Tania Tetlow, presidente dell’Università, ha invece riflettuto sul ruolo della Fordham University nell’educare le giovani generazioni, e ha ringraziato il cardinale per la visita.
Parolin a New York, i bilaterali con il Kosovo
A margine dei suoi impegni alle Nazioni Unite, il Cardinale Pietro Parolin ha tenuto due bilaterali con alti ufficiali del Kosovo, ovvero la presidente e il primo ministro. Il Kosovo ha recentemente aperto un ufficio di liaison in Vaticano, che comunque non ha peso diplomatico. La Santa Sede non ha mai riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente, sebbene i rapporti con Pristina siano buoni e di ottimo livello.
Gli incontri, dunque. Il 30 settembre ha incontrato la presidente del Kosovo Vjosa Ormani, la quale – si legge in un comunicato della presidenze del Kosovo – ha “sottolineato l’importanza del ricnoscimento della Santa Sede come un passo verso l’approfondimento delle relazioni tra gli Stati, che contribuirà anche alla pace e stabilità nella regione a lungo termine”.
Parolin ha anche incontrato il primo ministro kosovaro Albin Kurti. Questi, in un post su X, ha sottolineato che “le nostre relazioni bilaterali sono cresciute sempre più forti grazie allo stabilimento della speciale missione della Repubblica del Kosovo in Vaticano e continuiamo a alimentare i nostri legami con il nostro impegno comune per i diritti umani, la libertà religiosa, la libertà e le eguali opportunità per tutti”.
FOCUS BELGIO
Dopo la visita di Papa Francesco, il nunzio convocato dal Primo Ministro
Non ha lasciato indifferente, la visita di Papa Francesco in Belgio. Dopo la protesta dell’UC Louvain, la parte francese della storica Università Cattolica di Lovanio, che ha accusato il Papa di avere posizioni arretrate sui temi dell’inclusione delle donne, è la volta del mondo politico, che non ha gradito né la visita sulla tomba di Baldovino né il fatto che Papa Francesco abbia indicato Baldovino come un esempio per il popolo belga per essersi autosospeso dalle funzioni di re – in realtà, trovò un trucco istituzionale perché fosse temporaneamente impedito ad esercitare le funzioni – per non firmare la legge sull’aborto che era stata promulgata dal Parlamento.
Non solo. Papa Francesco ha anche ribadito che l’aborto è per lui come affittare un sicario, e che non ci può essere discussione sul fatto che la vita umana sia presente già dal concepimento.
Parole che hanno colpito al cuore la secolarizzata società belga, che tra l’altro ha costruito sul dramma degli abusi una sorta di sentimento anti-cattolico che, in pratica, marginalizza la Chiesa sulla base della risposta agli abusi.
Basta ricordare che prima del viaggio di Papa Francesco il primo ministro belga aveva convocato il nunzio, l’arcivescovo Franco Coppola, proprio con lo scopo di parlare del caso Vangheluwe, il vescovo di Bruges che aveva ammesso abusi, mentre il ministro della Giustizia arrivava persino a condividere con la Santa Sede documenti delle indagini, mettendo a rischio anche il principio della separazione Chiesa – Stato.
Ora, le parole del Papa sono considerate uno strappo diplomatico, perché il Papa è in Belgio anche nella sua funzione di capo di Stato, e dunque le sue parole suonano come una critica a leggi interne del Belgio.
Così, lo scorso 3 ottobre, in un question time alla Camera di Bruxelles, il Primo Ministro De Croo ha definito “inaccettabili” i comenti di Papa Francesco sull’aborto, annunciando di aver avuto un colloquio con l’arcivescovo Franco Coppola, nunzio apostolico.
Sono stati diversi gli interventi al question time di Bruxelles. Sarah Schlitz, deputata ecologista, ha denunciato la “doppia agenda” di Papa Francesco per la visita, e ha preso di mira la comparazione dei medici abortisti ai sicari, descritta come “una provocazione del tutto inappropriata nel giorno della Giornata Internazionale del Diritto all’Aborto”.
Il Papa, ha denunciato, ha parlato di aborto mentre in Belgio si discute della proroga del termine legale per l’interruzione di gravidanza a 18 settimane, decidendo “di interferire in un dibattito nazionale che è oggetto di intense discussioni nel Parlamento Federale. Ciò è assolutamente inaccettabile”. S
Schlitz ha denunciato anche le dichiarazioni di Papa Francesco sulla donna come “accoglienza fertile, cura, dedizione vitale”, descritta come “una visione superata della donna”, e ha chiesto al Primo Ministro se le parole del Papa non “costituiscano una ingerenza nelle leggi del Belgio.
