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Cardinale Leo: “Ripartire da Cristo e proporre con chiarezza il Vangelo”

L’arcivescovo di Toronto, creato cardinale nell’ultimo concistoro, parla con ACI Stampa del Canada, delle sfide della secolarizzazione e della necessità di parlare di fede senza paura

Cardinale Francis Leo | il Cardinale Francis Leo, arcivescovo di Toronto | Daniel Ibanez / ACI Group Cardinale Francis Leo | il Cardinale Francis Leo, arcivescovo di Toronto | Daniel Ibanez / ACI Group

“Dobbiamo riportare al centro di tutto Gesù”. Il nuovo cardinale canadese Francis Leo ha origini solidamente italiane. È alla guida dell’arcidiocesi di Toronto dal 2022, ha studiato nella Pontificia Accademia Ecclesiastica ed è stato nel servizio diplomatico della Santa Sede, è Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tutto, per lui, deve essere ricondotto a Cristo. E di fronte ad una Chiesa che forse ha avuto timore di esprimersi negli ultimi anni, la sua richiesta è quella di ritornare a parlare con chiarezza, a riportare al centro il messaggio del Vangelo, senza aver paura della secolarizzazione.

Quali sono le caratteristiche dell’arcidiocesi di Toronto?

Toronto è la città più grande del Paese, così come lo è l’arcidiocesi, nata nel 1841 e dove ci sono circa 2 milioni di cattolici. È una diocesi vasta, con un territorio di 13 mila chilometri quadrati, una grande diversità divisa in 225 parrocchie e missioni. Ci sono molti religiosi, circa 700. C’è anche il sistema delle scuole cattoliche, inserite nel sistema statale. Abbiamo molte opere sociali, specialmente svolte da religiosi e un monastero di clausura, e spero di averne anche un altro presto, perché credo molto nella forza della preghiera che viene dalla vita consacrata.

Quali sono le sfide?

Per esempio, si nuota in un mare di secolarismo. E quindi, la nostra sfida è di riportare il discorso religioso e di riportare Gesù al centro. Il nostro obiettivo è mostrare come vivere la fede, come portare nella società la luce di Cristo su un messaggio di vita e salvezza. Toronto è una città ricca, ci sono tante aziende, tanti uffici centrali. E questo significa anche che ci sono persone generose nei confronti della Chiesa. Questo però ci porta ad un’altra sfida, ovvero la tentazione di mettere la nostra fiducia nell’avere, invece che nell’essere di Cristo e di appartenere a Gesù.

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Il tema della famiglia quanto è importante?

Va messo al centro il discorso della famiglia e la pastorale della famiglia, anche per garantire una crescita sana di giovani capaci di dare un senso alla loro vita con la fede, e impegnarsi nella comunità e nella società facendo del bene e riscoprendo la loro vocazione in Cristo. Siamo chiamati ad essere presenti nelle parrocchie, nei quartieri, nella varie situazioni sociali. Dobbiamo essere sale e luce per loro. Dobbiamo aiutare i giovani a riscoprire l’importanza della fede personale, domandandosi: “Chi è Gesù per me?” Ed è importante domandarselo nella preghiera, perché è lì che conosciamo meglio la Sua volontà per noi.

Questa non è solo una sfida per Toronto… è una sfida per la Chiesa…

È in generale una sfida della Chiesa. La preghiera ci apre all’azione dello Spirito Santo. Purifica la nostra memoria. Ci apre al perdono del Signore. Modifica il nostro sguardo ai nostri occhi, purifica il cuore, guarisce l’anima. Più preghiamo e più diventiamo come Cristo. Ci apriamo all’azione dello Spirito Santo che da sempre è vita. E dobbiamo affidarci alla Vergine, alla Madre Nostra che ci è stata data come un regalo di Gesù. Lei ci aiuterà. Questo fa per noi. Intercede per noi. Ci guida.

Lei parlava delle sfide del secolarismo. Nel Québec, a voi vicino, c’è stato questo processo della revolution tranquille, che ora è diventato una secolarizzazione galoppante, quasi irrealizzabile. Ma lei parla anche di una fede vibrante nella sua comunità. Vivete anche voi la sfide della secolarizzazione? O c’è speranza?

La speranza è per tutti, perché Cristo è la nostra speranza. Ha detto che sarebbe stato con noi fino alla fine dei tempi, nonostante le tempeste, i guai, le tentazioni, le persecuzioni, l’indifferenza. Ma Cristo è sempre presente, e con lui abbiamo la speranza. Leggendo la storia della Chiesa, in 2000 anni ci sono state tentazioni, scismi, difficoltà. Ma la Chiesa è la sposa di Cristo, e il Signore sarà presente nella Chiesa fino alla fine dei tempi.

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Come fare a corrispondere a questa grazia della presenza di Gesù?

