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Papa Francesco: “La speranza non delude e ci rende forti nella tribolazione”

Reso noto il Messaggio del Papa per la XXXIII Giornata Mondiale del Malato

Papa Francesco con alcuni malati (immagine di repertorio) | Papa Francesco con alcuni malati (immagine di repertorio) | Credit Vatican Media Papa Francesco con alcuni malati (immagine di repertorio) | Papa Francesco con alcuni malati (immagine di repertorio) | Credit Vatican Media

E’ stato reso noto oggi dalla Sala Stampa Vaticana il Messaggio di Papa Francesco redatto (la data riportata nel documento è quella del 14 gennaio, “in San Giovanni in Laterano”) in occasione della XXXIII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes).

Il tema del Messaggio  è tratto dalla Lettera di San Paolo ai Romani: “La speranza non delude e ci rende forti nella tribolazione”. E il Papa in merito a queste “espressioni consolanti” dichiara che “però possono suscitare, specialmente in chi soffre, alcune domande”. Ad esempio, continua il Messaggio: “come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci?”.  “In tutte queste circostanze - continua il Pontefice - sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito”. 

 

Poi, si sofferma su tre aspetti della presenza di Dio vicino a chi soffre: l’incontro, il dono e la condivisione. Il primo, l’incontro: “nel tempo della malattia se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze”. E’ Cristo a non abbandonarci; “e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato”. Ed è a questo punto che la malattia allora “diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita”. 

 

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Il secondo, il dono: “Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare”. Papa Francesco, per questo punto, fa riferimento alla Risurrezione di Cristo nella quale “ogni nostro destino trova il suo posto nell’orizzonte infinito dell’eternità”. E’ la Pasqua la vera grande certezza per tutti.  E da questa “grande speranza” deriva, dunque, “ogni altro spiraglio di luce con cui superare le prove e gli ostacoli della vita”. Ed è sempre Cristo risorto che accompagna ogni malato nella sofferenza: con Cristo, infatti, è possibile condividere ogni “nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni e le nostre delusioni, possiamo ascoltare la sua Parola che ci illumina e infiamma il cuore e riconoscerlo presente nello spezzare del Pane”.

 

Terzo aspetto che Papa Francesco sottolinea: quello della condivisione. Così il Messaggio: “I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore! Ci si rende conto, cioè, di essere “angeli” di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche”.

 

Esorta, infine, a “saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli”. Sono episodi che è possibile vivere nelle corsie degli ospedali, ad esempio: bisogna “conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario”, ad esempio. 

 

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Il documento si conclude con l’affidamento alla Vergine Maria dei “cari malati”, e di tutti coloro che prestano la loro assistenza “ai sofferenti”.