Io lavoravo in un periodo in cui la crisi alimentare in Corea del Nord era molto intensa. I fuggitivi giovani erano generalmente di bassa statura e magri, e si capiva che la situazione interna era molto difficile. Parlando con loro, mi sono accorto che, in una situazione di completa assenza di libertà di espressione, erano oppressi dal punto di vista sia fisico e mentale. L’unico loro appiglio era la fede. Ho avuto così l’occasione di accompagnare alcuni di loro in una Chiesa sotterranea. Si trattava di una piccolissima stanza, un sottotetto dove loro si riunivano anche una o due volte la settimana, con la consapevolezza che, se fossero stati trovati, sarebbero stati rimpatriati in Corea del Nord.
Da qui ho compreso che l’unico appiglio di queste persone, la loro unica speranza, era il cristianesimo. Vorrei che il Vaticano lo comprendesse.
Come è la situazione del cattolicesimo in Cina?
Anche le statistiche dei cristiani in Cina sono molto incerte. Quando vivevo in Cina, si parlava di 20 milioni di cristiani, ora si parla di 30 milioni di cristiani. Ma non possono vivere liberamente la fede. La Cina è diventata una società di controllo, ci sono circa 200 milioni di telecamere dotate di intelligenza artificiale che possono controllare ogni movimento delle persone. Non sono solo tante, sono anche molto efficienti. Attraverso l’intelligenza artificiale, pare possano individuare qualsiasi persona sul territorio cinese in circa 3 secondi.
Come leggere la politica della Cina sull'area e in che modo l'accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi può avere un impatto?
Trovo che l’accordo sulla nomina dei vescovi sia un segnale molto importante. La Cina, da parte sua, sta cercando di muoversi in maniera tattica. Non sarà tuttavia facile raggiungere un accordo definitivo. In effetti, il contenuto dell’accordo e le politiche conseguenti adottate dalla Cina sono in parte contraddittori. Nel 2017, la Cina ha avviato una politica di sinicizzazione, con l’obiettivo di portare le religioni a seguire i principi del comunismo. Nel 2022 c’è stato l’incidente della nomina unilaterale da parte di Pechino del vescovo John Peng Weizhao come ausiliare di Jianxi, diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede. Questo ci fa capire quanto sia difficile.
Tuttavia, la Cina ha dialoghi aperti con il Vaticano. Anche quest’anno, c’è stata una delegazione della Santa Sede, che ha visitato Pechino e anche Shanghai…
C’è una strategia. Sullo sfondo, c’è il presidente della Cina, Xi Jinping, che ha come primo obiettivo l’unificazione di Taiwan alla Cina. Si può immaginare che la Cina voglia instaurare rapporti ufficiali con la Santa Sede, alleviando così le restrizioni religiose, in cambio dell’interruzione dei rapporti tra Santa Sede e Taiwan.
Come giudica questi passi?
Io penso sia importante e positivo che migliorino i rapporti tra Santa Sede e Cina. Ma voglio sia chiaro che l’instaurazione dei rapporti diplomatici non deve essere un obiettivo. È importante non accelerare i tempi, ma dare piuttosto la priorità alla protezione dei cattolici in Cina, quindi al miglioramento dei diritti umani dei cattolici, ma anche alla stabilità della situazione generale della libertà religiosa.
Quale è il ruolo del Giappone nella preservazione degli equilibri nell'area?
Credo che i rapporti possano essere migliorati dal punto di vista economico. A Taiwan, c’è una grande azienda nel campo dei semiconduttori, la TSMC, che ha appena aperto una fabbrica a Kumamoto. Migliorare i rapporti economici, e anche la catena di approvvigionamento tra Taiwan e Giappone, sarebbe un vantaggio per entrambi. In caso scoppiasse una crisi a Taiwan, verrebbe anche utile.
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Taiwan è importante per il Giappone?
Il compianto ex primo ministro Shinzo Abe disse che la crisi di Taiwan sarebbe la crisi per il Giappone. Questa frase è stata spesso fraintesa. Molti pensano che significa se Taiwan fosse sotto attacco, l’esercito di autodifesa giapponese dovrebbe intervenire. Non è quello che Abe intendeva. Intendeva piuttosto che le catene di approvvigionamento e le rotte navali del commercio del Giappone passano anche da Taiwan. Per questo Abe insisteva sull’importanza di evitare la crisi di Taiwan.
Dunque, cosa può fare il Giappone sulla questione Taiwan?
Può avere due strategie. Uno è di mantenere i rapporti diplomatici con la Cina ed alto livello, magari pensando ad un incontro in futuro tra Xi Jinping e il Primo Ministro Giapponese incentrato sull’importanza di mantenere lo status quo di Taiwan.
La seconda strategia è quella di puntare sulla deterrenza. Se ci dovesse essere una crisi a Taiwan, ci sarebbe un intervento dalle basi statunitense in Giappone. Sono basi statunitensi, ma anche basi dell’esercito di autodifesa, sono fragili e vecchie e sarebbero vulnerabili ad un attacco missilistico cinese. Il governo giapponese ha recentemente deciso che la spesa per la difesa sarà alzata al 2 per cento del PIL. Tuttavia l’attuazione è molto lenta. Io sono stato invitato in una base americana in Giappone. Ho chiesto quanto fosse solida la struttura dove sono parcheggiati gli aerei. La risposta è stata: “Se viene un tifone, sono abbastanza resistenti”.
Insomma, la deterrenza è importante per evitare un eventuale conflitto con strutture così fragili.