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Papa Francesco, quali sviluppi ecumenici nel 2025?

Il viaggio a Nicea, e forse un viaggio a Belgrado. Ma anche il percorso verso la nuova versione della Charta Oecumenica, che sarà firmata a Vilnius nel 2026

Papa Francesco, Patriarca Bartolomeo | Papa Francesco in uno dei suoi passati incontri con il Patriarca Bartolomeo | Vatican News Papa Francesco, Patriarca Bartolomeo | Papa Francesco in uno dei suoi passati incontri con il Patriarca Bartolomeo | Vatican News

Il 24 maggio 2025, Papa Francesco dovrebbe essere a Nicea insieme al Patriarca Ecumenico Bartolomeo, per ricordare il 1700esimo anniversario del primo concilio ecumenico, il Concilio di Nicea. E sarà questo, probabilmente, l’evento ecumenico più importante dell’anno. Ma non sarà il solo.

Dalla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, i cui sussidi sono stati preparati dalla comunità di Bose, alla presenza delle Chiese sorelle in alcuni eventi del Giubileo, Papa Francesco si trova di fronte ad un anno in cui le questioni ecumeniche sono cruciali. E c’è anche il progetto di una iniziativa a Roma con la Chiesa ortodossa serba, mentre resta all’orizzonte l’idea di un viaggio del Papa a Belgrado, lì dove nessun Papa è stato fino ad ora.

Le questioni ecumeniche sono cruciali anche nello scacchiere internazionale, e in particolare in due dei conflitti che la Santa Sede sta vivendo da più vicino, ovvero i conflitti in Ucraina e Terrasanta.

Per quanto riguarda l’Ucraina, la decisione del Patriarcato Ecumenico di concedere la cosiddetta autocefalia alla Chiesa Ortodossa Ucraina, ovvero lo status di Chiesa indipendente, è stata all’origine di un malcontento (per usare un eufemismo) del Patriarcato di Mosca, che considera l’Ucraina suo territorio canonico.
Forse viene anche da questa idea l’appoggio incondizionato che il Patriarca di Mosca ha dato alla cosiddetta “operazione speciale” in Ucraina. Le reazioni sono state il ritiro del Patriarcato di Mosca dai tavoli ecumenici presieduti o co-presieduti da Costantinopoli, e poi la chiusura di alcuni ponti di dialogo, in particolare con il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Se il pontificato aveva raggiunto un grande risultato con il primo incontro tra un Papa e un Patriarca di Mosca, avvenuto in aeroporto all’Avana (Cuba), ora ci si trova di fronte ad un Patriarcato isolato, laddove il metropolita Antonij, a capo del Dipartimento di Relazioni Esterne della Chiesa Ortodossa Russa, è stato a Roma in  gran segreto per incontrare Papa Francesco e il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Era l’11 dicembre.

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Mentre, a partire dal 3 dicembre, è stato in Italia il metropolita Epifanij, che guida la Chiesa Ortodossa Russa. Il Papa lo ha incontrato, ed è un team importante, considerando che finora non c’era mai stato un incontro ufficiale tra i due. Quindi, Epifanij è stato anche in udienza dal Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

La visita ha previsto anche una preghiera per la pace in Ucraina nella chiesa di San Teodoro, a Roma, sotto la giurisdizione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, e poi incontri e celebrazioni nella diocesi di mater Irsina e nell’arcidiocesi di Bari.

La visita di Epifanij ha inaugurato un nuovo capitolo delle relazioni ecumeniche, ma rischia anche di causare una ulteriore frattura con il Patriarcato di Mosca. La visita più o meno segreta di Antonij - che non passa dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani da quando il Cardinale Kurt Koch, prefetto, è definito “eresia” la legittimazione del conflitto per ragioni religiose – racconta una volontà di mantenere i rapporti.

Anche la questione in Terrasanta tocca i rapporti ecumenici, ma in maniera diversa. I patriarchi delle Chiese di Gerusalemme si sono mossi sempre in maniera compatta sulle questioni geopolitiche, mentre la gestione dello status quo rischia di creare tensioni. Perlomeno, c’è un punto comune, sebbene poi, all’interno del mondo ortodosso, Gerusalemme si sia schierata con Mosca e non con l’autocefalia di Kyiv, tanto che il Patriarca Kirill e il patriarca Teofilo di Gerusalemme hanno concelebrato insieme una liturgia il 21 novembre 2019, ricordandosi a vicenda, ma non ricordando nessuno dei patriarchi nelle sinassi.

Lo scisma ortodosso in corso dal 2018 ha toccato anche l’Africa: nel 2021, il Patriarcato di Mosca ha stabilito due esarcati per accogliere i fedeli ortodossi che non accettavano la decisione di Alessandria di riconoscere l’autocefalia ucraina. A guardare bene, è come se geopolitica e politica religiosa si tocchino, perché lo stabilimento degli esarcati tocca gli interessi strategici russi.

Resta, invece, sospesa nel mezzo Cipro. Il nuovo arcivescovo Giorgios III ha annunciato l’intenzione di fare visita a Papa Francesco quando le condizioni siano opportune, e il dialogo ecumenico, eccellente, tocca anche lì una situazione difficile.