La deputata dell'Open Vld, Katja Gabriëls ha a sua volta denunciato quella che ha considerato come una “mancanza di rispetto da parte del Papa nei confronti della democrazia, della professione medica e della libertà delle donne di fare le proprie scelte”. Charlotte Deborsu, parlamentare belga, ha chiesto se il Primo Ministro conferma “che la separazione tra Chiesa e Stato resta fondamentale, qualunque sia la religione?”
Durissima Caroline Désir, deputata socialista, ex ministro dell’Istruzione: "Signor Primo Ministro, lei ha accolto un leader religioso che ha approfittato della sua visita per esprimere le sue posizioni più retrograde e patriarcali sul tema delle donne. Avete chiesto al vostro ministro degli Esteri di convocare il nunzio apostolico per denunciare le affermazioni del capo della Chiesa?"
Da parte sua, il primo ministro ha fatto sapere che manderà un “messaggio chiaro” al nunzio, e ha affermato che nel programma non era prevista alcuna visita alla cripta di Laeken" (dove sono sepolti i re del Belgio, incluso Baldovino, ndr). È stato il Papa stesso a insistere per questa visita dell'ultimo minuto per poter pregare davanti alla tomba di Re Baldovino venni poi informato dell'avvenuta visita”.
De Croo parla di una visita che “doveva essere privata”, ma della quale ci sono state poi “comunicazioni ufficiali da parte del Vaticano” e dunque era “un po’ meno privata del previsto”.
Per De Croo, Papa Francesco ha fatto “dichiarazioni inaccettabili”. E ha aggiunto: “Non abbiamo lezioni da imparare sul modo democratico in cui i nostri parlamentari votano le leggi. Il tempo in cui la Chiesa dettava legge nel nostro Paese è, fortunatamente, molto lontano”.
De Croo ha chiesto rispetto “per i medici che svolgono il loro lavoro nei limiti di un quadro giuridico e per le donne che devono poter disporre liberamente del proprio corpo, sempre senza ingerenze da parte della Chiesa”.
Il Primo Ministro ha anche attaccato la Chiesa che, ha sottolineato, non è stata sempre pronta ad agire quando si è trattato di affrontare il dramma degli abusi, e ha detto che “se dobbiamo indignarci per qualcosa, è per coloro che, ad esempio, hanno permesso che venissero commessi atti di molestie sessuali, o per coloro che non hanno agito quando avrebbero dovuto farlo”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede alla Conferenza della Dimensione Umana, le libertà fondamentali
In questa settimana si è tenuta, come ogni anno, la Conferenza sulla Dimensione Umana di Varsavia. La Santa Sede viene rappresentata dalla Missione presso l’OSCE e le altre organizzazioni internazionali che hanno sede a Vienna.
Il 2 ottobre si è parlato delle libertà fondamentali. La Santa Sede ha rimarcato che “gli sforzi per supportare la libertà dei media e il loro impatto positivo sulla pace e la sicurezza dovrebbero essere basati su una comune comprensione del ruolo che questi giocano nel servire, promuovere e proteggere la dignità umana”.
Un approccio del genere necessita anche “che i media riconoscono che la loro libertà è una manifestazione particolare del diritto umano della libertà di espressione”, il quale a sua volta ha comunque doveri e responsabilità.
La Santa Sede ha in particolare sottolineato la “relazione particolare tra la libertà di espressione e la libertà di religione”, perché quest’ultima “non preclude dibattito critico o discussioni serie sulla religione”, ma allo stesso tempo “non è accettabile nascondersi dietro la libertà di espressione come giustificazione per diffondere stereotipi negativi, intolleranza, discriminazione, ostlità, e violenza contro una religione e i suoi membri”.
La Santa Sede chiede piuttosto uno spazio dove “entrambe le parti possano mostrare le loro vedute”, una piattaforma che “i mass media dovrebbero essere incoraggiati a fornire”.
Inoltre, la Santa Sede rimarca che media e giornalisti hanno “l’obbligo di servire il bene comune attraverso informazione accurata, oggettiva e bilanciata”.
Il ruolo dei giornalisti – sottolinea ancora la Santa Sede – si accentua nelle situazioni di conflitto, quando il giornalista può dare punti di vista inediti e può anche guardare alla “intensa sofferenza umana che accompagna ogni conflitto”, così da mettere “le luci dei riflettori direttamente sulle vittime, e così facendo contribuendo a spingere la comunità internazionale ad agire”.
