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Diplomazia pontificia, i temi dietro il discorso diplomatico di inizio anno di Papa Francesco

Molto denso il discorso di Papa Francesco al Corpo Diplomatico. Il Cardinale Parolin è in Giordania. Il Libano ha un nuovo presidente

Papa Francesco, cor | Papa Francesco con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Cappella Sistina, 9 gennaio 2025 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, cor | Papa Francesco con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Cappella Sistina, 9 gennaio 2025 | Vatican Media / ACI Group

È stato un discorso particolarmente denso, quello che Papa Francesco ha pronunciato di fronte al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede lo scorso 9 gennaio. Come di consueto, il discorso del Papa ha fornito una panoramica della crisi mondiali e dei temi che stanno a cuore alla Santa Sede. Ma quali sono ora le iniziative che prenderà la Santa Sede? E quali quelle che ha già preso?

Nel discorso al Corpo Diplomatico, c’era anche un riferimento al Libano, che da due anni era in una crisi istituzionale per la vacanza dell’incarico di presidente. Il 9 gennaio, è stato eletto il nuovo presidente, il generale Aoun, ed è una elezione che può far sperare che si torni ad una situazione istituzionale “normale”. Nel commentare l’elezione, si è parlato della “neutralità attiva” del Libano, una formula usata più volte dal Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca maronita, che in questi due anni non ha mancato di far sentire la sua voce.

Intanto, il Cardinale Parolin è arrivato in Giordania, e ha consacrato la nuova chiesa del Battesimo di Gesù. Nel suo viaggio, sono previsti incontri istituzionali con il ministro degli Esteri e con il re di Giordania. In una intervista data a Tv2000, ha parlato anche della crisi in Terrasanta, sottolineando che ci sono soluzioni possibili.

Si attendeva una visita del presidente USA Joe Biden in Vaticano, che però non ha avuto luogo. Biden, che già aveva dovuto posticipare di un giorno il viaggio in Italia e Vaticano per presenziare al funerale dell’ex presidente Carter, ha poi annullato del tutto il viaggio di congedo per seguire la drammatica situazione degli incendi in California, che hanno causato dieci vittime e la devastazione di un’area pari a quella della città di San Francisco.

                                               FOCUS CORPO DIPLOMATICO

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Il discorso del Decano del Corpo diplomatico

Come di consueto, l’udienza del Papa al Corpo Diplomatico è stata aperta con il saluto del Decano del Corpo diplomatico, l’ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede Georges Poulides. Poulides è l’ultimo ambasciatore in carica ad aver presentato le credenziali a Giovanni Paolo II, ed è nel corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede da ormai 22 anni.  

Nel suo saluto, l’ambasciatore Poulides ha ricordato il Giubileo in corso, la cui bolla di indizione, Spes non confundit, fa della speranza il tempa centrale. E la speranza, ha detto Poulides, ha una forza “profonda e rivoluzionaria”, essendo “capace di generare fiducia, futuro e fratellanza anche quando intorno ogni cosa sembra falsa, persa e morta”.

“La Speranza – ha affermato il decano del Corpo diplomatico - è dirompente: inarrestabile in chi ha fede, fiducia nel prossimo, unisce le generazioni, rafforza le comunità”. Per questo, “solo diventando ‘pellegrini di speranza’ per ammalati, poveri, detenuti, migranti, anziani e giovani possiamo riattivare quel circolo virtuoso che, attraverso il conforto e il riconoscimento delle angosce altrui, reintegra i più fragili nella famiglia umana”.

Riferendosi alle parole del Messaggio Urbi et Orbi dello scorso Natale, in cui Papa Francesco ha invitato ad attraversare “la porta spalancata” della speranza, l’ambasciatore di Cipro ha ricordato che “troppo spesso, presi dalla frenesia delle nostre vite, non siamo entrati ed abbiamo lasciato che le incomprensioni divenissero conflitti e che le porte aperte si accostassero o si chiudessero!”

È un messaggio – ha aggiunto Poulides – che “interpella direttamente il nostro ruolo di diplomatici”, chiamati a “saper cogliere ogni occasione di apertura, anche minima”, cosa che “richiede costanza e impegno”.

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Il decano del Corpo diplomatico ha aggiunto: “Nel percorso di costruzione di un’Europa unita e pacificata quanta ‘pazienza’ è stata necessaria per riallacciare i rapporti e ricostruire fiducia tra le nazioni. Quanto tempo si deve dedicare all’accoglienza ai migranti, alla costruzione di società multiculturali e multireligiose”.  