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Cipro è l’ultimo Paese diviso di Europa, un “muro” che in realtà è una green line e che divide dalla parte occupata da cinquanta anni, Cipro Nord, una riconosciuto come nazione solo dalla Turchia. Nella parte occupata, le chiese ortodosse ospitano anche comunità cristiane, private delle loro chiese dai turchi che in alcuni casi le hanno convertite in moschee e in altri in luoghi pubblici come pub e night club.

Cipro, tra l’altro, è Terrasanta. Papa Francesco ha recentemente nominato vescovo il vicario di Cipro, padre Bruno Varriano, la cui sede a Nicosia si trova proprio sul confine. È il segno dell’importanza che ha Cipro e la comunità di Cipro per la Chiesa. Va segnalato che a Cipro si trova anche il Religious Track, gestito dall’ambasciata di Svezia, che è un percorso per la pace che fa del dialogo ecumenico un asset necessario.

Tra Kyiv e Gerusalemme, tra Nicosia e Etchmiadzin. C’è un promettente dialogo ecumenico con la Chiesa Apostolica Armena, fondata da San Marco, che ha stabilito anche un ufficio di liaison permanente a Roma, guidato dall’arcivescovo Khajag Barsamian. Etchmiadzin è impegnata nella conservazione del patrimonio cristiano in Nagorno Kharabakh, chiamato da loro con l’antico nome armeno di Artsakh, e il dialogo non può che passare anche da lì. La Santa Sede si trova in una posizione intermedia, avendo anche relazioni con l’Azerbaijan che, con la sua fondazione, finanzia anche importati opere di restauro in Vaticano.

Sono tutti temi che convergono nel più grande tema della Charta Oecumenica. Il testo originario è del 2001, e, invista dell’Assemblea Ecumenica del 2026, la Charta Oecumenica si rifà il trucco. E il Consiglio per le Conferenze Episcopali di Europa, insieme al Consiglio Europeo delle Chiese, che la avevano licenziata nel 2001, sono al lavoro con una commissione congiunta per “aggiornare” la Charta.

Non è un cammino facile, perché si deve mediare tra le Chiese protestanti e la loro volontà di rendere gli impegni più “pratici”, se così si può dire, e la necessità di dare una forma teologica al tutto. Una bozza dell’aggiornamento, che pone i vecchi capitoli della Charta Oecumenica a fianco alle revisioni, è ora on line per una consultazione pubblica. La cosa che salta agli occhi è che gli impegni concreti sono 55, mentre nella Charta originale erano 26. E poi, c’è l’inclusione a pregare insieme per l’unità, mentre nella versione del 2001 si parlava solo genericamente di “pregare gli uni per gli altri per l’unità dei cristiani”.

Da parte cattolica, è il cardinale Grzegorz Ryś a presiedere il lavoro sulla Charta Oecumenica, in una commissione che include il Rev. Luis Okulik, presidente della Commissione per la Pastorale Sociale del CCEE, e Suor Minsey Estelle Mical Sogbou, della comunità Chemin Neuf.

Da parte KEK, il comitato è composto da Lea Schlenker, della Chiesa Protestante di Germania, dal rev. David White della Chiesa di Irlanda e da padre Oecumenius Amantidis, del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.
Sarà poi interessante vedere come si svilupperanno i rapporti con la Chiesa Anglicana. L’arcivescovo Justin Welby, primate, si è dimesso a seguito di uno scandalo che lo ha coinvolto per aver coperto gli abusi, un suo predecessore, l’arcivescovo George Carey, ha addirittura lasciato il sacerdozio. In attesa di un nuovo primate, arriverà un nuovo direttore dell’Anglican Center a Roma, il già nominato vescovo Anthony Ball, chiamato a mantenere i rapporti ecumenici.

Il tutto in un anno che si prennuncia un anno di anniversari. Perché l’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora a Gerusalemme avvenne il 7 gennaio 1964, sessanta anni fa, me il 7 dicembre 1965 i massimi rappresentanti della Chiesa Cattolica e del Patriarcato di Costantinopoli si riunirono nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar a Costantinopoli e nella Basilica di San Pietro per cancellare le scomuniche reciproche del 1054 (lo scorso anno è stato il 970esimo anniversario di quelle scomuniche)

Ci si aspetta, dunque, uno sviluppo ulteriore a partire dai documenti su Primato e Sinodalità nel Secondo Millennio e nel Primo Millennio, entrambi licenziati dalla Commissione Teologica Congiunta Cattolico Ortodossa, ma anche un ulteriore sviluppo sul documento “Il vescovo di Roma”, pubblicato lo scorso anno, che ha messo in luce come le Chiese sorelle vedano il primato.

Il cammino verso Nicea si sviluppa sulla base di tanti temi comuni. Uno di questi è la difesa della vita umana, che fu anche al centro della dichiarazione congiunta di Papa Francesco e del Patriarca di Mosca Kirill nel 2016. Ma è un tema che tocca anche il dialogo con gli Ebrei, inserito, con una scelta profetica, come parte del dialogo ecumenico e non come parte del dialogo interreligioso.