La Santa Sede alla Conferenza sulla Dimensione Umana, le questioni umanitarie
Il 2 ottobre, la Conferenza sulla Dimensione Umana di Varsavia si è concentrata in una sesssione della plenaria sulle Questioni Umanitarie.
Nel suo intervento, la Santa Sede ha descritto la tratta di esseri umani come “uno dei fenomeni più seri e complessi da affrontare considerando la sua natura multiforme”.
La Santa Sede ha notato che, “sebbene uomini e donne vi possano essere coinvolte”, ragazze e donne sono quelle più suscettibili ad essere oggetto di tratta, e le donne “continuano ad essere oggetto di tratta per sfruttamento sessuale o domestico”.
I criminali approfittano delle “instabili situazioni politiche” che ci sono in tempo di guerra o crisi umanitarie, e questo si nota in particolare in Ucraina, dove lo sviluppo della tratta è una “delle molte conseguenze devastanti della guerra”.
Secondo la Santa Sede, “sarebbe ipocrita affrontare il problema (della tratta) senza prendere in considerazione le cause alla base del deplorevole traffico di esseri umani che forza migliaia di uomini e donne ad affidarsi a criminali per poter lasciare i loro Paesi in cerca di una vita più sicura”.
Non solo povertà, guerre e persecuzioni vanno annoverate tra le cause, ma anche eventi climatici e naturali che rendono “i territori di partenza inospitali”.
La Santa Sede alla Conferenza Sulla Dimensione Umana, qualche osservazione
La Conferenza sulla Dimensione Umana si era aperta a Varsavia il 30 settembre. Nella sessione di apertura, la delegazione della Santa Sede ha lamentato che “non si è raggiunto consenso sulle decisioni rilevanti che riguardano l’Incontro di Implementazione della Dimensione Umana”, specialmente a causa di “disaccordi sostanziali sulla comprensione stessa o interpretazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.
La Santa Sede ha messo in luce di aver più volte espresso preoccupazione “riguardo le conseguenze di questi approcci che tendono a rimuovere i diritti dal loro contesto, che restringono lo scopo della loro applicazione o che permettono di variare il loro significato e interpretazione e così di negare la loro universalità”.
Insieme all’idea che i diritti umani e le libertà fondamentali sono privilegi garantiti dagli Stati, questi approcci “tendono a creare categorie di diritti e di portatori di diritti, tagliando l’idea dell’universalità dei diritti umani”. A questo fine, è importante che il termine diritto umano sia applicato in maniera esatta e prudente in maniera che non diventi una terminologia retorica che si espanda senza fine per adeguarsi all’età che avanza”.
La Santa Sede lamenta anche che “la mancanza di questa comprensione comune ha conseguenze anche per la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati”, e che pe questo c’è bisogno di “un nuovo approccio”, perché “se vogliamo raggiungere risultati e progressi tangibili, è della massima importanza di focalizzarsi si impegni concordati per consenso piuttosto che introdurre nuovi concetti che potrebbero mostrarsi divisivi”.
La Santa Sede alla Conferenza della Dimensione Umana, lo stato di diritto
Il 3 ottobre, la Sessione Plenaria della Conferenza sulla Dimensione Umana di Varsavia è stata dedicata allo stato di diritto.
Nella sua dichiarazione, la Santa Sede ha notato di aver sempre sostenuto “il rispetto incondizionato della vita dal concepimento alla morte naturale”, e di aver condannato inequivocabilmente tutto ciò che violi l’integrità della persona umana.
La Santa Sede rimarca che “dato che la dignità della persona umana è inviolabile, le istituzioni che devono stabilire le responsabilità penali dovrebbero essere condotte con pieno rispetto della dignità e dei diritti della persona umana”, e quindi, si dovrebbero osservare scrupolosamente le “leggi proibiscono l’uso della tortura anche in caso di crimini serie”.
Insomma, il rispetto della persona umana “non deve servire solo a limitare l’arbitrarietà e gli accessi degli agenti dello Stato, ma ad agire come un criterio guida per l’indagine e la punizione di quelle azioni che rappresentano gli attacchi più seri contro la dignità e l’integrità della persona umana”.
La delegazione della Santa Sede ribadisce anche che “il ricorso alla pena di morte è stato a lungo considerato una risposta appropriata alla gravità di alcuni crimini e un mezzo accettabile, sebbene estremo, di salvaguardare il bene comune”. Oggi, però, la Santa Sede considera “la pena di morte inammissibile,” perché è un attacco all’inviolabilità e dignità della persona umana”.
La Santa Sede a New York, lo sviluppo sociale
Il 4 ottobre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha preso la parola al Terzo Comitato della Assemblea Generale delle Nazioni Unite sul tema dello sviluppo sociale.
