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Mediazioni pontificie, una vocazione che sarebbe potuta diventare un ufficio

La diplomazia della Santa Sede ha sempre svolto il ruolo di mediatore. E, tra le proposte di riforma della Curia, c’era anche l’idea di includere un ufficio dedicato solamente alle mediazioni pontificie

Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede alle Nazioni Unite | UN Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede alle Nazioni Unite | UN

Mentre si discuteva della riforma della Curia, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, arrivò a proporre di stabilire un “ufficio per le mediazioni pontificie” nei ranghi della Segreteria di Stato. Perché l’arte della mediazione è vocazione della diplomazia del Papa. Perché la Santa Sede, Paese terzo, senza interessi economici e senza alcun altro interesse che il bene comune, nasce proprio con il compito di assicurare la pace e la libertà religiosa.

Che l’ufficio fosse una possibilità concreta lo diceva la storia. Ad esempio, gli inviti della Russia alla Santa Sede perché partecipasse alla Conferenza dell’Aja sulla pace del 1898 (la Santa Sede non partecipò, per l’opposizione dell’Italia appena unificata e anticlericale) e dell’Unione Sovietica perché fosse alla Conferenza sulla Cooperazione e la Sicurezza di Helsinki (cui partecipò, portando un contributo essenziale sulla libertà religiosa).

Ma lo diceva anche l’attualità: la facilitazione del dialogo tra Cuba ed Stati Uniti perché questi ultimi riaprissero i rapporti, ma anche la proposta di un think tank di una mediazione in Camerun nella difficile situazione dell’Ambazonia. E poi, le offerte di mediazione in Ucraina e in Terrasanta, per ora senza successo, come pure la nomina di inviati speciali per le crisi in Venezuela e in Ucraina.

L’ufficio per le mediazioni pontificie non è stato, alla fine, incluso nella nuova struttura della Segreteria di Stato. Forse, è anche una questione economica, perché mancano fondi per un nuovo ufficio, per nuovi esperti da assumere, in una situazione di crisi economica che colpisce fortemente il Vaticano. Non significa, però, che questo ufficio non sarà stabilito in futuro, disse il Cardinale Pietro Parolin in una lunga intervista concessa ad ACI Stampa.

L’ufficio, di fatto, non andrebbe solo a gestire possibili mediazioni, ma anche le missioni di pace, il lavoro per il dialogo, forse persino gli interdicasteriali che sono diventati, per Papa Francesco, uno strumento di sinodalità poter ascoltare i problemi.

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Durante il suo pontificato, Papa Francesco ha proclamato tre giornate di digiuno e preghiera per la pace: la prima, nel settembre 2013, per la Siria, unita ad una offensiva diplomatica molto ben strutturata; poi, una per l’Africa, con particolare focus sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan, e, più recentemente, per il Libano, dove il Papa inviò nientemeno che il Cardinale Parolin.

Giovanni Paolo II voleva addirittura intervenire personalmente con il suo peso, programmando un viaggio a Sarajevo nel 1994. Il viaggio non si poté tenere, e fu rimandato al 1997, ben dopo la pace di Dayton.

Nel 1999, Giovanni Paolo II inviò a Belgrado l’allora arcivescovo Jean Louis Tauran, “ministro degli Esteri” vaticano. La guerra del Kosovo era iniziata il 24 marzo 1999. Tauran, arrivato l’1 aprile grazie ad un corridoio protetto, portò un messaggio personale del Papa per il presidente serbo Milosevic in cui si chiede una tregua pasquale, la cessazione immediata delle operazioni di pulizia etnica e i soccorsi urgenti alle vittime del Kosovo. La NATO, informata, acconsente, e ci sarà una tregua per una Pasqua ortodossa che però durerà solo il tempo delle festività pasquali, perché poi le ostilità riprenderanno fino a giugno di quell’anno.

Giovanni Paolo II provò ad intervenire personalmente anche per scongiurare la Seconda Guerra del Golfo. Il 5 marzo 2003, il Papa inviò il Cardinale italiano Pio Laghi ad incontrare il presidente George W. Bush per chiedere che l’attacco, ormai pronto, fosse ritirato. Bush nemmeno lesse la lettera di Giovanni Paolo II.

Ci sono stati anche, però, tentativi di successo. Si è celebrato di recente il quarantesimo del Trattato di Amicizia tra Argentina e Cile sulla disputa del Canale di Beagle, trattato che fu mediato e portato a termine grazie della Santa Sede. Andando indietro nel tempo, la Santa Sede intervenne con una mediazione decisiva anche nella disputa per le Isole Caroline. Ed è noto il ruolo che ebbe Giovanni XXIII nella risoluzione della crisi dei missili a Cuba nel 1962 – in un lavoro che portò anche alla promulgazione dell’enciclica Pacem in Terris.

 

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(1 – continua)