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Ucraina, Sua Beatitudine Shevchuk: “Siamo testimoni di speranza”

Dieci giorni in Francia per il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. La speranza del suo popolo. La fede cristiana. Il dramma della religione militarizzata

Sua Beatitudine Shevchuk | Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk alla plenaria della Conferenza Episcopale di Francia, 5 novembre 2024 | UGCC Sua Beatitudine Shevchuk | Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk alla plenaria della Conferenza Episcopale di Francia, 5 novembre 2024 | UGCC

Un viaggio di dieci giorni in Francia, su invito della Conferenza Episcopale Francese, non per portare il dramma della guerra, ma piuttosto per portare la speranza nel mezzo di una situazione difficile. Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha concluso il 5 novembre una lunga visita ufficiale che lo ha portato ad avere i massimi incontri istituzionali (con il presidente Macron, con il ministro dell’Interno Retailleau, con il ministro degli Esteri Barrot), ma anche e soprattutto ad incontrare le comunità greco cattoliche ucraine in Francia e a prendere contatto con una Chiesa di Francia che si sente molto vicina al popolo ucraino.

Al di là del dramma della guerra, Sua Beatitudine ha voluto piuttosto guardare alla speranza. Una speranza che nasce dalla Resurrezione, e che fa del popolo ucraino un “popolo pasquale”. Lo racconta ad ACI Stampa.  

Beatitudine, ha trascorso dieci giorni in Francia, invitato dalla Conferenza Episcopale Francese. Ha detto di portare il messaggio della speranza del popolo ucraino. Ma c’è una speranza per il popolo ucraino?

La speranza del popolo ucraino è sempre in Dio. E la speranza è una virtù interessante. Ho scoperto che in francese ci sono due parole per indicare la speranza. La prima è espoir, una speranza come sentimento che si basa su calcoli umani, sulle aspettative mondane, civili e statali. La sconda è esperance, e questa è la virtù teologica cristiana. È questa seconda che noi abbiano in Ucraina. E ce la abbiamo perché crediamo nella Resurrezione. Questa speranza ci fa vedere la nostra vita in prospettiva più ampia, ci permette di riconoscere i valori profondi. Questa visione della vita è quella della nostra gioventù, e la ho portata come un messaggio di speranza dell’Ucraina alla Francia. Fin dall’inizio non sono venuto né per lamentarmi, né per mendicare, ma per portare le ragioni della nostra speranza.

La Chiesa greco-cattolica ucraina alla fine conosce il senso della Resurrezione. È stata in diaspora, è ritornata dopo il comunismo, è morta e risorta molte volte. Prendete da questa storia il senso della Resurrezione?

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Io vedo la speranza del nostro popolo non tanto dal punto di vista della diaspora, perché la maggioranza della nostra gente non è discendente di quella vecchia diaspora, ma dal punto di vista della Chiesa clandestina. Anche le persone che hanno partecipato alle Divine Liturgie da me presiedute in Francia sono venute perché continuano a vivere in questo mondo culturale, nazionale ed ecclesiastico dell’Ucraina, seguono quello che succede in Ucraina, pregano con la Chiesa in Ucraina, vogliono ascoltare la voce della loro Chiesa.

Quale è, allora, la prospettiva della speranza?

La prospettiva della speranza viene dalla storia. Abbiamo sperimentato varie volte, nella storia della nostra Chiesa, momenti della più totale distruzione. Ricordiamo, ad esempio, gli avvenimenti del 1240, quando i Tartari hanno distrutto completamente Kyiv e l’unico edificio intatto era la cattedrale di Santa Sofia. Nella basilica si trova il famoso mosaico della Madonna orante di Kyiv, ed è lì che nel popolo è nata la tradizione legata alla Madre di Dio.

Quindi, abbiamo avuto un secondo momento di distruzione ad opera dell’Impero Russo. Dopo la conquista dei territori ucraini che prima erano parte del regno polacco-lituano nel 1839, l’Impero Russo ha sistematicamente perseguitato la nostra Chiesa.

Io adesso sono il metropolita di Kyiv e mi trovo, in questa situazione, a riedificare la nostra Chiesa. Nei miei occhi risorge la nostra Chiesa in queste terre dell’Ucraina centrale, sul fiume Dnipro. Vedo come queste nostre radici nella città di Kyiv, nella culla del nostro Battesimo, non sono morte, e mi ricorda delle parole del profeta Isaia che disse che dalla stirpe di Davide sarebbe sbocciato chi avrebbe portato la speranza.

E ci sono altre distruzioni?

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La terza distruzione è quella avvenuta durante il periodo dell’Unione Sovietica, cui poi è seguita la Resurrezione, l’uscita dalle catacombe, il ritorno dalla diaspora. Io ho visto con i miei occhi la mia Chiesa uscire dalle catacombe. Ho visto la mia Chiesa resuscitare come il Corpo di Cristo. E come gli apostoli che avevano visto il Cristo Risorto sono andati in tutto il mondo per dare l’annuncio, anche noi, giovani di quell’epoca siamo stati chiamati ad essere testimoni della Chiesa che risorge. Tutti questi momenti sono parte della preghiera anamnestica della Chiesa.

Quale è questa preghiera anamnestica?

Noi con le mani alzate preghiamo per il popolo di Dio che viene distrutto ogni giorno, condannato a morte e ferito, e diciamo al Signore: ricordati di noi! Questa è la nostra vocazione verso la libertà. Tu ci hai sedotto con la vocazione di credere, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, che la nostra libertà non è un sogno, ma è la tua volontà. E viviamo in questa rilettura del popolo di Dio nella storia del nostro Paese. Alcuni definiscono la cultura del nostro popolo come una cultura pasquale, come fece, ad esempio, Hryhorii Skovoroda, filosofo dell’Accademia Kyiv-Mohyla a Kyiv. Skovoroda definisce come “confermata” la speranza cristiana fondata nella nostra cultura.

Il popolo ucraino vive in una cultura pasquale. Nel mezzo della guerra, in un conflitto che sembra non rimarginare le ferite del passato, quanto spazio c’è per la riconciliazione e il perdono? Quanto questi due passaggi, che sono parte del mistero pasquale, possono avere luce? Perché dopo la guerra si tratterrà di riconciliare popoli che rimarranno a vivere su terre vicine…

Riconciliare i popoli è un processo travagliato e difficile che dura molti anni. Sono molte le ragioni per cui non ci si può riconciliare subito. Talvolta le ferite del passato e i risentimenti nazionali si trasmettono da una generazione all’altra.

Noi abbiamo avuto un esempio di riconciliazione, ed è stato il processo di riconciliazione polacco-ucraino, ispirato da Giovanni Paolo II. Era un periodo storico molto difficile sia per il popolo ucraino che per il popolo polacco, perché ambedue erano stati annientati dal sistema sovietico. È interessante che il passo di riconciliazione ha avuto luogo a Roma, nel Collegio San Giosafat. Il motivo era semplice: i vescovi polacchi potevano uscire dalla Polonia per andare a Roma, mentre i vescovi dall’Ucraina non potevano muoversi. Allora sono stati chiamati a Roma i vescovi della diaspora ucraina, perché gli ucraini in diaspora erano liberi.

C’era in realtà in precedente per quel processo di riconciliazione

I vescovi polacchi avevano fatto un passo simile nei confronti del popolo tedesco. Fu il cardiale Boleslaw Kominek, arcivescovo di Wroclaw, che avviò il processo. Gli episcopati cattolici tedesco e polacco, dunque, trovarono nel 1965 questa formula: perdoniamo e chiediamo perdono. E così, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando lo Stato polacco rinasce e quando la nostra Chiesa esce dalle catacombe, l’iniziativa della riconciliazione è stata riportata sul suolo ucraino. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, ucraini e polacchi avevano bisogno di riconciliazione.

Quale è stato il momento cruciale della riconciliazione polacco-ucraina?

È avvenuta durante la visita di San Giovanni Paolo II in Ucraina nel 2001, durante la Divina Liturgia celebrata dallo stesso Papa in cui aveva proclamato i beati martiri del comunismo. Davanti a un Papa polacco, il mio predecessore, il cardinale Lubomyr Husar, ha chiesto perdono al popolo polacco e a tutti gli altri popoli ai quali il popolo ucraino aveva portato offese storiche in questo momento. Il cardinale Husar diceva che non vogliamo che la nostra difficile storia porti il veleno del nostro presente e ci distrugga il futuro.

Ci sono stati passi successivi?

Un passo simile è stato fatto a Varsavia e Leopoli durante l’anno dedicato all’Eucarestia. Non solo i vescovi parlavano a nome del popolo. I vescovi di Ucraina e Polonia hanno chiesto al popolo direttamente se questo avrebbe voluto perdonare, e il popolo ha detto: sì, lo vogliamo. A cinquanta anni da questo percorso di mutuo perdono, c’è ancora tanta strada da percorrere. Sempre i politici cercano di sfruttare il dolore del popolo, cercano di risvegliare questi egoismi nazionali giocano sulla tensione e sullo scontro tra i popoli. A volte, arrivano al potere parlando della “politica storica”, che è un concetto non corretto: il politico deve guardare al futuro, se fa politica manipolando e sfruttando la storia, è come se andasse avanti con la testa voltata indietro, e rischia di sbattere la sua testa e quella di coloro che lo seguono.

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Oggi cosa si fa per la riconciliazione?

Abbiamo scritto un nuovo appello al popolo polacco, già firmato dal Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose in Ucraina. L’appello riguarda le vittime della tragedia di Volyn, ma anche la richiesta di rispetto per le vittime ucraine che sono morte in territorio polacco. Ci vuole mutuo rispetto tra i popoli, e mutuo rispetto tra i defunti. La guerra in Ucraina ha creato un nuovo contesto per questa riconciliazione, perché l’attacco della Russia contro l’Ucraina ha risvegliato anche antiche ferite del popolo polacco. I polacchi si sono ricordati del periodo in cui la Polonia era sparita tra le potenze e non esisteva se non nella memoria e nel cuore dei polacchi.

In questa situazione, cosa possono fare le confessioni cristiane, e cosa possono fare le confessioni cristiane insieme? Il movimento ecumenico ha ancora senso in Ucraina?

Forse nella situazione odierna i cristiani di tutte le confessioni sono sorpresi davanti ad un cristianesimo che, come dice Papa Francesco, si fa distillare dalle ragioni di Stato, e così facendo diventa una banale religione civica.

Se la Chiesa adotta questa ideologia distillata non predica il Vangelo di Gesù Cristo, e spaccia come Vangelo questa religione civica dello Stato e il proprio egoismo nazionale. È una grande sfida, una sfida ecumenica. Io veramente vedo come è importante la comunione tra le Chiese, che fa concordare la nostra esperienza e intelligenza con la fede della Chiesa universale. Questo ci dà la capacità di verificare se il Vangelo che predichiamo è lo stesso della Chiesa Cattolica, al quale si devono allineare la nostra vita, la nostra predicazione, le nostre prese di posizione.

In questo movimento ecumenico, che ruolo ha il rapporto con il Patriarcato di Mosca? Ci sono aperture o solo chiusure?

La parte della Chiesa ortodossa russa che si trova in Ucraina si è resa conto prima della porzione di loro fedeli nella Federazione Russa del problema della fede distillata. In effetti, il Patriarca di Mosca ha definito la guerra in Ucraina come “guerra santa” e così facendo ha definito “santa” la possibilità di poter uccidere i fedeli della sua stessa Chiesa se sono cittadini di un altro Stato. Questo è fuori dalla comprensione, perché gli ortodossi del Patriarcato non solo russi, ma anche in Moldavia o in altri Paesi dell’Unione Sovietica si aspettavano che il loro Patriarca fosse un protettore e non un messaggero di una Chiesa che vuole espandersi. Se questa Chiesa si identifica troppo con la ragione di Stato della Russia, si aliena dalle sue comunità che vivono in altri Paesi.

I cittadini ucraini come reagiscono?

I cittadini ucraini vivono una grande crisi di identità che li porta spesso fuori di questa Chiesa. Il risentimento che deriva dal sentirsi abbandonati dai loro pastori caratterizza la progressiva secolarizzazione. Si pensa, infatti, che chi abbandona la Chiesa ortodossa russa passi, magari, alla Chiesa ortodossa autocefala. Non è così. L’uomo e la donna della cultura moderna, quando si sentono traditi dalla propria Chiesa, non si fideranno di nessuna Chiesa. Questa è una grande tragedia. Per questo ho detto molte volte che l’ideologia del mondo russo sta minando la credibilità stessa del messaggio evangelico.

Ma c’è una crisi generale di fede in Ucraina?

Oggi i credenti di tutte le religioni in Ucraina vivono la crisi dell’immagine di un Dio protettore, ovvero di quel Dio con cui si può contrarre un contratto che mi garantisce la vita protetta. È una immagine che non funziona. “Dove è Dio? Quale è il Dio autentico?”: è questa la domanda esistenziale che fa nascere un forte movimento di conversione. La gente allora si converte all’autentica vita cristiana perché la guerra ha distrutto l’immagine di Dio che ci siamo creati prima della guerra. La gente veramente si converte all’autentica vita cristiana, perché la guerra ha distrutto l’immagine di Dio che ci siamo creati prima della guerra. La gente, dunque, cerca una relazione personale e viva con Dio creatore e salvatore. Un Dio che stranamente, come dice la gente, è in mezzo a noi, e soffre attraverso di noi.

È una visione così concreta?

È misterioso come le persone riscoprano che le ferite del nostro popolo sono le ferite di Cristo. Mentre visitavo un ospedale e guardavo le ferite dei giovani, mi è venuta una esclamazione: “Signore, ma sei tu?” Perché è veramente Cristo che soffre nella carne del nostro popolo, che viene poi ucciso e torturato. Ma Cristo che è risorto dai morti. Questa speranza cristiana non è solo una idea cerebrale mentale, è una esperienza vissuta, perché se Cristo viene torturato e ucciso allora in questa carne resusciterà.