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Morto il sacerdote Matteo Chu Li-teh, per 27 anni nelle carceri comuniste

Era finito in carcere, e non aveva potuto diventare sacerdote fino a 61 anni. A 91 anni, dopo 30 anni di sacerdozio, muore Matteo Chu Li-teh.

Matteo Chu Li-teh | Immagine di Matteo Chu Li-teh, gesuita, eroe del cattolicesimo cinese | Asia News Matteo Chu Li-teh | Immagine di Matteo Chu Li-teh, gesuita, eroe del cattolicesimo cinese | Asia News

Nel 2015, per il sessantesimo anniversario della persecuzione della Chiesa Cattolica a Shanghai, il gesuita Matteo Chu Li-teh era andato, ottantacinquenne, fino in Vaticano per incontrare Papa Francesco. Il quale gli aveva detto di conoscere da tempo la sofferenza del suo fratello più vecchio, padre Chu-Shu-teh, anche lui arrestato durante la perfezione della Chiesa nel 1955, rilasciato e poi riarrestato nel 1981 e morto per la sua fede in prigione nel 1983, le cui reliquie Bergoglio avrebbe fatto arrivare a Buenos Aires, dove sono ancora custodite nella casa arcivescovile.

La sorte di Chu Li-teh è stata diversa. È uscito, è riuscito a coronare il sogno di diventare sacerdote, e ha vissuto più di 30 anni come sacerdote. La sua morte, avvenuta a Taiwan e resa nota da Asia News, chiude un pezzo di storia della Chiesa perseguitata cinese.

Matteo Chu Li-teh era sesto di otto bambini, e aveva frequentato le scuole dei gesuiti. Era ancora un seminarista quando fu arrestato a Shanghai, nell’ambito di una grande retata. Era il 1955, e i comunisti misero in carcere in quel giorno oltre mille cattolici, tra cui il vescovo di Shanghai Ignazio Gong Pigmei. Dopo 27 anni tra carceri e lavori forzati, il 9 gennaio 1994, a ormai 61 anni, poté essere ordinato sacerdote a Taipei, dopo che era stato rilasciato.

Non che la sua vita fosse stata semplice, comunque. Nel 2005, gli era sto impedito di lasciare la Cina quando stava per imbarcarsi su un aereo per unirsi ai suoi fratelli in una concelebrazione.

Tuttavia, nel 2019, per il venticinquesimo dell’ordinazione sacerdotale, ebbe invece la possibilità di una celebrazione, con i suoi amici, tra cui anche il Cardinale Joseph Zen, l’arcivescovo emerito di Taipei Ti-Kang.

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La storia di Li-teh è in effetti una stoia famigliare. Nella retata del 5 settembre 1955, Matteo finì in carcere insieme ad altri cinque fratelli, tra cui quello già sacerdote di cui Papa Francesco ricordava la storia. La loro madre, Martina, vedova, era chiamata l’addolorata dalla popolazione di Shanghai. Non avendo grandi mezzi, percorreva chilometri a piedi, visitando i figli in sei carceri diverse, e cercando sempre di portare qualche piccola cosa ai figli, subendo anche gli insulti per essere la madre di sei controrivoluzionari.

I sei fratelli furono poi inviati in un campo di lavoro in province lontane: Heilongjiang, Guangxi, Zhejiang, Gansu e Anhui. Per oltre 20 anni non ha più potuto rivederli.

Padre Matteo era stato poi liberato definitivamente nel 1984. Sapeva, tuttavia di non poter mai diventare sacerdote in Cina, perché rifiutava di aderire all’Associazione Patriottica, e nel 1988 ottenne il permesso di andare negli Stati Uniti con il vescovo Gong Pingmei, in un “esilio mascherato”, e fu poi lo stesso vescovo a spingerlo a partire per Taiwan per riprendere il noviziato nella Compagnia di Gesù.

Alla sua ordinazione nel 1994 era presente anche la mamma Martina. Parlando con Mondo e Missione dopo l’ordinazione, padre Matteo aveva sottolineato che, nei più di 20 anni di prigionia, aveva avuto anche diversi momenti di scoramento, ma anche che era in pace perché “insieme a tanti miei fratelli e sorelle nella fede, anch’io so di non aver compiuto nulla né contro Dio né contro il mio Paese, che amo intensamente. Siamo stati inviati nei lager solo perché volevamo conservare intatta la fede ricevuta e compiere la volontà di Dio che ci vuole persone vere”.