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“La Santa Sede ha un ruolo positivo laddove ci sono regimi autoritari”

Intervista al professor Kenji Minemura, Senior Research Fellow al Canon Institute for Global Studies. Il ruolo della Santa Sede in Asia. L’equilibrio per la pace. La questione di Taiwan

Kenji Minemura | il professore Kenji Minemura | Japan Lens Kenji Minemura | il professore Kenji Minemura | Japan Lens

Laddove ci sono regimi autoritari, la Santa Sede è sempre qualcosa di positivo. E per questo ha un suo ruolo importante anche in Asia, dove, tra il Dragone Rosso Cinese che minaccia Taiwan, il regime chiuso della Corea del Nord, la dittatura militare in Myanmar, c’è bisogno di una diplomazia terza, senza interessi territoriali, che possa aiutare a creare un equilibrio. Ma, soprattutto, c’è bisogno di fede, perché per quanti vivono in queste situazioni, la fede è l’unico appiglio.

Ne è convinto il professor Kenji Minemura, Senior Research Fellow al Canon Institute for Global Studies. Minemura, un passato da giornalista, non ha solo il profilo dello studioso, ma anche di chi ha studiato sul campo le situazioni di cui parla. Partiamo proprio dal ruolo della Santa Sede.

Quale ruolo la Santa Sede può avere nell'aiutare ad una stabilità nell’Asia Orientale? 

La Santa Sede rappresenta qualcosa di positivo dove ci sono regimi autoritari, e non solo nel Asia Orientale. Quando ero giornalista, sono stato inviato per sei anni a Pechino, dal 2007 al 2013, e in quel periodo mi occupavo principalmente di Cina e Corea del Nord. Sono stato al confine con la Corea del Nord più di cinquanta volte, con l’obiettivo di incontrare i fuggitivi e raccogliere informazioni sulla situazione interna del Paese. In Corea del Nord il cristianesimo è illegale e quindi da statistiche i cristiani sono 0, ma la maggior parte delle persone che ho incontrato erano parte cristiani devoti.

Di cosa si è reso conto in quel periodo?

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Io lavoravo in un periodo in cui la crisi alimentare in Corea del Nord era molto intensa. I fuggitivi giovani erano generalmente di bassa statura e magri, e si capiva che la situazione interna era molto difficile. Parlando con loro, mi sono accorto che, in una situazione di completa assenza di libertà di espressione, erano oppressi dal punto di vista sia fisico e mentale. L’unico loro appiglio era la fede. Ho avuto così l’occasione di accompagnare alcuni di loro in una Chiesa sotterranea. Si trattava di una piccolissima stanza, un sottotetto dove loro si riunivano anche una o due volte la settimana, con la consapevolezza che, se fossero stati trovati, sarebbero stati rimpatriati in Corea del Nord.

Da qui ho compreso che l’unico appiglio di queste persone, la loro unica speranza, era il cristianesimo. Vorrei che il Vaticano lo comprendesse.

Come è la situazione del cattolicesimo in Cina?

Anche le statistiche dei cristiani in Cina sono molto incerte. Quando vivevo in Cina, si parlava di 20 milioni di cristiani, ora si parla di 30 milioni di cristiani. Ma non possono vivere liberamente la fede. La Cina è diventata una società di controllo, ci sono circa 200 milioni di telecamere dotate di intelligenza artificiale che possono controllare ogni movimento delle persone. Non sono solo tante, sono anche molto efficienti. Attraverso l’intelligenza artificiale, pare possano  individuare qualsiasi persona sul territorio cinese in circa 3 secondi.

Come leggere la politica della Cina sull'area e in che modo l'accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi può avere un impatto?

Trovo che l’accordo sulla nomina dei vescovi sia un segnale molto importante. La Cina, da parte sua, sta cercando di muoversi in maniera tattica. Non sarà tuttavia facile raggiungere un accordo definitivo. In effetti, il contenuto dell’accordo e le politiche conseguenti adottate dalla Cina sono in parte contraddittori. Nel 2017, la Cina ha avviato una politica di sinicizzazione, con l’obiettivo di portare le religioni a seguire i principi del comunismo. Nel 2022 c’è stato l’incidente della nomina unilaterale da parte di Pechino del vescovo John Peng Weizhao come ausiliare di Jianxi, diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede. Questo ci fa capire quanto sia difficile.

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Tuttavia, la Cina ha dialoghi aperti con il Vaticano. Anche quest’anno, c’è stata una delegazione della Santa Sede, che ha visitato Pechino e anche Shanghai…

C’è una strategia. Sullo sfondo, c’è il presidente della Cina, Xi Jinping, che ha come primo obiettivo l’unificazione di Taiwan alla Cina. Si può immaginare che la Cina voglia instaurare rapporti ufficiali con la Santa Sede, alleviando così le restrizioni religiose, in cambio dell’interruzione dei rapporti tra Santa Sede e Taiwan.

Come giudica questi passi?

Io penso sia importante e positivo che migliorino i rapporti tra Santa Sede e Cina. Ma voglio sia chiaro che l’instaurazione dei rapporti diplomatici non deve essere un obiettivo. È importante non accelerare i tempi, ma dare piuttosto la priorità alla protezione dei cattolici in Cina, quindi al miglioramento dei diritti umani dei cattolici, ma anche alla stabilità della situazione generale della libertà religiosa.

Quale è il ruolo del Giappone nella preservazione degli equilibri nell'area? 

Credo che i rapporti possano essere migliorati dal punto di vista economico. A Taiwan, c’è una grande azienda nel campo dei semiconduttori, la TSMC, che ha appena aperto una fabbrica a Kumamoto. Migliorare i rapporti economici, e anche la catena di approvvigionamento tra Taiwan e Giappone, sarebbe un vantaggio per entrambi. In caso scoppiasse una crisi a Taiwan, verrebbe anche utile.

