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Tra Chiese di Oriente e Chiese di Occidente: il rapporto tra vescovo e sacerdoti

Intervista a padre Cristian Barta, decano della Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell'Università Babeș-Bolyai, che ha tenuto una relazione sul tema all’incontro dei vescovi delle Chiese Orientali

Padre Cristian Barta | Padre Barta in un momento della conferenza | Diocesi di Oradea Padre Cristian Barta | Padre Barta in un momento della conferenza | Diocesi di Oradea

In una relazione densa, padre Cristian Barta, decano della Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell'Università Babeș-Bolyai e portavoce dell'Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraș, ha spiegato “Fraternità e umanità nel rapporto tra vescovi e sacerdoti” durante l’incontro annuale dei Vescovi Orientali, organizzato quest’anno dal Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa (CCEE) ad Oradea, in Romania.

Padre Barta ha affrontato così il grande tema del rapporto tra sacerdoti e vescovi, particolarmente importante in un periodo sinodale. In fondo, nota monsignor Barta, il “rapporto tra vescovo e sacerdoti rappresenta un aspetto fondamentale della struttura e della vita della Chiesa, essendo essenziale per la comunione ecclesiale e per l'efficacia della missione pastorale”.

Quale è il cosiddetto status quaestionis?

In generale, si può notare che i documenti magisteriali e la letteratura teologica parlano poco della fraternità tra vescovo e sacerdoti, ma piuttosto illustrano l’identità del vescovo come successore degli apostoli, il quale ha ricevuto attraverso l’ordinazione la pienezza del Sacerdozio, in qualità di padre e pastore della Chiesa locale che egli guida, con la missione di governare, insegnare e santificare, e al quale, sia i sacerdoti, suoi collaboratori nel ministero, sia i laici, devono obbedienza. Il rapporto tra vescovi e sacerdoti è stato influenzato, nei secoli passati, anche dal modello ecclesiologico preconciliare, piramidale, gerarchico e profondamente giuridico, il quale non ha privilegiato la fraternità tra il vescovo e i sacerdoti, bensì piuttosto la paternità e l'autorità del vescovo nei confronti dei sacerdoti e dei fedeli della propria diocesi.

Cosa è cambiato invece con il Concilio Vaticano II?

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Il Concilio Vaticano II ha il merito di aver recuperato la concezione comunionale della Chiesa, aprendo così la prospettiva di una fraternità che non relativizza l’autorità e la paternità del vescovo. Bisogna tuttavia sottolineare che la nozione di comunione è più ampia e complessa rispetto a quella di fraternità, poiché la fraternità è piuttosto un effetto e una concretizzazione della comunione all'interno della Chiesa. Pertanto, ogni tentativo di approfondire la fraternità tra vescovo e sacerdoti omettendo la comunione, porta inevitabilmente a concezioni riduttive ed a contraddizioni.

Cosa è la comunione ecclesiale?

La comunione ecclesiastica, e qui ci riferiamo strettamente a quella cattolica, esprime non solo le relazioni tra le Chiese locali, presiedute nell’amore dalla Chiesa di Roma, ma, in virtù della missione petrina continuata nel ministero del Pontefice Romano, riguarda anche i rapporti tra le Chiese locali e la Chiesa Universale. La comunione ecclesiastica promuove e tutela la fraternità cristiana, ma è legata strutturalmente alla gerarchia, al collegio episcopale, il cui capo è il Pontefice Romano. C’è però anche una comunione gerarchica, che è elemento costitutivo della comunione ecclesiastica e può essere descritta come la comunione vista dalla prospettiva dei rapporti esistenti "tra tutti i vescovi consacrati legittimamente e tra ciascuno di essi e il Pontefice Romano, che si manifesta visibilmente nel collegio episcopale".

Dove si parla di fraternità sacerdotale allora?

Come sottolinea il Decreto Presbyterorum Ordinis (n. 7): "Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i vescovi considerino dunque i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale". Una affermazione che Giovanni Paolo II ha ripreso in più documenti sul sacerdozio (dalla Pastores Dabo Vobis alla Pastores Gregis).