Per questo, “speranza e pazienza” sono chiamate ad essere le coordinate di ogni buon diplomatico”. Poulides ha anche ricordato l’accento posto dal Papa “sulla necessità di una giusta ed equa redistribuzione delle risorse”, con la richiesta di cancellare il debito che i Paesi più poveri “hanno contratto, spesso forzosamente, nei confronti dei Paesi più ricchi”, ma anche riconoscendo “l’esistenza di un debito ecologico dei Paesi industrializzati verso il Sud del mondo che deve pagare doppiamente lo sfruttamento di cui è vittima”.

I temi del discorso ai diplomatici

Il discorso di Papa Francesco va considerato per quello che viene detto, ma anche per quello che viene implicato.

Il riferimento alle sfide dell’intelligenza artificiale è, ad esempio, parte di una strategia che la Santa Sede ha messo in atto da diverso tempo, anche con il lancio della Rome Call for AI Ethics che ha coinvolto anche diverse confessioni religiose. In orbita Nazioni Unite, la Santa Sede ha chiesto una autorità mondiale con competenze universali proprio per regolamentare l’intelligenza artificiale.  

Papa Francesco ha fatto un appello al dialogo. “Di fronte – ha detto - alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale, la vocazione della diplomazia è quella di favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più scomodi e che non si riterrebbero legittimati a negoziare”. In queste parole risuonano, in qualche modo, le critiche della Santa Sede alla non partecipazione della Russia alle conferenze per la pace in Ucraina tenutesi in Svizzera e poi anche a seguito della partecipazione dell’arcivescovo Gallagher a Montreal. Al termine della Conferenza di Montreal, Santa Sede, Qatar e Sudafrica hanno preso l’impegno di mediare per il ritorno a casa dei bambini ucraini che si trovano in territorio russo.

Molto forti le parole di Papa Francesco sul Nicaragua, dove tra l’altro non c’è più una rappresentanza diplomatica della Santa Sede dall’espulsione del nunzio e poi di tutti gli officiali vaticani di nunziatura.

Il discorso conteneva anche una apertura di credito nei confronti della nuova situazione politica in Siria, dopo il rovesciamento del governo Assad e la nuova leadership Jolani. Sono parole che rispondono alla speranza dei cristiani del territorio di non essere discriminati, ma che anche servono a creare un clima di distensione in una situazione ancora molto tesa. Tra l’altro, c’è da dire che la Siria era stata al centro di tutti i tre colloqui di Papa Francesco con il presidente russo Vladimir Putin (l’ultimo nel 2019), e dunque anche la perdita di influenza della Russia su Damasco porta con sé la necessità della Santa Sede di riposizionarsi.

Papa Francesco ha citato anche la situazione in Venezuela, dove il 13 agosto 2024 è tornato un nunzio: Alberto Ortega Martìn, nominato dal Papa suo “ambasciatore” a Caracas, ha presentato le credenziali proprio in quel giorno, chiudendo una vacanza dell’alto rango della nunziatura,  e questo nonostante i risultati elettorali siano stati contestati anche dagli alti rappresentanti della Chiesa. Si vede qui la diplomazia della Santa Sede, che di fronte ad una situazione critica, non abbassa il dialogo, né alimenta lo scontro, ma invece invia un alto rappresentante per proteggere la popolazione.

Altro tema interessante, Papa Francesco ha citato l’accordo con la Cina per la nomina dei vescovi, prorogato per altri quattro anni, insieme agli accordi diplomatici dello scorso anno, quello storico con la Repubblica Ceca (un altro non aveva ricevuto la ratifica) e quello con il Burkina Faso.

In realtà, l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi è considerato un accordo pastorale, ha avuto i suoi alti e bassi in questi ultimi anni, e si spera solo ora che vada a regime. Considerarlo, però, uno degli accordi diplomatici potrebbe anche essere inteso come una mano tesa nei confronti di Pechino.

La Santa Sede, tuttavia, mantiene rapporti diplomatici con Taiwan (unico Stato europeo), e la sovranità di Taiwan non sembra essere in discussione.

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Importante il riferimento allo “spirito di Helsinki”, conferenza che portò alla costituzione dell’OSCE a seguito dell’Atto di Helsinki, in cui tra l’altro la Santa Sede fece inserire la questione della libertà religiosa. Il riferimento ha anche un sottotesto: fu l’Unione Sovietica a promuovere la Conferenza, e la speranza è che anche la Russia cerchi di promuovere incontri di pace, uscendo dalla sua posizione.

