Roma , mercoledì, 15. aprile, 2015 17:07 (ACI Stampa).
“Il Papa ci ha benedetto e incoraggiato.” Ashiq Masih, marito di Asia Bibi, è stato in Italia per due giorni. Ha chiesto al Papa, alla comunità internazionale, di prendere a cuore il caso di sua moglie, pakistana, madre di cinque figli, arrestata per blasfemia nel 2009, e condannata a morte per lo stesso crimine nel 2010. Ora detenuta in una prigione vicino Lahore, in Pakistan, Asia Bibi ha visto respinto l’appello presentato alla Corte di Lahore lo scorso 16 ottobre, e ora attende gli esiti dell’appello alla Corte Suprema del Pakistan. Ci potrebbero volere anni. La sola speranza è il perdono presidenziale.
Per questo, il marito e la figlia più giovane di Asia Bibi hanno trascorso due giorni a Roma, per incontrare Papa Francesco, ma anche per presentare il loro caso all’Europa, chiedendo alla comunità internazionale di sensibilizzarsi al problema, e di fare pressioni sul governo pakistano per liberare la donna.
Un incontro, quello con il Papa, breve e commovente. “Ho potuto baciargli la mano, abbiamo chiesto di sostenerci. Il Papa ci ha benedetto e incoraggiato,” dice Ashiq Masih.
Ad ogni modo, anche una eventuale liberazione della donna va gestita con cautela e attenzione. Ashiq Masih spiega ad Acistampa che “in Pakistan, il 74 per cento della popolazione è musulmano, e la maggior parte di questi non vuole la liberazione di Asia Bibi. Per questo, nel momento in cui lei venisse liberata, dovrebbe essere subito portata all’estero, per evitare rappresaglie.”
Eisham Ashiq, 14 anni, la figlia più giovane di Asia Bibi, ha raccontato in una conferenza stampa alla Camera martedì 14 aprile che aveva “nove anni quando mia madre è stata arrestata. Le accuse contro di lei sono del tutto false. Mia madre stava lavorando quando altre due donne le hanno chiesto dell’acqua da bere. Quando mamma gliel’ha data, hanno cominciato a dire che le sue mani erano impure, che i cristiani non sono degni di mangiare e bere con i musulmani, persone pulite. Su questa radice è stata costruita l’accusa di blasfemia”.