Città del Vaticano , mercoledì, 24. febbraio, 2016 10:40 (ACI Stampa).
Nabot non vuole vendere la sua vigna al re Acab. E la moglie di Acab lo fa uccidere, con accuse false. Ma Acab si pente di quello che è successo, si converte. “Che bello se i potenti sfruttatori facessero lo stesso”, chiosa Papa Francesco. Che poi aggiunge: “La misericordia può cambiare la storia”.
Continua il ciclo delle catechesi sulla misericordia. È una giornata assolata, e Papa Francesco fa il consueto giro della piazza. Poi, la lettura, quel passaggio del libro dei Re che racconta la storia di Nabot. Nabot, la cui vigna era l’eredità dei padri. Nabot, che viene ucciso e depredato dai suoi beni ad opera della regina Gezabele, che “non era brutta, ma cattiva”, dice il Papa. Nabot, che è per il Papa un paradigma di quello che avviene al giorno di oggi.
“Questa – dice Papa Francesco - non è una storia di altri tempi. Anche una storia di oggi. Dei potenti, che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il minimo per arricchire ai potenti. È la storia dei politici corrotti, che vogliono più e più e più”.
Quello di Papa Francesco è un atto d’accusa verso quelli che lui chiama “i potenti sfruttatori. Dice: “In diversi passi si parla di potenti, dei re, degli uomini che stanno in alto e anche della loro arroganza, dei loro soprusi”. Concede che “la ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità”. Ma quando – nota il Papa - “come troppo spesso avviene, vengono vissuti come privilegio, egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte”.
E la storia di Nabot è presentata come una sorta di archetipo di tutte queste situazioni di sfruttamento. Il re vuole comprare la sua vigna, perché confina con il Palazzo Reale, e fa pure un’offerta generosa. Ma – spiega il Papa – “in Israele le proprietà terriere erano considerate quasi inalienabili”, perché – come scrive il Levitico – le terre venivano considerate dono del Signore, su cui tutti erano “forestieri e ospiti”.