Ma come si definisce la fraternità?

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Gesù Cristo ha inaugurato una nuova fraternità, che conferma la fraternità universale, ma allo stesso tempo la illumina e la porta a compimento. Con l’Incarnazione, il Figlio di Dio è diventato uno di noi, eccetto nel peccato, e attraverso la sua passione, morte e risurrezione, ci ha ottenuto la grazia dell’adozione filiale. Anche in questo caso si parla di origine, questa volta di natura spirituale. Attraverso il sacramento del Battesimo, tutti i cristiani sono configurati a Cristo per opera dello Spirito Santo, diventando per grazia figli di Dio.

Questa fraternità non è solo un ideale a cui sono chiamati i membri della Chiesa, ma di un dono ricevuto da Dio, di una nuova condizione dell’esistenza personale e comunitaria.

Perché, però, la fraternità sacerdotale può essere attribuita non solo ai rapporti tra vescovi (fraternità episcopale) o tra sacerdoti (fraternità presbiterale), cioè non solo al livello determinato dallo stesso grado di partecipazione al sacerdozio, ma a livello generale?

Il punto di riferimento per discutere il rapporto tra vescovo e sacerdoti è Gesù Cristo, il Grande Sommo Sacerdote. Per mezzo dell'ordinazione, sia sacerdotale che episcopale, le persone consacrate non ricevono qualcosa in senso oggettivato e statico, ma vengono fatte partecipi della vita sacerdotale e salvifica di Gesù, della sua missione e del suo potere. Pertanto, tra i tre gradi dell'Ordine Sacro (episcopato, sacerdozio e diaconato) esiste una profonda unità, anche se i vescovi lo hanno ricevuto pienamente, mentre i sacerdoti e i diaconi lo hanno ricevuto in modo partecipato.

La fraternità sacerdotale è quindi la conseguenza dell'unicità e dell'unità del Sacerdozio, essendo uno dei frutti dell'opera della Santissima Trinità nella comunione della Chiesa; è vissuta in modo eminente nella celebrazione eucaristica e deve essere continuata nella liturgia quotidiana.

Cosa presuppone la fraternità?

La fraternità sacerdotale, come la fraternità biologica e qualsiasi tipologia di fraternità soprannaturale nella Chiesa, presuppone una umanità autentica. Senza umanità, la fraternità non solo è permanentemente ferita, ma può addirittura scomparire nella schiavitù dell'individualismo, dell'egoismo e del peccato. Così come nasciamo esseri umani e attraverso l'esercizio della libertà dovremmo diventare sempre più umani, allo stesso modo accade con la fraternità: è una realtà e, allo stesso tempo, un progetto aperto, affidato da Dio alla nostra responsabilità. Siamo fratelli e dobbiamo anche diventare fratelli, coltivare il talento donato da Dio. Un modus essendi, che deve esprimersi coerentemente in un modus operandi, in uno stile di vita fraterno.

Come si applica questo a sacerdoti e vescovi?

Sia il vescovo che i sacerdoti vivranno la fraternità sacerdotale nella misura in cui dimostreranno reciprocamente umanità, cioè sostegno e compassione, fiducia e incoraggiamento, stima e accettazione, rispetto per la dignità di ciascuno e, non da ultimo, perdono. Accanto a questi, potremmo elencare molte altre attitudini e valori che definiscono e danno contenuto all'umanità nella dinamica della fraternità tra vescovo e sacerdoti.

In che modo questo può avere un impatto sulle comunità?

Quando il vescovo e i sacerdoti vivono una relazione di autentica umanità, questa testimonianza si riflette anche nel modo in cui servono le loro comunità. I fedeli saranno ispirati a vedere una Chiesa unita nell'amore, nella compassione e nella solidarietà, il che contribuisce alla crescita spirituale e morale di tutti.

Quali sono, però, le principali aspettative dei sacerdoti di oggi nei confronti del loro vescovo, padre e fratello?

