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"Nelle e dalle Chiese esiste l’una e unica Chiesa". La seconda giornata di studio sul Sinodo e Concilio

Dopo ieri, la seconda giornata alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Domani, ultimo incontro

La Pontificia Università Gregoriana di Roma | La Pontificia Università Gregoriana di Roma | Credit Unigre.it La Pontificia Università Gregoriana di Roma | La Pontificia Università Gregoriana di Roma | Credit Unigre.it

Seconda giornata ricca di interventi e spunti di riflessioni quella del convegno “Dal Concilio al Sinodo. Rilettura di un cammino di Chiesa a 60 anni dalla Lumen Gentium (1964-2024)” alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Una tre giorni di riflessione sull’innovazione del Concilio Vaticano II in rapporto al SInodo da poco conclusosi. Organizzato in collaborazione con la Segreteria Generale del Sinodo e il Collegium Maximum della Pontificia Università Gregoriana, il convegno sta costituendo, de facto, il primo atto di riflessione teologica dopo la chiusura della seconda sessione dell’Assemblea del Sinodo.

 

E se la prima giornata ha affrontato il tema “Chiesa, cosa dici di te stessa?”  con gli interventi di alcuni importanti relatori come il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo, la seconda giornata si è soffermata sul tema “Nelle e dalle Chiese esiste l’una e unica Chiesa”, questo il titolo della seconda giornata. La frase prende spunto dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium (numero 23) prezioso e importante frutto del Concilio Vaticano II stesso. 

Entriamo, dunque, nel vivo della giornata che da quelle parole prende spunto. Di sinodalità e ruolo dell’episcopato si è parlato oggi, grazie agli approfondimenti dei relatori che hanno sgranato - così come si fa con un Rosario - diversi aspetti della Costituzione dogmatica in relazione al Concilio Vaticano II e al nostro presente: il Sinodo da pochi giorni concluso. 

Ad aprire i lavori,  Don Giuseppe Bonfrate (della Pontificia Università Gregoriana) che ha anche moderato l’incontro. A seguire, il Professor Antonio Autiero, Professore emerito dell'Università di Münster, che si è soffermato sul tema “La Chiesa e il suo “luogo”: per una ecclesiologia in contesto”. La dissertazione accademica si è soffermata sul concetto di “luogo” in relazione alla Chiesa, sottolineando come il termine - prende spunto anche dagli studi recenti di architettura, il Professor Autiero - si sia profondamente evoluto in qualcosa di diverso dalla concezione passata: non è possibile considerare “luogo” solamente “come semplice spazio materiale o geografico”, besì grazie a un “linguiaggio nuovo ed insolito” - così precisa Autiero - riusciamo ad avere in questo lemma una valenza del tutto “antropologica e sociale”. Luogo diventa così un “orizzonte in cui confluiscono soggetti reali diversi”. E così sta avvendendo nella Chiesa: un “luogo” appunto, in cui diverse realtà coabitano e la sinodalità è proprio espressione di ciò. Lo sguardo poi si concentra sulla concezione (fa riferimento al Vaticano II) di una “Chiesa non fuori dal mondo”, non rinchiusa in “spazi chiusi autoreferenziali”. Il Sinodo da poco conclusosi si innesta in questa direzione: non chiusura, bensì sta cercando di “abattere le barriere” perché “rendere abitabile la Chiesa vuol dire abattere le pareti d’ingombro”. 

