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Diario del Sinodo, i criteri per una “sana decentralizzazione”

Tra il tema delle Chiese Orientali e quello delle Chiese locali, torna la questione della centralizzazione al Sinodo

Sinodo 2024 | Un momento del SInodo dei vescovi 2024 | Vatican Media / ACI Group Sinodo 2024 | Un momento del SInodo dei vescovi 2024 | Vatican Media / ACI Group

Pare non ci sia stato grande consenso sinodale sulla questione della decentralizzazione di alcune competenze, incluse le competenze dottrinali, alle Conferenze Episcopali. E così, il tema è ritornato negli ultimi discorsi, riformulato nell’idea di una “sana decentralizzazione”, e con uno sguardo particolare alle Chiese Orientali cattoliche e al concetto di territorio.

Il Sinodo si avvia verso l’ultima settimana, e sarà una settimana impegnativa. L’incontro dei padri e madri sinodali che ne hanno fatto richiesta con i gruppi di studio rappresenta una ulteriore sponda di dialogo. Le relazioni dei gruppi di studio, che comunque termineranno il loro lavoro a sinodo terminato, hanno dimostrato la tendenza a mantenere una certa organizzazione nella Chiesa, senza considerare troppo le spinte sinodali, ma anzi tornando indietro su temi che sembravano acquisiti, come quelli del vescovo-giudice. Questo dialogo a cosa porterà?

Una delle suggestioni della prima tappa di questo sinodo su Comunione, Missione e Partecipazione, ribattezzato sinodo sulla sinodalità, era proprio la necessità di guardare al contributo delle Chiese Cattoliche Orientali, alla loro sinodalità e anche alle loro particolarità, considerando che già le Chiese sui iuris prendono le loro decisioni in un Sinodo, che però è sempre un Sinodo dei vescovi.

Così, nel dibattito, spiega il Prefetto della Comunicazione Paolo Ruffini, si è parlato di “criteri per la decentralizzazione”, ed è stata sottolineata l’importanza “delle Chiese particolari, che non nuocciono, ma servono l’unità”, considerando che le Chiese cattoliche orientali “sono un dono che va orientato e difeso”, perché “la Chiesa di rito latino non rappresenta l’intera Chiesa cattolica”.

Si è parlato anche – continua Ruffini – di “ridefinire il concetto di territorio”, perché alcune Chiese cattoliche orientali hanno vissuto in diaspora.

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Sheila Gomes, segretario della Commissione per l’Informazione del Sinodo, ha sottolineato che si è discusso di come definire “una sana decentralizzazione”, e che i criteri sono dati dalla prossimità e dalla sacramentalità. La prossimità, tra l’altro, potrebbe prevedere anche un maggiore dispiegamento dei vescovi sul territorio, ma non è quella la linea “di governo” del Papa, perlomeno in Italia, dove diverse diocesi sono state unite in persona episcopi.

I padri e le madri sinodali hanno invece compreso che è importante ridefinire il ruolo delle parrocchie, e hanno definito che – è ancora Gomes a parlare – “una sana decentralizzazione può accrescere la dimensione di corresponsabilità ma sempre in unità in fedeltà con il magistero e nella comunione ecclesiale con il successore di Pietro e in rispetto con le Chiese locali”

E forse il cavallo di Troia sta proprio nel dibattito sulla relazione tra Chiesa locale e Chiesa universale.. Perché è in questo contesto che tutte le questioni controverse, persino espunte dal dibattito dell’assemblea, possono rientrare in gioco. In fondo, questa è la sinodalità: che le Chiese locali abbiano il loro peso, a volte ancora più grande della Chiesa universale, e che dunque possano prendere delle decisioni anche sulla dottrina, anche se la questione della dottrina viene sempre in qualche modo separata.

La terza settimana del Sinodo è quella in cui si è discussa l’ultima parte dell’Instrumentum Laboris, ma è anche quella in cui il Cardinale Steiner di Manaus ha rilanciato alla possibilità di sacerdoti sposati e diaconato femminile, quella in cui l’incontro teologico pastorale su Chiesa locale e Chiesa universale spostava la barra dell’attenzione proprio sul ruolo delle Chiese particolari, quello in cui il Cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, ha sottolineato che la Chiesa va radicata in una cultura.

