Roma , venerdì, 1. novembre, 2024 18:00 (ACI Stampa).
"Volete andarvene anche voi?". La domanda, struggente e puntata diritta al cuore, è presentata in un passo del Vangelo di Giovanni, che vale la pena di riportare per intero, anche alla luce della riflessione che queste giornate di festa (Tutti i santi, il giorno dei defunti) ci propongono, al di là e al di sopra del frastuono dei festeggiamenti di massa.
"Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?". Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»".
Pietro risponde con la voce della fede, ed è l’unica risposta possibile, in questa prospettiva. Ma quella domanda sarà infinite volte ripetuta, letta, studiata, meditata, ed è anche diventata, significativamente, il titolo di un romanzo di Luigi Santucci che dopo decenni di colpevole oblio, ora viene meritoriamente ripubblicato dalle Edizioni San Paolo, con una pregevole prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi. Un romanzo che è in realtà la rilettura, in chiave poetica della vita di Cristo, intimamente intrecciata con la storia degli uomini, dello scrittore e dei lettori che si avventurano nel territorio incantato e doloroso di queste pagine.
Luigi Santucci (1918-1999) pubblica quest’opera nel 1969 proprio con il titolo Volete andarvene anche voi? Ed è attraversata, per ammissione dello stesso autore, dalla poetica della gioia: “La poesia propone e consegna praticamente la felicità quotidiana. Nel mondo della poesia non esistono infelici…” La ricostruzione che Santucci fa del Vangelo possiede quindi la felicità della reinvenzione poetica e della testimonianza di una personale adesione di fede: “In queste pagine ho scelto di accostare il Messia quasi da testimone fisico; a volte dal di dentro di Lui e altre dal di dentro di me. Fra i tanti modi possibili di narrare questa storia mi sono pertanto arbitrato di sceglierli e associarli tutti >. I capitoli del libro, sette in tutto, sono a loro volta suddivisi in brevi paragrafi aperti da una frase del Vangelo. Sono molti i momenti cruciali descritti da Santucci in modo da imprimersi profondamente nella memoria. Come riesce, ad esempio, a fare di Giuseppe una figura indimenticabile, proprio di di lui così poco appariscente e conosciuto. Giuseppe è un uomo-fanciullo, purezza infinita e quieta follia, perché al senso comune ciò che lui decide di vivere è incomprensibile, ed è a quelli che lui che Dio affida le missioni più audaci.
Ecco il terribile momento in cui Gesù, caricato della croce si avvia al patibolo, trasformato in “ un fantoccio tartassato dal furore del male, straziato da un odio senza logica e senza responsabili, maledizione e vittima.” Cristo è inchiodato sulla croce, lentamente muore sotto lo sguardo dei suoi nemici, dei suoi carnefici e dei pochi che non lo hanno abbandonato, a partire dalla madre e del discepolo prediletto. Affida la madre a Giovanni e Giovanni alla madre: alla sesta ora, morente, Gesù rimane orfano, ci ha donato tutto: la sua vita e chi gli ha dato la vita, sua madre. E testimonia che se pure ciascuno di noi volesse “andarsene”, Lui invece ci resta accanto fino alla fine dei tempi.