Il Concilio Vaticano II ha il merito di aver recuperato la concezione comunionale della Chiesa, aprendo così la prospettiva di una fraternità che non relativizza l’autorità e la paternità del vescovo. Bisogna tuttavia sottolineare che la nozione di comunione è più ampia e complessa rispetto a quella di fraternità, poiché la fraternità è piuttosto un effetto e una concretizzazione della comunione all'interno della Chiesa. Pertanto, ogni tentativo di approfondire la fraternità tra vescovo e sacerdoti omettendo la comunione, porta inevitabilmente a concezioni riduttive ed a contraddizioni.
Cosa è la comunione ecclesiale?
La comunione ecclesiastica, e qui ci riferiamo strettamente a quella cattolica, esprime non solo le relazioni tra le Chiese locali, presiedute nell’amore dalla Chiesa di Roma, ma, in virtù della missione petrina continuata nel ministero del Pontefice Romano, riguarda anche i rapporti tra le Chiese locali e la Chiesa Universale. La comunione ecclesiastica promuove e tutela la fraternità cristiana, ma è legata strutturalmente alla gerarchia, al collegio episcopale, il cui capo è il Pontefice Romano. C’è però anche una comunione gerarchica, che è elemento costitutivo della comunione ecclesiastica e può essere descritta come la comunione vista dalla prospettiva dei rapporti esistenti "tra tutti i vescovi consacrati legittimamente e tra ciascuno di essi e il Pontefice Romano, che si manifesta visibilmente nel collegio episcopale".
Dove si parla di fraternità sacerdotale allora?
Come sottolinea il Decreto Presbyterorum Ordinis (n. 7): "Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i vescovi considerino dunque i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale". Una affermazione che Giovanni Paolo II ha ripreso in più documenti sul sacerdozio (dalla Pastores Dabo Vobis alla Pastores Gregis).
Ma come si definisce la fraternità?
Gesù Cristo ha inaugurato una nuova fraternità, che conferma la fraternità universale, ma allo stesso tempo la illumina e la porta a compimento. Con l’Incarnazione, il Figlio di Dio è diventato uno di noi, eccetto nel peccato, e attraverso la sua passione, morte e risurrezione, ci ha ottenuto la grazia dell’adozione filiale. Anche in questo caso si parla di origine, questa volta di natura spirituale. Attraverso il sacramento del Battesimo, tutti i cristiani sono configurati a Cristo per opera dello Spirito Santo, diventando per grazia figli di Dio.
Questa fraternità non è solo un ideale a cui sono chiamati i membri della Chiesa, ma di un dono ricevuto da Dio, di una nuova condizione dell’esistenza personale e comunitaria.
Perché, però, la fraternità sacerdotale può essere attribuita non solo ai rapporti tra vescovi (fraternità episcopale) o tra sacerdoti (fraternità presbiterale), cioè non solo al livello determinato dallo stesso grado di partecipazione al sacerdozio, ma a livello generale?
Il punto di riferimento per discutere il rapporto tra vescovo e sacerdoti è Gesù Cristo, il Grande Sommo Sacerdote. Per mezzo dell'ordinazione, sia sacerdotale che episcopale, le persone consacrate non ricevono qualcosa in senso oggettivato e statico, ma vengono fatte partecipi della vita sacerdotale e salvifica di Gesù, della sua missione e del suo potere. Pertanto, tra i tre gradi dell'Ordine Sacro (episcopato, sacerdozio e diaconato) esiste una profonda unità, anche se i vescovi lo hanno ricevuto pienamente, mentre i sacerdoti e i diaconi lo hanno ricevuto in modo partecipato.
La fraternità sacerdotale è quindi la conseguenza dell'unicità e dell'unità del Sacerdozio, essendo uno dei frutti dell'opera della Santissima Trinità nella comunione della Chiesa; è vissuta in modo eminente nella celebrazione eucaristica e deve essere continuata nella liturgia quotidiana.
Cosa presuppone la fraternità?
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La fraternità sacerdotale, come la fraternità biologica e qualsiasi tipologia di fraternità soprannaturale nella Chiesa, presuppone una umanità autentica. Senza umanità, la fraternità non solo è permanentemente ferita, ma può addirittura scomparire nella schiavitù dell'individualismo, dell'egoismo e del peccato. Così come nasciamo esseri umani e attraverso l'esercizio della libertà dovremmo diventare sempre più umani, allo stesso modo accade con la fraternità: è una realtà e, allo stesso tempo, un progetto aperto, affidato da Dio alla nostra responsabilità. Siamo fratelli e dobbiamo anche diventare fratelli, coltivare il talento donato da Dio. Un modus essendi, che deve esprimersi coerentemente in un modus operandi, in uno stile di vita fraterno.
Come si applica questo a sacerdoti e vescovi?
Sia il vescovo che i sacerdoti vivranno la fraternità sacerdotale nella misura in cui dimostreranno reciprocamente umanità, cioè sostegno e compassione, fiducia e incoraggiamento, stima e accettazione, rispetto per la dignità di ciascuno e, non da ultimo, perdono. Accanto a questi, potremmo elencare molte altre attitudini e valori che definiscono e danno contenuto all'umanità nella dinamica della fraternità tra vescovo e sacerdoti.
In che modo questo può avere un impatto sulle comunità?
Quando il vescovo e i sacerdoti vivono una relazione di autentica umanità, questa testimonianza si riflette anche nel modo in cui servono le loro comunità. I fedeli saranno ispirati a vedere una Chiesa unita nell'amore, nella compassione e nella solidarietà, il che contribuisce alla crescita spirituale e morale di tutti.
Quali sono, però, le principali aspettative dei sacerdoti di oggi nei confronti del loro vescovo, padre e fratello?