La Santa Sede non ha mancato di far avere, negli ultimi anni, critiche nei confronti dell’OSCE e di alcuni intoppi burocratici che ne hanno impedito il dibattito, e che hanno fermato alcune iniziative.

Papa Francesco vi ha fatto implicitamente riferimento nel discorso. Il Papa ha anche affrontato il tema della “colonizzazione ideologica” data dall’uso improprio di alcune terminologie nei documenti internazionali – la questione del gender e della salute sessuale e riproduttiva, per fare un esempio, venne inserita persino nel global compact sulle migrazioni, e la Santa Sede protestò per questo.

Sono stati scelti con cura gli scenari di guerra su cui prestare attenzione. Non è stata toccata la situazione nel Caucaso, molto delicata sia per le proteste pro-Europa in Georgia sia per la preservazione del patrimonio cristiano nel Nagorno Karabakh ormai sotto il controllo azerbaijano (l'Azerbaijan sostiene che sta proteggendo e restaurando il patrimonio cristiano, l'Armenia protesta contro un "genocidio culturale" che sarebbe in atto sin dagli anni Venti).

Il Mozambico è sempre nell’attenzione del Papa, e la situazione a Cabo Delgado, dove il disastro ambientale si è aggiunto alla presenza del terrorismo, è sempre monitorata, così come la situazione in Nord Kivu. Tra le citazioni forse più inaspettate, quelle della Colombia per l’America Latina. Guardando all’Europa, come già all’Urbi et Orbi, Papa Francesco ha ricordato la situazione di Cipro Nord, occupata da più di cinquanta anni.

Papa Francesco ha anche messo in luce la persecuzione dei cristiani, senza mancare di notare la “persecuzione nascosta” che avviene anche nel mondo occidentale – e non vi si può non leggere il riferimento ai cosiddetti crimini di odio usati per censurare le manifestazioni religiose. Gli ultimi casi sono quello del parlamentare finlandese Päivi Räsänen, a processo per aver twittato versi della Bibbia, o l’indagine contro Matthew Grech, cristiano maltese che aveva raccontato la sua storia in Tv, fino alla condanna di Adam Smith-Connor nel Regno Unito per aver pregato silenziosamente in una cosiddetta buffer zone vicino ad una clinica abortista del Regno Unito. L’Osservatorio sull’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani in Europa (OIDAC) ha contato 2444 crimini di odio contro i cristiani nel 2023.

Altro tema importante, lo sviluppo del multilaterale. Papa Francesco ha chiesto una riforma delle organizzazioni multilaterali – non una cosa nuova, lo aveva chiesto già Benedetto XVI nella Caritas in Veritate nel 2009 – basata su “principi di sussidiarietà e solidarietà e nel rispetto di una sovranità degli Stati”, e aveva criticato l’impostazione dei consessi dei grandi (i G7, G20), constatando che “c’è il rischio di una monadologia e della frammentazione in like minded clubs che lasciano entrare solo quanti pensano allo stesso modo”. Si tratta dell’impostazione classica della Santa Sede, che ha sempre preferito il multilaterale che non quelli che vengono considerati “club di amici”,  dove non tutte le voci sono ascoltate. Tuttavia, Papa Francesco lo scorso anno ha partecipato al G7 a Borgo Egnazia, peraltro parlando in un panel laterale.

Il Papa ha anche plaudito "ai segnali positivi di una ripresa dei negoziati per ritornare alla piattaforma dell’accordo sul nucleare iraniano, con l’obiettivo di garantire un mondo più sicuro per tutti". La Santa Sede aveva appoggiato sin dall’inizio l’accordo sul nucleare iraniano, e questa posizione aveva favorito una serie di relazioni con Teheran che, al di là delle difficoltà, si sono mantenute vive fino ad ora.

                                                           FOCUS GIORDANIA

Parolin in Giordania, le parole dell’arcivescovo Dal Toso

L’arcivescovo Giampietro Dal Toso, nunzio apostolico in Giordania, ha concesso lo scorso 8 gennaio una lunga intervista ai media vaticani, alla vigilia dell’arrivo del Cardinale Parolin come inviato del Papa per la consacrazione della nuova chiesa dedicata al battesimo di Gesù.

