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Papa Francesco, diplomazia della speranza vs. “la sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”

Nel suo discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico Accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco delinea i tratti di una “diplomazia della speranza”, lamentando” la sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”

Papa Francesco, corpo diplomatico | Papa Francesco con il corpo diplomatico, 9 gennaio 2025 | Vatican Media / You Tube Papa Francesco, corpo diplomatico | Papa Francesco con il corpo diplomatico, 9 gennaio 2025 | Vatican Media / You Tube

La diplomazia della speranza, che non può essere altro che diplomazia della verità, ma anche diplomazia del perdono, è per Papa Francesco la risposta ad un mondo sempre più polarizzato, che vive la “sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”, e in cui c’è bisogno di un linguaggio comune e basato sulla buona fede, e non di documenti internazionali che praticano una “colonizzazione ideologica” cambiando terminologia e valorizzando nuovi diritti, tra cui "l’inaccettabile" diritto all’aborto. Ed è una diplomazia della verità che porta il Papa anche a denunciare la situazione in Nicaragua, dove vescovi sono stati espulsi, e la persecuzione dei cristiani, da quella palese, a quella nascosta che avviene anche in Europa, nonché di puntare il dito contro i conflitti che violano il diritto umanitario e colpiscono le popolazioni e le infrastrutture civili. Ma è anche una diplomazia della verità che guarda alla nuova situazione in Siria, con una apertura di credito verso la nuova amministrazione, sottolineando l'impegno dei cristiani nel costruire una società migliore. 

Come tradizione, Papa Francesco incontra il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per un discorso di inizio anno che rappresenta, in qualche modo, anche l’agenda diplomatica dell’anno. Non legge tutto il discorso, perché ha il raffreddore, ma solo l’introduzione, e lascia la lettura a monsignor Ciampanelli. È la prima volta che succede.

Dopo aver ricordato i suoi viaggi internazionali, la trentina di Capi di Stato ricevuti durante l’anno, gli accordi con Burkina Faso, Repubblica Ceca e Cina siglati durante l’anno, Papa Francesco non manca di toccare i temi a lui cari: dalle crisi mondiali – la prima menzionata è l’Ucraina, poi Gaza, ma anche Sudan, Mozambico, Myanmar, Bolivia, Venezuela e Nicaragua, con una menzione speciale ai 50 anni della divisione di Cipro, nata dall’occupazione di Cipro Nord – alla necessità di dare nuova forza alle relazioni multilaterali, dal dramma della tratta alla visione positiva delle migrazioni.

Colpisce, nel discorso, la menzione molto precisa del rischio di una nuova guerra mondiale, cui risponde con una necessità di negoziato. “D’altronde – dice Papa Francesco – di fronte alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale, la vocazione della diplomazia è quella di favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più scomodi e che non si riterrebbero legittimati a negoziare”.

C’è, in questa frase, il riferimento nascosto all’assenza della Russia dalle Conferenze per la Pace in Ucraina in Svizzera e Canada, ma anche il lavoro diplomatico in Terrasanta, nonché quello in Siria, dove i rapporti con la nuova amministrazione sono tutti da ricostruire.

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Per Papa Francesco, il dialogo “è l’unica via per spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano e per disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge”.

Altro punto interessante, il riferimento alla diplomazia della speranza, che deve essere prima di tutto “diplomazia della verità”, perché “laddove viene a mancare il legame fra realtà, verità e conoscenza, l’umanità non è più in grado di parlarsi e di comprendersi”. Questo significa che la Santa Sede non tacerà di fronte alle violazioni dei diritti umani, anche in dialoghi difficili come quello con la Cina, con la quale è stato recentemente rinnovato per quattro anni l’accordo per la nomina dei vescovi.

Ma il grande tema è il dito puntato contro la strumentalizzazione dei documenti multilaterali “per portare avanti ideologie che dividono, che calpestano i valori e la fede dei popoli”, attuando quella che il Papa definisce “una vera colonizzazione ideologica che, secondo programmi studiati a tavolino, tenta di sradicare le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli”, e che così facendo “fa spazio alla cancel culture”, perché “non tollera le differenze e si concentra sui diritti degli individui”.

Papa Francesco definisce “inaccettabile” parlare di “un cosiddetto diritto all’aborto, che contraddice i diritti umani, in particolare il diritto alla vita”, poiché “tutta la vita va protetta, in ogni suo momento, dal concepimento alla morte naturale, perché nessun bambino è un errore o è colpevole di esistere, così come nessun anziano o malato può essere privato di speranza e scartato”.

Come si struttura la diplomazia della speranza di Papa Francesco? In quattro fasi: portare lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi e proclamare la scarcerazione dei prigionieri.

Nella panoramica mondiale, Papa Francesco nota anche gli atti terrorismo dell’anno – citando gli ultimi, a Magdeburgo in Germania e a New Orleans negli Stati Uniti – e gli attentati al presidente eletto USA Donald Trump durante la sua campagna elettorale e dal Primo Ministro di Slovacchia Fico a maggio dello scorso sono “tragiche esemplificazioni” di società polarizzate e fomentate da fake news “che non solo distorcono la realtà dei fatti, ma finiscono per distorcere le coscienze, generando un clima di sospetto che fomenta l’odio”.