Nell’intervento, Caccia ha riaffermato che lo sviluppo sociale è un pilastro fondamentale dello sviluppo umano integrale e non può essere raggiunto senza l’inclusione – questione che si trova all’opposto della “cultura dello scarto” spesso denunciata da Papa Francesco, che deumanizza gli individui e perpetua ingiustizia e ineguaglianza.
Il nunzio ha enfatizzaato che lo sradicamento della povertà è “essenziale al raggiungimento dello sviluppo umano integrale”, ed ha notato che “i seri effetti della povertà non sono solo materiali, ma spirituali, e necessitano di essere affrontati nel modo in cui sono”. In questo senso, Caccia ha sottolineato l’importanza dell’educazione.
L’arcivescovo Caccia ha quindi sottolineato che la famiglia ha un ruolo chiave nella cura del giovane, dell’anziano, di coloro che hanno bisogno, e che in alcune parti del mondo è la sola risorsa di protezione sociale.
FOCUS MEDIO ORIENTE
A un anno dai fatti del 7 ottobre, la presa di posizione della COMECE
Alla vigilia del primo anniversario degli atti terroristici di Hamas del 7 ottobre, che hanno portato alla dura risposta israeliana e ad una escalation del conflitto in Terrasanta e più genericamente in Medio Oriente, la COMECE, ovvero la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, ha lanciato il 3 ottobre un appello accorato per la pace in Terrasanta e in Medio Oriente.
Il vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE, ha così espresso a nome di tutti i vescovi della commissione “la più profonda preoccupazione riguardo il vortice di violenza che ha ingolfato il Medio Oriente, il Libano e altre parti del Medio Oriente negli ultimi mesi”.
Crociata lamenta che “ogni giorno porta il rischio di una ulteriore escalation, intensificazione ed espansione del conflitto nella regione”, minacciando “la dignità, le vite e la vivibilità di centinaia di migliaia di persone”.
I vescovi delegati dell’Europa ribadiscono la loro “grande tristezza per le devastanti onde di violenza che la Santa Sede e la regione del Medio Oriente hanno testimoniato in questi mesi passati”, che ha portato a una “crisi umanitaria eccezionalmente grave e a una inconcepibile sofferenza umana”.
La situazione è “fonte di grave preoccupazione per noi anche per le sue ripercussioni in Europa e nel mondo”, dato che “il risorgere di anti-semitismo, radicalizzazione e xenofobia non solo minaccia la coesione sociale, ma porta anche ad atti deplorevoli di estremismo e terrorismo violento”.
I vescovi della COMECE si uniscono dunque all’appello di Papa Francesco di “evitare ogni azione c he possa portare ad ulteriore escalation e polarizzazione”, chiedono un “immediato cessate il fuoco su tutti i fronti e al rispetto della legge umanitaria internazionale”, e si appellano alla “necessaria protezione di civili, ospedali, scuole, luoghi di culto, così come del rilascio di tutti gli ostaggi e dell’accesso sicuro agli accessi umanitari”.
I vescovi chiedono anche all’Unione Europea e ad altri attori internazionali di “affrontare con determinazione il dialogo con tutte le parti in conflitto in vista di una pace giusta e durevole”, includendo “rinnovati sforzi diplomatici verso una soluzione dei due Stati” israeliano e palestinese e uno statuto speciale per la città di Gerusalemme.
I vescovi della COMECE si uniscono anche all’appello di Papa Francesco per una giornata di digiuno e preghiera per la pace il prossimo 7 ottobre”.
FOCUS AMBASCIATORI
Il nuovo ambasciatore UE presso la Santa Sede presenta le credenziali
Il 3 ottobre, Martin Selmayr, nuovo ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, ha presentato le sue credenziali a Papa Francesco.
Classe 1970, dottorato in Giurisprudenza, ha una lunga carriera come funzionario europeo. È stato consigliere giuridico della Banca Centrale Europea dal 1998 al 2000, ha avuto un breve passaggio nel privato, è stato poi dal 2004 al 2010 portavoce della Commissione Europea per la Società dell’Informazione e dei Media. Dal 2010 al 2014 è stato capo di gabinetto del vicepresidente della Commissione Europea e del Commissario UE per la Giustizia, i Diritti Fondamentali e la Cittadinanza, e dal 2014 al 2018 è stato capo di Gabinetto del Presidente della Commissione Europea.
Nel 2018-2019 è stato segretario generale della Commissione, mentre dal 2019 al 2024 ha ricoperto l’incarico di capo della Rappresentanza della Commissione Europea in Austria.