Dal Toso ha sottolineato che “il Medio Oriente non sarebbe il Medio Oriente senza i cristiani”, e che in Terrasanta “non ci sono solo siti biblici dove è confermata la presenza di Cristo”, ma anche “siti dove possiamo vedere la presenza delle prime comunità cristiane”.

Il nunzio parlava a margine della conferenza stampa di presentazione della mostra “Giordania: Alba della Cristianità”, che arriverà anche a Roma. “È importante – ha detto – per la nostra parte occidentale del mondo di sapere che la Giordania mantiene questo tesoro e di sapere meglio che la presenza cristiana in Giordania c’è sempre stata”.

Parlando del conflitto in Terrasanta, il nunzio ha detto che la comunità cristiana “vive alcune conseguenze” del conflitto, specialmente poiché “una buona parte della popolazione ha origini palestinese, e molti hanno parenti nell’altro lato della Giordania. La nostra speranza è che la pace possa arrivare prima possibile”.

Guardando alla visita del Cardinale Parolin, l’arcivescovo Dal Toso ha detto che non solo sottolinea l’importanza del luogo, ma che è anche “un segno di vicinanza alla Chiesa locale, ai cristiani in Medio Oriente, che non sono soli”.

Il cardinale Parolin invita la Giordania ad esercitare il suo ruolo di pacificazione

Il 10 gennaio, parlando con Tv 2000 dopo la Messa di consacrazione della chiesa del Battesimo di Gesù in Giordania ad al Maghtas, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, si è soffermato sulle possibilità di pace in Terrasanta. “Le strade ci sono – ha detto – non ci sono conflitti insolubili. Questi sono conflitti gravi, che lacerano il tessuto umano che fanno tante vittime che distruggono tante realtà. Però le strade ci sono. Questo lo dobbiamo sempre avere presente, e speriamo che la gente si metta a percorrere queste strade”

Il cardinale ha invitato a non perdere speranza, e ha sottolineato che la celebrazione (di consacrazione della chiesa) “possa essere un segno di incoraggiamento. C’era il rappresentante del re e le più alte autorità del Paese. Il segnale che si è dato è che la Giordania deve continuare ad esercitare questo suo ruolo di pacificazione all’interno di una Regione percorsa da tante tensioni e tanti conflitti”.

                                                           FOCUS NEWS

Biden non ha fatto la visita di congedo da Papa Francesco

Non c’è stato il viaggio di congedo in Italia del presidente USA Joe Biden, previsto dal 9 al 12 gennaio, e dunque non c’è stato nemmeno l’incontro con Papa Francesco, inizialmente messo in agenda per il 10 gennaio, e poi l’11 perché il presidente Biden doveva partecipare ai funerali di Stato del suo predecessore Carter.

Tuttavia, curiosamente, nella comunicazione della Casa Bianca non si faceva nessun accenno alla cancellazione della visita a Papa Francesco, ma solo della cancellazione del viaggio in Italia.

L’8 gennaio, Karine Jean-Pierre, segretaria stampa della Casa Bianca, ha annunciato che Biden ha deciso di cancellare il viaggio “dopo essere tornato da Los Angeles, dove durante ila giornata si è incontrato con la polizia, i pompieri e il personale di emergenza che sta lottando contro il fuoco storico”.

Durante il viaggio, Biden avrebbe dovuto incontrare il presidente italiano Sergio Mattarella e il primo ministro italiano Giorgia Meloni, nonché Papa Francesco, come annunciato in un comunicato del 19 dicembre in cui si affermava che nell’incontro con il Papa Biden avrebbe discusso di come “mettere in campo gli sforzi per accrescere la pace nel mondo”.

L’ultimo incontro tra Biden e Papa Francesco resta quello al G7 di Borgo Egnazia del 14 giugno. Prima, i due si erano incontrati il 29 ottobre 2021.

Biden e Papa Francesco hanno avuto anche una conversazione telefonica a dicembre. Biden ha sempre sostenuto, dopo la conversazione, che è stato il Papa ad invitarlo per il congedo in Vaticano. Dopo la conversazione, vale la pena notare che il presidente USA ha commutato 37 sentenze di morte su 40 in carcere a vita senza possibilità di sconto.

                                                           FOCUS UCRAINA

Per Natale, il presidente Zelensky ha incontrato le organizzazioni religiose ucraina

Non c’è stata tappa in Vaticano, durante la visita in Italia del presidente ucraino Volodymir Zelensky, che ha comunque parlato del ritorno a casa dei bambini ucraini – tema su cui è attiva la diplomazia pontificia - con il presidente Mattarella.

