quale modo è possibile sconfiggere gli estremismi?

“E’ possibile sconfiggere gli estremismi con l’educazione, che offre la scuola. Nel libro molti testimoni lo raccontano in modi diversi: un professore palestinese, che in gioventù è stato un combattente che credeva nella liberazione della Palestina ed ha avuto un lungo percorso personale, che racconto nel libro, oggi lavora come professore universitario nell’educazione contro gli estremismi, creando anche un istituto islamico, che vuole riscoprire le radici di moderazione e di dialogo all’interno della religione islamica. Come professore universitario ha portato i suoi allievi israeliani a conoscere la vita nei campi profughi palestinesi dopo la creazione dello stato d’Israele ed ha avuto anche il coraggio di portare alcuni allievi palestinesi ad Auschwitz per conoscere il trauma dell’altro. E’ un fatto piuttosto dirompente nel contesto in cui vive! Eppoi c’è la storia di un rabbino, che lavora per la ricerca delle radici del dialogo e di pace all’interno della propria religione, andando alle fonti della fede ed applicando questo ebraismo di dialogo e di pace nella vita quotidiana. Portano avanti progetti educativi nelle scuole e progetti sociali dentro i confini di Israele, con le comunità minoritarie e soprattutto anche oggi vanno fisicamente in Cisgiordania e nei luoghi dove gli agricoltori palestinesi subiscono quotidianamente le aggressioni dei coloni ebrei, scortandoli con i loro corpi. Quindi la pace diventa azione; tale azione è molto presente in ‘Neve Shalom - Wahat al-Salam’, dove per scelta le famiglie del villaggio e quelle dei villaggi intorno, che credono in questa educazione alla pace, mandano i figli nelle scuole condivise (oggi arabi e israeliani studiano in scuole separate); invece in questo villaggio la scuola è insieme ed i professori sono di entrambe le nazionalità usando le ambedue lingue ed imparando ad essere compagni di banco fin da bambini. Questo è il primo passo per sconfiggere gli estremismi ed andare verso la pace”.