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Papa Francesco, comunicare la speranza

Il Messaggio di Papa Francesco per la 59.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Immagine di repertorio | Immagine di repertorio | Credit Vatican Media Immagine di repertorio | Immagine di repertorio | Credit Vatican Media

“In questo nostro tempo segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti, mi rivolgo a voi nella consapevolezza di quanto sia necessario – oggi più che mai – il vostro lavoro di giornalisti e comunicatori. C’è bisogno del vostro impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”, con queste parole inizia il Messaggio di Papa Francesco per la 59ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno ha titolo “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” (citando la Lettera di Pietro, capitolo 3). 

 

L’attenzione del Pontefice si rivolge poi al Giubileo, definito da Papa Francesco  “un periodo di grazia in un tempo così travagliato”: l’invito che il Papa rivolge ai comunicatori è quello di essere “comunicatori di speranza, incominciando da un rinnovamento del vostro lavoro e della vostra missione secondo lo spirito del Vangelo”. Nel Messaggio si registra che troppo spesso la comunicazione non genera speranza, “ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”. Troppo spesso si è davanti a false notizie, le famose fake news  “per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”. Si parla, sempre nel Messaggio, di “competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica”.

 

Poi, registra un altro problema del tempo presente: la “dispersione programmata dell’attenzione attraverso i sistemi digitali, che, profilandoci secondo le logiche del mercato, modificano la nostra percezione della realtà. Succede così che assistiamo, spesso impotenti, a una sorta di atomizzazione degli interessi, e questo finisce per minare le basi del nostro essere comunità, la capacità di lavorare insieme per un bene comune, di ascoltarci, di comprendere le ragioni dell’altro”. Cita Tonino Bello, Papa Francesco: tutti i conflitti “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. Forte è l’esortazione del Pontefice a non “arrenderci a questa logica. Sperare, in realtà, non è affatto facile. Diceva Georges Bernanos che «sperano soltanto coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne, nelle quali trovavano una sicurezza e che scambiavano falsamente per speranza. La speranza è un rischio che bisogna correre. È il rischio dei rischi»”. Fra i nomi citati anche quello di Papa Benedetto XVI e la sua Lettera Enciclica “Spe salvi”: “Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”. 

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Papa Francesco trova poi nella Prima Lettera di Pietro (3,15-16) “una sintesi mirabile in cui la speranza viene posta in connessione con la testimonianza e con la comunicazione cristiana”. Inoltre - si legge sempre nel Messaggio - il primo messaggio che giunge da questa Lettera è che “la speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto. La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare anche contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto”. Il secondo messaggio è quello di “essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi”. Poi, continua: “I “cristiani non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa. È l’amore vissuto a suscitare la domanda ed esigere la risposta: perché vivete così? Perché siete così?”. Ed è da queste domande che giunge il terzo messaggio contenuto nella Lettera: “la risposta a questa domanda sia data «con dolcezza e rispetto». La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture”.

 

Il “sogno” - così lo definisce - del Pontefice è quello di “una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato. Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri”. E aggiunge: “Sogno una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare”.

 

Cita, poi, Martin Luther King: “Se posso aiutare qualcuno mentre vado avanti, se posso rallegrare qualcuno con una parola o una canzone... allora la mia vita non sarà stata vissuta invano”. Nella comunicazione, precisa Papa Francesco, non c’è spazio per protagonismo e autoreferenzialità: fondamentale “evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate”. Infine, ancora una volta, Papa Francesco guarda al Giubileo che stiamo vivendo: esorta tutti a “diventare pellegrini di speranza”. Come? Raccontando “tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca” così da “imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita. È bello trovare questi semi di speranza e farli conoscere”.