Tuttavia, lo scorso 23 dicembre il presidente Zelensky ha incontrato a Kyiv i membri del Consiglio Pan-Ucraino delle Cheise e delle Organizzazioni Religiose, che rappresenta il 95 per cento delle confessioni religiose ucraine.

Nel suo discorso, il presidente ha ringraziato le organizzazioni religiose “per essere con il popolo ucraino, sostenere le persone e pregare per tutti noi”. Il presidente ha anche ringraziato i cappellani militare, e ha messo in luce l’importanza del Consiglio di fronte al tentativo della Federazione Russa di usare la Chiesa per influenzare l’opinione degli ucraini che sono andati all’estero a causa della guerra.

Il metropolita Epifaniy, capo della Chiesa Ortodossa Ucraina – il quale è recentemente stato in Vaticano – ha ringraziato il presidente per la legge “Sulla protezione dell’ordine costituzionale nella sfera dell’attività delle organizzazioni religiose”. La legge prevede lo scioglimento per tutte le organizzazioni religiose il cui centro risiede all’estero o che possano essere affiliate ad un centro estero.

Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, ha ringraziato invece il presidente perché nel Piano di Stabilità interna sono stati menzionati l’importante ruolo e le attività del Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose, ed ha osservato che le istituzioni diplomatiche e le organizzazioni religiose ucraine dovrebbero sostenere congiuntamente gli ucraini che si trovano temporaneamente all’estero.

All'incontro hanno partecipato anche: il presidente della Conferenza dell'Unione Ucraina della Chiesa avventista del settimo giorno, Stanislav Nosov, il vescovo della Chiesa evangelica cristiana ucraina, Leonid Padun , il vescovo della Chiesa evangelica ucraina, Oleksandr Zaitsev, il capo dell'amministrazione spirituale dei musulmani della Repubblica autonoma di Crimea, Ayder Rustemov, il vescovo della Chiesa luterana ucraina, Vyacheslav Horpinchuk, il vescovo di Germania della Chiesa evangelica luterana Pavlo Schwartz , il capo della diocesi ucraina della Chiesa apostolica armena Markos Hovhannesyan, il parroco della Chiesa riformata della Transcarpazia Petro Seglyanyk , vicepresidente del consiglio dell'Associazione delle organizzazioni religiose ebraiche dell'Ucraina Yevhen Ziskind, il rabbino capo aggiunto di Kiev e l'Unione Ucraina delle Organizzazioni Religiose Ebraiche dell'Ucraina Avrohom Blykh e il Vice Segretario Generale della Società Biblica Ucraina Anatoliy Raichynets.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Focus Libano, l’elezione del nuovo presidente

Dopo due anni, il Libano ha finalmente un nuovo presidente: è il generale Joseph Aoun, comandante dell’esercito Libanese dal 2017. Succede al suo omonimo Michel Aoun anche lui generale di formazione, ed è il quarto generale a ricoprire la carica di Capo di Stato a partire dalla fine della guerra civile nel 1990.

Aoun è stato sostenuto da Stati Uniti e Arabia Saudita. Prima del voto, erano arrivati a Beirut per incontri con leader politici libanesi sia l'inviato statunitense in Libano Amos Hochstein che l’inviato saudita Yazid bin Mohammed bin Fahd Al-Farhan.

L’ordinamento istituzionale libanese prevede che la carica di Presidente della Repubblica sia riservata a un cristiano appartenente alla Chiesa maronita.

Aoun è stato eletto il 9 gennaio dal Parlamento di Beirut, in seconda seduta, con 99 voti su 128. A lui sono arrivati i consensi anche dei parlamentari di Hezbollah e Amal, che invece nella prima votazione avevano votato scheda bianca. Sarebbero bastati 65 voti per l’elezione.

Joseph Aoun è stato considerato, sin dalle proteste del 2019, non colluso con la corrotta politica libanese. Ha gestito con abilità la fase delicata iniziata con il cessate il fuoco in vigore dal 27 novembre scorso, dopo le operazioni militari israeliane in territorio libanese volte a colpire le basi e le strutture di Hezbollah. Tra le condizioni da adempiere per trasformare la tregua in fine delle ostilità c’è il ritiro delle milizie di Hezbollah oltre il fiume Litani, a distanza di 30 chilometri dal confine con Israele.