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È un clima che, nota Papa Francesco, “spinge a erigere nuove barriere e a tracciare nuovi confini, mentre altri, come quello che da oltre cinquant’anni divide l’isola di Cipro e quello che da oltre settanta taglia in due la penisola coreana, rimangono saldamente in piedi, separando famiglie e sezionando case e città”.

Papa Francesco denuncia che “i confini moderni pretendono di essere linee di demarcazione identitarie, dove le diversità sono motivo di diffidenza, sfiducia e paura”, e si augura che durante il Giubileo possano essere ripensate “anche le relazioni che ci legano”.

Il Papa ribadisce che “l’essere umano è dotato di un’innata sete di verità”, ma lamenta che “la negazione di verità evidenti sembra avere il sopravvento”.

In questo contesto, Papa Francesco affronta la questione dell’intelligenza artificiale, mettendone in luce gli aspetti positivi. La Santa Sede ha chiesto una autorità mondiale con competenze universali sull’intelligenza artificiale, e c’è questo sullo sfondo della preoccupazione, messa in luce dal Papa, sui diritti di proprietà intellettuale, di sicurezza sul lavoro e protezione dell’ambiente dai rifiuti elettronici.

Ma la situazione mondiale non è rosea, e Papa Francesco chiede di ritornare allo spirito di dialogo che portò all'Atto di Helsinki nel 1975, e nota la crisi delle istituzioni multilaterali, che “non sembrano più in grado di garantire la pace e la stabilità, la lotta contro la fame e lo sviluppo per i quali erano state create, né di rispondere in modo davvero efficace alle nuove sfide del XXI secolo, quali le questioni ambientali, di salute pubblica, culturali e sociali, nonché le sfide poste dall’intelligenza artificiale”. 

C’è dunque bisogno di una riforma degli organismi multilaterali, costruita però “su principi di sussidiarietà e solidarietà e nel rispetto di una sovranità degli Stati”. Il Papa critica anche, come ha sempre fatto la diplomazia della Santa Sede, l’impostazione dei consessi dei grandi (i G7, G20), cui tra l’altro quest’anno ha partecipato, constatando che “c’è il rischio di una monadologia e della frammentazione in like minded clubs che lasciano entrare solo quanti pensano allo stesso modo”, e plaude "ai segnali positivi di una ripresa dei negoziati per ritornare alla piattaforma dell’accordo sul nucleare iraniano, con l’obiettivo di garantire un mondo più sicuro per tutti".

Per superare i conflitti internazionali, ci vuole, nota il Papa, una “diplomazia del perdono”.

Papa Francesco auspica che nel 2025 “tutta la Comunità internazionale si adoperi anzitutto per porre fine alla guerra che da quasi tre anni insanguina la martoriata Ucraina e che ha causato un enorme numero di vittime, inclusi tanti civili”, senza negare i segni incoraggianti all’orizzonte.

Papa Francesco rinnova anche “l’appello a un cessate-il-fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, dove c’è una situazione umanitaria gravissima e ignobile, e chiedo che la popolazione palestinese riceva tutti gli aiuti necessari”, auspicando “che Israeliani e Palestinesi possano ricostruire i ponti del dialogo e della fiducia reciproca, a partire dai più piccoli, affinché le generazioni a venire possano vivere fianco a fianco nei due Stati, in pace e sicurezza, e Gerusalemme sia la ‘città dell’incontro’, dove convivono in armonia e rispetto i cristiani, gli ebrei e i musulmani.”

Papa Francesco ribadisce anche l’appello contro la proliferazione delle armi, e di alimentare con il denaro delle spese militari un Fondo Mondiale per lo sviluppo dei Paesi più poveri e l’eliminazione della fame.

Il Papa ribadisce, come ha più volte fatto: “La guerra è sempre un fallimento! Il coinvolgimento dei civili, soprattutto bambini, e la distruzione delle infrastrutture non sono solo una disfatta, ma equivalgono a lasciare che tra i due contendenti l’unico a vincere sia il male”.

“Non possiamo minimamente accettare – prosegue - che si bombardi la popolazione civile o si attacchino infrastrutture necessarie alla sua sopravvivenza. Non possiamo accettare di vedere bambini morire di freddo perché sono stati distrutti ospedali o è stata colpita la rete energetica di un Paese”.

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Papa Francesco denuncia la comunità internazionale, “apparentemente d’accordo sul rispetto del diritto internazionale”, ma che poi non agisce di fronte alla sua “mancata piena e concreta realizzazione”, e chiede di ritornare ad un "principio di umanità", auspicando che "quest’anno giubilare sia un tempo propizio in cui la Comunità internazionale si adoperi attivamente affinché i diritti inviolabili dell’uomo non siano sacrificati a fronte di esigenze militari".

