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Cosa intendeva San Giovanni Paolo II per collegialità e sinodalità ?

Nel giorno della festa liturgica del Papa che guidò il maggior numero di sinodi della contemporaneità, rileggiamo le sue parole.

Il cardinale Karol Wojtyła in uno dei Circoli minori al Sinodo |  | Laici.va Il cardinale Karol Wojtyła in uno dei Circoli minori al Sinodo | | Laici.va

Quando nel 2001 la Assemblea sinodale guidata da San Giovanni Paolo II mise al centro delle riflessione "Il vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo" si poteva dire che fosse una tappa del cammino iniziato con il Concilio e proseguito con l’Apostolos suos. Al termine dei lavori nella relazione finale, l'allora cardinale Bergoglio lascia aperto un interrogativo: “Oltre al rapporto giuridico di comunione gerarchica, come si potrà incoraggiare la collegialità affettiva e più ancora il vincolo di comunione fra i vescovi in quanto successori degli apostoli e il Successore di Pietro? Quali iniziative si potranno prendere per rafforzare questi legami di carità e perché tale comunione si manifesti meglio a tutti, credenti e non credenti, in tutto il mondo?”

La risposta arrivava in parte nella Esortazione post sinodale Pastores gregis. Due anni dopo la conclusione del sinodo Giovanni Paolo II scrive sul tema della collegialità episcopale le sue ultime pagine di magistero.

A presentare alla stampa il testo sarà proprio il cardinale argentino che ha sostituito lo statunitense Egan rientrato a New York a metà del sinodo per essere vicino ai suoi fedeli sconvolti dall’attentato alle Torri Gemelle. E’ il 17 ottobre del 2003 la Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Pastores gregis viene presentata alla stampa.

Jorge Bergoglio sceglie di parlare in spagnolo, e riassume il testo con veloci pennellate. Sul tema della collegialità dice: “Notese aquí como la dinamica centro-periferica se resuelve en el "unico centro": Jesu Cristo. Centro totalizante que incluye todas las periferias.”

Oggi nel giorno della festa liturgica del Santo Papa e nel pieno del dibattito sulla sinodalità, quel tema della collegialità sembra tornare prepotentemente al centro della riflessione. Almeno per chi ricorda alcuni testi di San Giovanni Paolo II.

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Uno in particolare ha dei passaggi che andrebbero riproposti ai partecipanti al Sinodo in corso.

Il sinodo dei vescovi è certamente il luogo per eccellenza dell’esercizio della collegialità. E per questo forse uno dei discorsi più belli di Giovanni Paolo II su questo tema è quello tenuto a braccio al termine del sinodo del 1990.  Il tema era quasi una seconda tappa sulla teologia del Popolo di Dio, dopo i fedeli laici  e prima dei vescovi il sinodo affrontava “La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”. E si celebravano anche i 25 anni di vita del sinodo stesso.

Al termine dell’agape fraterna dopo la messa conclusiva, Giovanni Paolo II prende la parola.

"Io sono uno che ha vissuto tutto il Concilio e vissuto tutto questo periodo post conciliare che è marcato dai diversi sinodi, ho vissuto e partecipato. E mi ricordo un po’ che all’inizio, anche venti anni fa, c’erano grandi speranze intorno al sinodo e queste speranze si sono mostrate fallite. E c’erano dall’altra parte grandi paure a causa di queste speranze. E anche queste paure si sono mostrate non fondate, non dico che sono fallite, ma non fondate. Per spiegare un po’ queste parole enigmatiche voglio ricordare che all’inizio c’erano ambienti che speravano che il sinodo avrebbe potuto opporsi al Papa. Nel modo degno di una comunità democratica che noi non siamo. Ma dall’altra parte c’erano ambienti, forse anche più vicini al centro, che a causa di queste speranze avevano paura del sinodo! Dopo 25 anni possiamo dire che sia le speranze, che si sono manifestate vane, che le paure, appartengono al passato. Oggi viviamo i sinodi uno dopo l’altro con una grande serenità e sempre una maggiore serenità. Se mi ricordo gli ultimi sinodi, anche con tematiche difficili, questo strumento della collegialità dei vescovi è uno strumento efficace. E poi è uno strumento non tanto nelle mani nostre, è uno strumento nelle mani di Dio dello Spirito Santo. E questo andava crescendo se prendiamo il penultimo sinodo con la grande partecipazione dei laici che hanno molto lavorato per convertirci! (…) 

Tutto questo è una prova di come il sinodo sia diventato veramente uno strumento provvidenziale per quella che, si potrebbe dire, autorealizzazione della Chiesa. Una realizzazione guidata dallo Spirito Santo. Ma in quanto è una realizzazione realizzata da noi dalle persone umane, dalle comunità umane, è anche un’autoreliazzazione. Con questo riferimento trinitario o almeno pneumatologico.

Allora si vede come questo strumento esprime la tradizione apostolica la istituzione di Cristo, questa istituzione meravigliosa. Ci ha lasciato una struttura allo stesso tempo collegiale e primaziale. Primaziale e collegiale. E uno si realizza attraverso l’altro. Il primato si realizza attraverso la collegialità, e la collegialità attraverso il primato. La nostra serenità e la nostra gioia che noi sperimentiamo durante i sinodi sempre di più, questa nostra gioia proviene dalla riscoperta di questa istituzione di Cristo, istituzione apostolica. Istituzione della struttura gerarchica della Chiesa che per essere primaziale deve essere collegiale e per essere collegiale deve essere primaziale. E si vede sempre di più come questa strutture doppia è nello stesso tempo una struttura omogenea. Proveniente dallo stesso Maestro che ci ha istituito, ci ha dato la vita con la sua morte e con la sua resurrezione, con il suo mistero pasquale, ci ha dato il suo Spirito".

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