Le consultazioni per il nuovo governo cominciano la prossima settimana. Secondo le indiscrezioni circolanti sui media libanesi, i Partiti sciiti puntano a ottenere la guida del Ministero – cruciale - dell’economia.

Parlando con l’agenzia Fides, del Dicastero per l’Evangelizzazione, il sacerdote maronita Rouphael Zgheib, direttore delle Pontificie Opere Missionarie Libanesi, ha sottolineato di augurarsi “che l’evoluzione degli scenari internazionali aiuti il Libano a assestarsi in una condizione di ‘neutralità positiva’, come è stato da tempo suggerito e auspicato anche dal Patriarca Béchara Boutros Raï. Di ‘neutralità positiva’ ha parlato anche il nuovo Presidente. Mi sembra questa, adesso, la parola chiave”.

Riguardo al ruolo di Hezbollah e agli slogan dei commentatori occidentali che parlano del suo “smantellamento” provocato dalle offensive militari israeliane, padre Zgheib ritiene utile tener conto che il Partito sciita “non è solo un gruppo armato e non è una realtà importata dall’esterno, ha un radicamento popolare in Libano. E raggiungere un accordo sul disarmo delle milizie di Hezbollah è uno dei compiti difficili che il nuovo Generale Presidente si trova a dover affrontare”.

L’ambasciatore dell’Iran da Papa Francesco

il 2 gennaio l'ambasciatore dell'Iran presso la Santa Sede, Mohammad Hossein Mokhtari, si è recato in visita ufficiale dal Papa per porgere gli auguri per il Natale appena trascorso e per il nuovo anno da parte del Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, Pezeshkian. L’incontro era strettamente privato, ma l’ambasciata di Iran presso la Santa Sede lo ha comunicato sui suoi canali social.

L’ambasciatore ha portato in dono una pittura artistica che contiene motti scelti dell’Ayatollah Alì Khamenei, leader della Rivoluzione Islamica.

Secondo l’ambasciata, durante l’incontro Francesco avrebbe espresso la sua preoccupazione per gli attacchi israeliani.

Le proteste del Gran Rabbinato di Israele contro Papa Francesco

Le parole di Papa Francesco sulla situazione a Gaza, e in particolare quelle che hanno fatto seguito all’incontro con l’ambasciatore dell’Iran che non sono mai state smentite – l’ambasciata aveva riferito che il Papa attribuiva ad Israele la responsabilità della situazione in Medio Oriente, senza però menzionare le attività anti-Israele di Hamas, Hezbollah e l’Iran  – hanno causato la dura reazione del rabbino Eliezer Simcha Weisz, uno dei membri del Gran Rabbinato di Israele.

In una lettera datata 8 gennaio, il rabbino accusa Papa Francesco di avere una lettura “parziale” della situazione che ha fatto seguito agli attacchi del 7 ottobre, e di aderire ad una rappresentazione del conflitto israelo-palestinese in cui “si ignora deliberatamente la tragica realtà di Haams”.

Il rabbino attribuisce a Papa Francesco “una responsabilità senza precedenti” di fronte al proliferare delle comunicazioni sociali, responsabilità che il Papa, si sottintende, non avrebbe considerato perché “le sue dichiarazioni hanno fatto rivivere i modelli più oscuri della storia della Chiesa cattolica - modelli che per secoli hanno trasformato false accuse in violenza contro il popolo ebraico”.

E questo perché – prosegue il Rabbino – Papa Francesco ha “ripetutamente tracciato una falsa equivalenza morale tra una nazione democratica che difende i propri cittadini e i terroristi che hanno perpetrato il più barbaro massacro di ebrei dopo l'Olocausto”.

“Particolarmente grave” è definito “il recente impegno con il regime iraniano”, perché “incontrando i rappresentanti di un governo che chiede apertamente l'annientamento di Israele e non contestando la loro grottesca appropriazione di Gesù nella loro campagna contro Israele e l'Occidente, avete prestato l'autorità papale al moderno antisemitismo. Nell'era digitale, tali gesti diventano potenti strumenti di propaganda, che si diffondono alla velocità della luce”.