Io credo che non occorra avere paura. Non dobbiamo dimenticare chi siamo, da dove veniamo e qual è il progetto di Cristo per noi. Siamo chiamati ad essere discepoli missionari, siamo parte della missione di Cristo stesso. Dobbiamo, ovviamente, analizzare il contesto in cui viviamo, ma con lo scopo di proporre sempre Gesù e la via del suo magistero e del suo regno, con uno sguardo adeguato al mondo di oggi, conoscere le persone, ma rispondendo sempre a partire da Gesù. Il nostro lavoro non è fuori da Lui, è con Lui. A volte ci si manifesta in un certo modo, a volte ci si presenta in un altro modo per rispondere alle esigenze contingenti. Ma Gesù deve sempre essere sempre al centro.

Ma come riuscire in Canada a contrastare situazioni come quella recente sulla legge sull’eutanasia, che è una delle leggi più “avanzate” in materia di eutanasia. È un grande tema per la Chiesa di oggi, ma per la società civile. Quale è il vostro compito?

È una ottima domanda. Io credo che si debba ancora incominciare a Cristo, che è venuto nella nostra vita ed è venuto a donarcela in abbondanza. Lui ci rivela un Dio della morte, ma della vita.

Quindi, il nostro obiettivo è quello di riproporre con chiarezza il Vangelo della Vita, e difendere i diritti delle persone. Le persone che chiedono l’eutanasia sono persone che soffrono e che però non hanno forse compreso l’amore di Gesù per loro. Noi dobbiamo trasmettere il significato della vita umana vissuta, perché questa ha un senso, anche nel dolore. E dobbiamo ricordare loro che non sono soli. La Chiesa è accanto a loro.

Qual è il problema della legge sull’eutanasia?

Vuole proporre una comprensione antropologica sbagliata. La Chiesa risponde proponendo lo sguardo di Cristo, che è portatore di vita. È una visione che dà speranza. Ci ricorda che la vita ha un significato e un senso anche quando siamo ammalati, in agonia, in difficoltà. La nostra sfida da cristiani, come membri del Corpo di Cristo, è di farci vicini a chi soffre, proponendo il Vangelo della vita senza paura. Dobbiamo far capire la bellezza della vita, di cui fa parte anche la nostra chiamata alla Vita Eterna.

Parlare chiaro è la grande sfida…

Sì, ma siamo chiamati a combattere contro queste ingiustizie. Dobbiamo, come cristiani, essere forti, ed essere chiari. Non arroganti, ma umili e forti nel denunciare ogni legislazione che sia contro l’uomo. La legge sull’eutanasia è una legge che porta la morte, e noi non lo possiamo accettare. Per questo dobbiamo rispondere chiaramente, portando proprio il messaggio del Vangelo, e ribadendo il diritto alla vita.

Lei ribadisce più volte la necessità di chiarezza. Ma perché si deve ribadire? Perché i cristiani a volte sono sembrati “timidi” nell’esprimere ciò in cui credo?

Forse dietro questa “timidezza” c’era la paura. La paura di non essere capiti, la paura di essere perseguitati E questa paura limita la testimonianza che dobbiamo dare. Ma forse non abbiamo neanche capito bene fino a che punto stesse andando il secolarismo. Non si trattava di semplice indifferenza. Era la volontà di costruire la vita e la società senza Dio, ignorando completamente il discorso religioso, e ignorando completamente le persone di fede. Forse non abbiamo capito che il secolarismo ci spingeva proprio in questa direzione, che non è solo proporre una vita alternativa senza alcun riferimento a Cristo. È, peggio ancora, perseguitare, far passare leggi con pratiche anti-umane, come quelle sull’eutanasia. È una visione anti-cristiana, e forse siamo stati troppo ingenui, e quindi non ci siamo abbastanza preparati per poter difendere la vita e i nostri diritti da una ideologia infame.

C’è una eclissi di Dio nel mondo o sono le persone che non cercano Dio?

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Le persone non possono non cercare Dio. Lo cercano sempre, magari non coscientemente. Ma Lui, Dio, è bellezza, verità e bontà. Quando noi cerchiamo queste cose, senza saperlo cerchiamo Dio. È parte della coscienza morale di ogni persona. Si tratta solo di passare dall’implicito all’esplicito. Far capire alle persone la vita senza fine, che noi cerchiamo. Dio ha fatto l’uomo, e dunque ci sarà sempre nell’uomo l’affetto per Dio. La capacità di conoscere Dio è nella natura umana. Noi, come cristiani, come persone di fede, dobbiamo aiutare le persone a comprendere che questa ricerca del cuore umano, queste ricerche antropologiche, filosofiche, spirituali, hanno una risposta nella persona di Gesù Cristo. Le persone cercano certamente Dio. Non lo conoscono forse abbastanza. Dobbiamo ripartire dal kerigma. Riproporre la persona di Gesù e la vita nuova che abbiamo per mezzo di Lui. Perché quando conosciamo la persona di Gesù, la vita cambia.