Città del Vaticano , sabato, 4. gennaio, 2025 14:00 (ACI Stampa).
C’è un discorso di Giovanni Paolo II che è una sorta di sintesi degli obiettivi della diplomazia vaticana. Giovanni Paolo II incontra, il 23 aprile 1982, i responsabili della mediazione tra Argentina e Cile sulla controversia sulla zona australe. Era da tre anni che la Santa Sede si era impegnata ad aiutare a risolvere la controversia. Ma il conflitto sembrava esacerbarsi in quel momento.
Nel suo discorso, Giovanni Paolo II sottolineava che si sperava di “giungere ad una felice conclusione in molto meno tempo”, lamentava che “si sono verificati, a volte, purtroppo, fatti non del tutto conformi con lo spirito degli impegni assunti al momento della richiesta di mediazione”, e notava che “tutta una concomitanza di circostanze spinge ora ad accelerare il passo e a moltiplicare gli intenti perché le affermazioni di buona volontà, sincere e ripetute da ambo le parti, si traducano in realtà concrete e soddisfacenti”.
Giovanni Paolo II elencava poi i criteri della proposta di pace consegnata ai ministri degli Esteri di Argentina e Cile: l’anelito di pace, il desiderio di vedere stabilite tra i popoli di Cile e Argentina ottime relazioni, la speranza di segnalare le nazioni come esempio. E chiedeva che, proprio per questo, si stipulasse un “Trattato di pace ed amicizia perenni”.
Questo venne effettivamente stipulato il 29 novembre 1984, 40 anni fa, e l’anniversario è stato ricordato con un atto diplomatico, una conferenza accademica e un francobollo dedicato.
Ma come si era arrivati al conflitto? Argentina e Cile, a fine anni Settanta del secolo scorso, erano entrambi governati da regimi militari, con Videla in Argentina e Pinochet in Argentina. Il territorio conteso era il Canale di Beagle, un corridoio di 240 chilometri che collega Atlantico e Pacifico nella parte meridionale del continente americano.