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Il vescovo, come pastore, deve essere aperto alle necessità e alle preoccupazioni dei suoi sacerdoti. Questa apertura implica la disponibilità ad ascoltarli e sostenerli. Non è il sostegno materiale a prevalere, anche se ci sono numerosi sacerdoti greco-cattolici che affrontano, insieme alle loro famiglie, difficoltà economiche reali che richiedono soluzioni a livello istituzionale. Tuttavia, il sostegno emotivo e spirituale è sempre benvenuto. L’empatia e l’ascolto attivo sono componenti fondamentali dell’umanità nelle relazioni interpersonali e sono essenziali nella dinamica tra vescovo e sacerdoti. Un vescovo che manifesta empatia comprende non solo i compiti pastorali dei suoi sacerdoti, ma anche le sfide personali, emotive e spirituali con cui essi e le loro famiglie, i coniugati, si confrontano. Un vescovo non può ovviamente assumersi e risolvere tutti i problemi dei sacerdoti e neanche i sacerdoti devono avere tale aspettativa, che sarebbe utopica e innaturale, ma con l’atteggiamento e gesti concreti può trasmettere un messaggio essenziale: Siete importanti per il Signore, per la Chiesa e per me personalmente! Sono al vostro fianco in ogni situazione! Condivido le vostre sofferenze e le vostre gioie! In questo modo, il vescovo crea un clima di fiducia e di fraternità, dove i sacerdoti si sentono sostenuti e apprezzati nella loro vocazione. L’ascolto e la valorizzazione dei sacerdoti stimolano una dinamica di collaborazione e contribuiscono alla creazione di una cultura del dialogo e della cooperazione nella Chiesa.

Quali sono le caratteristiche che si devono affiancare a questo ascolto?

Prima di tutto autenticità e umiltà. L'autenticità non è certamente sinonimo di perfezione, ma piuttosto la libertà di manifestarsi in conformità con ciò che si è: vescovo e uomo. Questo significa, ad esempio, essere trasparente e aperto nella relazione con i suoi sacerdoti, farli partecipi della propria realtà, con i suoi pregi e le difficoltà o fragilità inerenti alla vita personale e al ministero episcopale, ed essere disposto ad imparare dagli altri. D’altra parte, un vescovo umile non domina sui sacerdoti, ma li serve, seguendo l'esempio di Cristo, che è venuto non per essere servito, ma per servire:

Ci vuole poi anche spirito di gratitudine nei confronti dei sacerdoti, che sono coloro che, giorno dopo giorno, servono all'altare, amministrano i Sacramenti, offrono assistenza pastorale, educano nuove generazioni di fedeli e sostengono spiritualmente le comunità loro affidate. Il loro devoto servizio si manifesta sia nell'attività visibile, sia nel silenzioso servizio della preghiera e del sacrificio personale, destinato a portare frutto spirituale nelle vite dei fedeli. In questo modo, essi adempiono alla missione ricevuta da Dio tramite il loro vescovo, mediano l'unione delle anime con Dio e rappresentano il vescovo nelle loro parrocchie, condividendo con lui, in obbedienza e comunione, la responsabilità di pascere il gregge di Dio”.

Questa gratitudine ha un impatto positivo?

Certamente. La gratitudine del vescovo verso i suoi sacerdoti ha un impatto positivo non solo sulla vita personale e professionale dei sacerdoti, ma anche su tutta la comunità ecclesiale. Quando i fedeli vedono che il vescovo apprezza e rispetta i suoi sacerdoti, ciò crea un'atmosfera di armonia e rispetto tra tutta la comunità. I sacerdoti, sentendosi sostenuti, adempieranno il loro ministero con ancora maggiore dedizione, e questo avrà un impatto diretto e positivo sulla vita dei fedeli. Così, la gratitudine del vescovo diventa una fonte di ispirazione e un esempio di autentica leadership cristiana, basata su amore, rispetto e apprezzamento reciproco.