La panoramica del Papa guarda ai conflitti nel continente africano – citando Sudan, Sahel, Corno D’Africa, la “grave crisi politica” in Mozambico, la guerra nelle regione orientali della Repubblica Democratica del Congo – guarda all’Asia e in particolare al Myanmar, si concentra sui “contesti di acceso scontro politico e sociale” presenti nel continente americano, da Haiti, alle difficoltà politico-sociali in Bolivia, alla Colombia dai molteplici conflitti, alla crisi politica in Venezuela la cui crisi potrà “essere superata solo attraverso l’adesione sincera ai valori della verità della giustizia e della libertà, attraverso il rispetto della vita, della dignità e dei diritti di ogni persona, anche di quanti sono stati arrestati nei mesi scorsi.  

Capitolo a parte merita il Nicaragua, dove da tempo la Santa Sede non ha più rappresentanza diplomatica, mentre un altro vescovo è stato espulso nell’ultimo mese. Afferma Papa Francesco: “La Santa Sede, che è sempre disponibile a un dialogo rispettoso e costruttivo, segue con preoccupazione le misure adottate nei confronti di persone e istituzioni della Chiesa e auspica che la libertà religiosa e gli altri diritti fondamentali siano adeguatamente garantiti a tutti”.

E poi, c'è la nuova situazone in Siria, dopo il crollo di Assad.  Lì, dice Papa Francesco, "dopo anni di guerra e devastazione, sembra stia percorrendo una via di stabilità". Il Papa auspica "che l’integrità territoriale, l’unità del popolo siriano e le necessarie riforme costituzionali non siano compromesse da nessuno, e che la Comunità internazionale aiuti la Siria ad essere terra di convivenza pacifica dove tutti i siriani, inclusa la componente cristiana, possano sentirsi pienamente cittadini e partecipare al bene comune di quella cara Nazione".

Lunga menzione anche al Libano, dove il Papa sarebbe voluto andare. Papa Francesco spera che il Paese, "con l’aiuto determinante della componente cristiana, possa avere la necessaria stabilità istituzionale per affrontare la grave situazione economica e sociale, ricostruire il sud del Paese colpito dalla guerra e implementare pienamente la Costituzione e gli Accordi di Taif", ed esorta che "tutti i libanesi lavorino affinché il volto del Paese dei Cedri non sia mai sfigurato dalla divisione, ma risplenda sempre per il “vivere insieme” e il Libano rimanga un Paese-messaggio di coesistenza e di pace". 

In generale, il Papa afferma che “la prospettiva di una diplomazia del perdono non è però chiamata solo a sanare i conflitti internazionali o regionali. Essa investe ciascuno della responsabilità di farsi artigiano di pace, perché si possano edificare società realmente pacifiche, in cui le legittime differenze politiche, ma anche sociali, culturali, etniche e religiose costituiscano una ricchezza e non una sorgente di odio e divisione”.

Papa Francesco mette in luce anche il tema della libertà religiosa, da garantire, e punta il dito contro l’antisemitismo, che condanna, ma anche contro “le numerose persecuzioni contro varie comunità cristiane spesso perpetrate da gruppi terroristici, specialmente in Africa e in Asia”, ma anche contro “le forme più ‘delicate’ di limitazione della libertà religiosa che si riscontrano talvolta anche in Europa, dove crescono norme legali e prassi amministrative che «limitano o annullano di fatto i diritti che formalmente le Costituzioni riconoscono ai singoli credenti e ai gruppi religiosi”

Il Papa si concentra anche sull’eradicazione della schiavitù, nota che “duemila anni di cristianesimo hanno contribuito a eliminare la schiavitù da ogni ordinamento giuridico”, ma che comunque ci sono altre schiavitù, da quella del lavoro – e fa l’appello per condizioni degne di lavoro – alla schiavitù delle tossicodipendenze, passando per quella della tratta, un “miserabile commercio”, che “va eliminato”, mentre ci si deve anche prendere cura “delle vittime di questi traffici, che sono i migranti stessi, costretti a percorrere a piedi migliaia di chilometri in America centrale come nel deserto del Sahara, o ad attraversare il mare Mediterraneo o il canale della Manica in imbarcazioni di fortuna sovraffollate, per poi finire respinti o trovarsi clandestini in una terra straniera”.

Il Papa poi chiede la liberazione dei prigionieri, e rimette in luce la questione del debito, centrale nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, chiedendo anche alle nazioni più benestanti di condonare “i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli”, in un atto da considerare di giustizia.

Siamo debitori – dice il Papa – “verso Dio, verso gli altri e anche verso la nostra amata Terra, dalla quale traiamo l’alimento quotidiano”. Parlando della questione ambientale, il Papa ricorda i recenti disastri naturali, e dà appoggio alle decisioni dell’ultimo COP29 a Baku, e nota che c’è un debito ecologico tra Nord e Sud.

Per quello, conclude, “è importante individuare modalità efficaci per convertire il debito estero dei Paesi poveri in politiche e programmi efficaci, creativi e responsabili di sviluppo umano integrale. La Santa Sede è pronta ad accompagnare questo processo nella consapevolezza che non ci sono frontiere o barriere, politiche o sociali, dietro le quali ci si possa nascondere”.