Carpi , domenica, 26. gennaio, 2025 10:00 (ACI Stampa).
La Liturgia della Parola di questa domenica ci invita a percorrere un viaggio straordinario attraverso il tempo, con due episodi che, seppur lontani nel passato, risuonano profondamente nel cuore della nostra vita presente.
La prima lettura, tratta dal Libro di Neemia, ci trasporta a Gerusalemme, dove Esdra, sacerdote del Signore, proclama solennemente il Libro della Legge davanti a un popolo appena tornato dall’esilio di Babilonia. Non era stato solo un esilio fisico: gli israeliti, privati della loro terra, del tempio e della possibilità di praticare il culto a Dio, si sentivano come un gregge abbandonato a se stesso. Le parole che ascoltano sono, dunque, un balsamo per anime ferite. Infatti, risvegliano la speranza, ricompongono l’identità perduta e accendono una gioia che non si può trattenere. Le lacrime che sgorgano dai loro occhi non sono di dolore, ma di commozione profonda, perché la Parola di Dio, come un abbraccio paterno, risana e riporta alla vita. Neemia allora esorta: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».
Il Vangelo amplifica l’eco della gioia. Gesù, nella sinagoga di Nazareth apre il rotolo di Isaia e, con una solennità che fa vibrare ogni cuore, proclama: «Oggi si è compiuta questa Scrittura». Quella Parola, letta e ascoltata per secoli, ora prende carne in Lui. Gesù è la Parola vivente, il compimento delle promesse, la buona notizia che libera gli oppressi, porta speranza a chi è smarrito, pace a chi è inquieto. In un mondo spesso spezzato da egoismo e superficialità, divisioni e violenze Cristo è la risposta alle domande più profonde del cuore umano, la luce che illumina le tenebre, perchè rende consapevole l’uomo della propria dignità e della propria vocazione alla felicità, al compimento del proprio cammino terreno.
Queste brevi riflessioni ci portano a riconoscere che la Liturgia della Parola della Santa Messa non è solo un un ascolto di eventi passati o di parole antiche: è Dio che ci parla, ci provoca, ci consola, ci chiama a cambiare la vita. E quando per la lettura del Vangelo ci alziamo in piedi, con questo gesto dichiariamo la nostra disponibilità a deporre tutta la nostra vita – con le sue gioie, fatiche e speranze – sull’altare, dove si rinnova il sacrificio di Cristo, perchè Lui ce la restituisca arricchita del suo amore. Nella Liturgia Eucaristica, il Verbo, di cui abbiamo ascoltato la parola, si compiace - come insegna santa Teresa d’Avila - di dimorare in noi e così la nostra anima diviene il paradiso in terra. E’ per questo motivo che sant’Ignazio di Antiochia diceva: «Non posso più godere del cibo corruttibile né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Cristo».
I due eventi di cui abbiamo parlato ci accompagnano come fari nel nostro cammino spirituale. Il popolo d’Israele ci insegna che non esiste abisso così profondo, esilio così lontano, da cui la Parola di Dio non possa sollevarci. Anche noi, a volte, ci sentiamo smarriti, oppressi dal peso delle nostre fragilità o dalla fatica del quotidiano. Eppure, proprio lì, nella polvere delle nostre vite, la Parola risuona come un invito: "Alzati, rallegrati, la gioia del Signore è la tua forza". Non è una gioia superficiale o effimera, ma una gioia che nasce dall’essere raggiunti dall’amore di Dio, un amore che salva. Gesù, invece, ci mostra che la Parola non è solo annuncio, ma anche carne e vita. Lui è la salvezza che si fa vicina, è l’abbraccio che ci avvolge e ci trasforma. Dio non è distante o astratto, ma avendo accettato di rivestire una carne come la nostra, si è immerso nelle nostre fatiche, condivide le nostre delusioni, gioie, sofferenze e ci invita a seguirlo con fiducia. Diceva santa Teresa d’Avila: Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa.