Un sogno spezzato quello dei messicani, un sogno che il Papa vuole riportare ai giovani che devono avere la oppotunità di una vita degna a casa loro, negli altopiani assolati e nelle città oggi tragicamente segnate dalla violenza, dal narcotraffico, dalla corruzione.
Allora ecco il cammino che inizia proprio con il lungo a articolato discorso ai vescovi del Messico e si conclude idealmente con il discorso al mondo del lavoro.
Ai vescovi il Papa dice “chinatevi con delicatezza e rispetto, sull’anima profonda della vostra gente, scendete con attenzione e decifrate il suo misterioso volto. Il presente, spesso dissolto in dispersione e festa, non è forse anche propedeutico a Dio che è l’unico e pieno presente? La familiarità con il dolore e la morte non sono forme di coraggio e vie verso la speranza? La percezione che il mondo sia sempre e solamente da redimere non è antidoto all’autosufficienza prepotente di quanti credono di poter prescindere da Dio?”
Papa Francesco in Messico ha compiuto in un viaggio molto più “maturo” in America latina dei precedenti. Lo scorso anno Francesco aveva ancora puntato sulla emotività di tanti discorsi improvvisati. Questa volta ha improvvisato pochissimo, solo per sottolineare qualche passaggio.
Una messa al giorno, come faceva Giovanni Paolo II, per parlare soprattutto di Dio.
E ai giovani dice: “Mi avete chiesto una parola di speranza: quella che ho da dirvi, quella che è alla base di tutto, si chiama Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e, per favore, non staccatevi mai dalla sua mano, anche se vi sta portando avanti trascinandovi; e se una volta cadete, lasciatevi rialzare da Lui”.
Mette in guardia le famiglie dalle colonizzazioni, perchè “ si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società”.
E al ritorno in areo è proprio il Papa a dare l’esempio e non lasciarsi “colonizzare” dai media, dalle domande sulle unioni civili, sulla comunione ai divorizati risposati che non è, dice, un’onoreficenza.
E poi il mondo del lavoro, che il Papa vuole incontrare proprio nel luogo da dove la gente fugge per andare verso gli Stati Uniti pensando di risolvere così ogni questione.
No, dice il Papa, la gente deve avere opportunità in Messico, a casa propria. E richiama la Dottrina sociale della Chiesa come unica indicazione, insieme al suggerimento pratico di dialogare, perdere qualche cosa ognuno per guadaganare tutti.
Perché altrimenti, si perde tutti. Come ha detto ai responsabili della Cosa Pubblica: “L’esperienza ci dimostra che ogni volta che cerchiamo la via del privilegio o dei benefici per pochi a scapito del bene di tutti, presto o tardi la vita sociale si trasforma in un terreno fertile per la corruzione, il narcotraffico, l’esclusione delle culture diverse, la violenza e persino per il traffico di persone, il sequestro e la morte, che causano sofferenza e che frenano lo sviluppo”.
E allora è nelle mani di Maria che il Papa mette ancora una volta il destino del Messico, cita il grande poeta messicano Octavio Paz e saluta così: “Che Maria, la Madre di Guadalupe, continui a visitarvi, continui a camminare per queste terre – il Messico non si capisce senza di Lei –, continui ad aiutarvi ad essere missionari e testimoni di misericordia e di riconciliazione”.
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