Taiwan è importante per il Giappone?

Il compianto ex primo ministro Shinzo Abe disse che la crisi di Taiwan sarebbe la crisi per il Giappone. Questa frase è stata spesso fraintesa. Molti pensano che significa se Taiwan fosse sotto attacco, l’esercito di autodifesa giapponese dovrebbe intervenire. Non è quello che Abe intendeva. Intendeva piuttosto che le catene di approvvigionamento e le rotte navali del commercio del Giappone passano anche da Taiwan. Per questo Abe insisteva sull’importanza di evitare la crisi di Taiwan.

Dunque, cosa può fare il Giappone sulla questione Taiwan?

Può avere due strategie. Uno è di mantenere i rapporti diplomatici con la Cina ed alto livello, magari pensando ad un incontro in futuro tra Xi Jinping e il Primo Ministro Giapponese incentrato sull’importanza di mantenere lo status quo di Taiwan.

La seconda strategia è quella di puntare sulla deterrenza. Se ci dovesse essere una crisi a Taiwan, ci sarebbe un intervento dalle basi statunitense in Giappone. Sono basi statunitensi, ma anche basi dell’esercito di autodifesa, sono fragili e vecchie e sarebbero vulnerabili ad un attacco missilistico cinese. Il governo giapponese ha recentemente deciso che la spesa per la difesa sarà alzata al 2 per cento del PIL. Tuttavia l’attuazione è molto lenta. Io sono stato invitato in una base americana in Giappone. Ho chiesto quanto fosse solida la struttura dove sono parcheggiati gli aerei. La risposta è stata: “Se viene un tifone, sono abbastanza resistenti”.

Insomma, la deterrenza è importante per evitare un eventuale conflitto con strutture così fragili.

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Crede che la Cina sia una minaccia reale per Taiwan? E in che misura? 

È vero che, dopo l’inaugurazione del mandato presidenziale del nuovo presidente di Taiwan Lai Ching-te del 22-23 maggio c’è stata una grande esercitazione militare da parte della Cina di fronte a Taiwan. Una esercitazione simile c’era stata quando la Speaker della Camera dei Deputati USA Nancy Pelosi era stata a Taiwan.

Un punto in comune di queste due esercitazioni è che non si immaginava una invasione a terra oppure lancio di missili, quanto un accerchiamento e la chiusura delle catene di approvvigionamento di Taiwan. In fondo, Taiwan, dipende molto dall’importazione di energia e beni alimentari.

Questo tipo di strategia è molto diverso dalle strategie della Seconda Guerra Mondiale, come fu per esempio lo sbarco in Normandia. È una strategia molto sottile, porta un pericolo invisibile al momento. Per questo a Taiwan non c’è senso del pericolo.

Inoltre, Taiwan vive in questa situazione da 70 anni. La popolazione è abituata. Ci sono state due crisi dello Stretto di Taiwan dove sono morte anche delle persone.

Il senso di pericolo non è presente a Taiwan anche per un altro motivo: all’interno dell’esercito di Taiwan ci sono molte persone di origine della Cina continentale, e per questo si pensa che la Cina non attaccherebbe il suo stesso popolo.

Ma il pericolo è reale o no?

I taiwanesi sbagliano a non percepire il pericolo. Xi Jinping, nel Congresso del Partito Comunista del 2022, ha detto chiaramente che il suo obiettivo è di unificare la Cina. Il Congresso si tiene ogni cinque anni, e dunque il prossimo sarà nel 2027, quando terminerà il terzo mandato di Xi Jinping. La dichiarazione del 2022 significa, dunque, che l’annessione di Taiwan avverrà nel terzo mandato.

Oggi, Xi Jinping è molto potente, nessuno in Cina può contrastarlo al momento. Per questo, le dichiarazioni di un uomo così potente non possono essere sottovalutate.

Quali sono le sfide più grandi per la sicurezza dell'area del Asia Orientale?

Il primo problema è che l’Asia non può avere una NATO come c’è stata nel mondo occidentale. Quel tipo di iniziativa non può avere successo in Asia, non ci sono i rapporti di fiducia che si sono creati nel mondo occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questa impossibilità di avere rapporti di fiducia è peggiorata con la crescita della Cina, che è diventata sempre più influente, mentre sta sempre peggiorando la situazione nel Mar Cinese Meridionale.

Per quanto riguarda il Giappone e la sua posizione, va notato il pericolo derivato dal fatto che le collaborazioni militari tra Russia e Cina stanno intensificando. Dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, i bombardieri russi e cinesi hanno cominciato ad estendere la loro area di azione intorno al Giappone. Recentemente il Giappone e la NATO hanno rinforzato i rapporti e questo è molto importante alla luce dell’intensificazione delle relazioni militari tra Russia e Cina.

Vede un ruolo per la Santa Sede? E quale in caso? 

L’influenza della Santa Sede in Asia è molto forte e quindi vorrei che si muova attivamente , che sia presente in Asia. In particolare per quanto riguarda dei rapporti Cina – Taiwan, la Santa Sede ha un ruolo importantissimo. Taiwan ormai ha relazioni con diplomatiche solo con 12 Paesi, e l’unico partner europeo è appunto la Santa Sede, che credo sia il più influente tra tutti i partner. Se la Santa Sede dovesse interrompere i rapporti con Taipei, sarebbe un grave danno per Taiwan e per il suo popolo, perché il rischio più grande di Taiwan è l’isolamento. Mantenere i rapporti tra Santa Sede e Taiwan come sono adesso è dunque molto importante.