Il rabbino sottolinea che “il silenzio assordante sulla persecuzione sistematica dei cristiani in tutto il Medio Oriente è in netto contrasto con la vostra rapida condanna di Israele”, e accusa il Papa di una “indignazione selettiva” che “plasma l’opinione globale con una forza senza precedenti”. Così, “mentre le comunità cristiane sono decimate in tutta la regione, voi riservate le vostre critiche amplificate digitalmente all'unica democrazia mediorientale in cui i cristiani praticano liberamente il loro culto.”.

Weisz nota che “l’evoluzione delle accuse anti ebraiche è chiara e dannosa”, una narrazione che va “dagli antichi libelli di sangue alle odierne false narrazioni sui bambini palestinesi”, con parole che “alimentano una rinascita mondiale dell’antisemitismo di dimensioni che i Papi precedenti non avrebbero mai potuto immaginare”.

Conclude il rabbino, rivolgendosi al Papa: “Le sue accuse contro Israele si riverberano istantaneamente in tutti i continenti. In questo mondo interconnesso, le sue dichiarazioni incoraggiano coloro che attaccano le comunità ebraiche in tutto il mondo con un'immediatezza e un'ampiezza di influenza che nessun Papa precedente ha mai esercitato. Il drammatico aumento degli incidenti antisemiti a livello globale dal 7 ottobre testimonia come le sue parole possano scatenare la violenza alla velocità della trasmissione digitale”.

Siria, la mano tesa dei cristiani

Yohanna X, patriarca greco-ortodosso di Antiochia, nel sermone della Messa di inizio anno pronunciata dalla cattedrale greco-ortodossa di Damasco, ha rivolto messaggi espliciti di collaborazione ad Ahmed al-Sharaa, ovvero Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al Sham (HTS), la sigla islamista a capo della rivolta che ha abbattuto il regime Assad.

“Abbiamo teso la nostra mano – ha detto il patriarca – per lavorare con voi per costruire la nuova Siria, e stiamo aspettando che il signor al-Sharaa e la sua nuova amministrazione ci tendano la mano a loro volta”.

Il Patriarca Yohanna, nella sua omelia, ha notato anche che “sono passate epoche ed epoche. Regni e imperi si sono susseguiti. La radice della nostra permanenza in questa terra è sempre stata la fede che abbiamo udito dalla bocca degli Apostoli”.

Yohanna ha ricordato che il Patriarcato Greco Ortodosso è stato coinvolto in tutti i tentativi nazionalisti che, dal crollo dell’impero Ottomano, hanno cercato di costruire una Siria con una sovranità politica araba basata sulla collaborazione tra cristiani e musulmani.

In particolare, ha ricordato il Patriarca Elias IV Moawad, che parlò in arabo al vertice islamico di Lahore in Pakistan, dedicato a Gerusalemme. Yohanna decimo ha chiesto anche l’elaborazione di una “Costituzione moderna” alla cui stesura partecipino tutti.

L’1 gennaio, secondo informazioni diffuse dal nuovo “Comando generale siriano”, il leader di HTS Ahmed al-Sharaa ha incontrato rappresentanti delle comunità cristiane presenti in Siria.

Il 31 dicembre 2024, al-Sharaa ha incontrato padre Ibrahim Faltas, vicario della custodia di Terrasanta, al quale avrebbe detto di non considerare “i cristiani una minoranza, ma una parte intgrante e importante della storia del popolo siriano.

Faltas ha detto all’Osservatore Romano che Jolani ha espresso “grande ammirazione, stima e rispetto per Papa Francesco”, descritto dal leader siriano come uomo di pace”, e che ha detto di lavorare “per l’unità e la pace”.

Faltas, che ha viaggiato a Damasco, Idlib e Aleppo, ha chiesto a Jolani quale sarà il futuro dei siriani fuggiti dalla guerra, ricevendo come risposta che il nuovo governo ha intenzione di “riportare i siriani espatriati alle loro case e i cristiani siriani ritorneranno a vivere e a professare la loro fede in Siria".

Riguardo alla situazione sociale che ha trovato al suo arrivo a Damasco, Jolani ha detto che "per anni il popolo siriano ha dovuto subire le conseguenze di una corruzione diffusa a vari livelli. Mancavano i servizi essenziali alla vita della maggioranza delle persone, mancava ogni visione di sviluppo e di crescita per il Paese. I dissidenti venivano arrestati e, nel peggiore dei casi, eliminati. Abbiamo visitato prigioni che non avevano niente di umano. Il territorio siriano, ricco di storia e civiltà millenaria, è stato quasi completamente distrutto. La divisione fra le persone ha portato a conflitti e a spaccature".