In questo senso, l’incontro con i gruppi di studio assume una certa importanza. I temi dei gruppi possono diventare parte del Sinodo, possono essere discussi, possono anche essere parte del documento finale, che – ha spiegato il prefetto della Comunicazione Paolo Ruffini – si dice che “dovrà essere comprensibile per il popolo di Dio”.

 

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Questa politica supera anche il dibattito sul ruolo del vescovo. Anche Papa Francesco ha voluto dire dall’inizio del Sinodo che i vescovi non perderanno le loro prerogative. Il modo in cui queste prerogative sono usate fa la differenza.

Sarà su questi temi che si giocheranno molte delle dinamiche sinodali e il documento finale. È da considerare che il dibattito è stato vivace, a tratti anche interessante, ma l’idea è quella che solo l’esortazione post-sinodale del Papa servirà a sbrogliare la matassa. Non fino in fondo, tra l’altro, se il tema dei viri probati, escluso dal Sinodo Pan-Amazzonico, è ritornato in agenda.

Il briefing del 18 ottobre ha visto tre cardinali alternarsi. Il Cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, la città che ha ospitato gli ultimi incontri del Mediterraneo, e che mette in luce proprio come il Mediterraneo sia un coacervo di culture e di tre continenti.

Il Cardinale Rueda, arcivescovo di Bogotà, che mette in luce la ricchezza del lavoro latino americano. E il Cardinale Ameyu Martin Muella, di Juba (Sud Sudan) che ha descritto la situazione difficile del suo Paese.

“C’è corruzione - dice – in una nazione che è nata con la possibilità di essere una nazione prospera, ma che poi, per la cattiva gestione, ha fatto sì che molte persone soffrissero. Noi dialoghiamo cerchiamo di risolvere molti problemi sociali della nazione”.

L’arcivescovo di Juba parla anche del problema del surriscaldamento globale, un “enorme problema, perché c’è una sub-regione dove l’acqua arriva verso il Sud e a causa dell’alta pressione dell’acqua, molte regioni sono state sommerse e molte persone stanno soffrendo”.

L’arcivescovo Luis Marin, sottosegretario del Sinodo dei vescovi, ha detto che “dobbiamo essere una Chiesa che parla di temi che nessuno comprende, o una Chiesa servitrice, aperta, missionaria”.

Secondo Marin, quello che viene fuori dal dialogo del Sinodo è una Chiesa “che si appoggia su questi pilastri”. Il primo è che la Chiesa è “Cristo-centrica”, il secondo è che la Chiesa è fraterna (“ “il Sinodo è stata una esperienza di bella fraternità), il terzo è una Chiesa inclusiva e il quarto è una Chiesa dinamica – “e Dio voglia che comunichiamo l’entusiasmo a un mondo che ha tanto bisogno della risposta di Cristo”.

Marin parla anche di “unità e varietà”, perché “c’è un solo Signore per una varietà di situazioni”. Il processo sinodale “non termina, ma deve concretizzarsi in strutture che sono strumenti”. E da questo ci saranno delle proposte fatte al Papa.

Ma quali sono i passi avanti sul tema di unità nella diversità? Il Cardinale Rueda sottolinea che “lo stesso stile del Sinodo è un avanzamento”, perché ci sono donne con voto, invitati, e lo stesso sinodo è una novità.

L’arcivescovo Marin dice che il Sinodo è un frutto del Concilio, ma “va oltre, è una invenzione, e il cambio che andiamo a fare è che la Chiesa è sinodale”, e le fonti “sono i padri della Chiesa”. 

Si parla anche della questione della poligamia. “È stata presentata da diverse conferenze – dice il Cardinale Ameyu – e non è un problema di alcune conferenze, ma di tutta l’Africa. Abbiamo visto che è importante approcciare i problemi in maniera olistica. Noi come Chiesa dobbiamo essere agenti pastorali, in Africa come in Europa, e dunque si deve essere attenti di “problemi che riguardano l’umanità”.

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insomma, "i criteri per il matrimonio restano i medesimi", ma prendersi cura delle persone in relazioni poligame "è necessario epr la chiesa locale", perché dobbiamo "prenderci cura delle persone nelle loro situaizoni".