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Assai interessante il secondo intervento della giornata di Eloy Bueno De La Feunte, Professore Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà di Teologia della Spagna settentrionale, dove insegna anche Cristologia e Antropologia. La relazione del teologo spagnolo si è concentrata soprattutto sul tema “Chiesa, sinodalità, missione”. Particolare attenzione nelle parole dell’accademico è stata data alla parola “missione” che - secondo De La Feunte - se a inizio Sinodo non ricopriva un ruolo fondamentale, diversa situazione si è creata alla sua chiusura: “Mi colpisce che la parola missione abbia preso ancora più importanza”, così parla il teologo spagnolo. “Missione” ed “evangelizzazione”: si concentra su questi termini la dissertazione. “Dopo il Sinodo un punto di transizione è dovuto al fatto che la chiesa si trova nel cuore stesso della missione. Nel Vaticano II c’erano ostacoli che non facilitavano questa transizione”. Nel Concilio non si comprendevano bene i due termini: vangelizzazione e missione che molto spesso avevano lo stesso carattere, precisa Del Fuerte che precisa che “la parola missioni aveva degli echi colonialisti occidentali che provenivano dall’epoca moderna”. Questi, i “limiti dell’ermeneutica dei Padri del Concilio Vaticano II” secondo il teologo. Inoltre, leggendo il Vaticano II non c’è stato “incontro tra Lumen Gentium e Ad gentes che è rimasta un po’ al margine”. Il riferimento è al Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, a firma di Papa Paolo VI, del 7 dicembre 1965. Il pensiero del teologo spagnolo va alla trasformazione della parola “missione” in “esperienza ecclesiale”: “La missione appartiene a Dio da dove tutto parte e la Chiesa deve mettersi in questa dinamica” per poter “nascere tra gli altri”, tra la gente e nella gente. 

 

Le relazioni del Professor Gilles Routhier, dell’ Université Laval e di Myriam Wijlens (Universität Erfurt) si sono addentrate aspetti canonistici riguardo le Conferenze episcopali e il ruolo dei Vescovi. Gilles Routhier ha evidenziato come “le conferenze episcopali non sono semplicemente un raggruppamento di gerarchi”, i Vescovi, “ma esprimono la communio ecclesiarum”. La Professoressa Wijlens ha sottolineato, invece, come “Papa Francesco con questo Sinodo ci ha invitato ad entrare in un processo di riconfigurazione dei principi attivi della Chiesa” e “il popolo di Dio è entrato in questo nuovo cammino” che rappresenta una “Chiesa in movimento dove le norme canoniche devono prevedere l’attuazione di questo cammino e non soffocarlo”.

La sessione pomeridiana del convegno è affidata a Dario Vitali, Professore ordinario della Facoltà di Teologia. Prende la parola Juan Usma della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino - Angelicum si è occupato del tema “Comunione ecclesiale e questione ecumenica”. A questo tema, lo stesso Usma, ha voluto inserire un sottotilo: “La conversione ecumenica della Chiesa cattolica”, frase di  San Giovanni Paolo II tratta dall'enciclica “Ut unum sint” del 1995. La parola che ritorna più volte nella relazione di Usma è: ecumenismo che “non è un progetto, ma un movimento spirituale” che ha come obiettivo quello “dell’unità che viene raggiunta da uno sforzo congiunto di tutti i cristiani”. “La Chiesa è chiamata a essere più rassomigliante alla Chiesa di Cristo”: cosa difficile da attuare, precisa Usma, “nemmeno nella Chiesa cattolica”. Perché? Perché “al di fuori della Chiesa cattolica - ci dice il Vaticano II - ci sono esempi di santificazione e verità”.  E riguardo questo concetto cita ancora una volta l’ “Ut ununm sint” di Giovanni Paolo II in cui è scritto: “Al di fuori della Chiesa cattolica non vi è il vuoto ecclesiale”. E sottolinea, riguardo il Sinodo appena concluso, la veglia ecumenica che c’è stata in occasione nell’assise sinodale: “Per la prima volta tutte le chiese sono venute a Roma a pregare con il Papa per una Chiesa in sinodo”. Elementi che indicano la conversione della Chiesa verso l’ecumenismo (quella conversione che Usma citava ad inzio del suo intervento): la partecipazione attiva di altre chiese al Sinodo, elemento fondamentale per comprendere dove la Chiesa si sta dirigendo.  

L’ultimo intervento è affidato a Peter Szabo, della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia, che si è concentrato sul tema “Chiesa latina e Chiese orientali” affrontando gli sviluppi di una nuova visione ecclesiologica-canonica condivisa: Szabo nella sua relazione cerca di trovare elementi comuni fra le due Chiese, quella latina e quelle orientali.

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