Françoise Smets, rettore dell’UC Louvain, ha sottolineato, riferendosi al discorso del Papa, che “accogliamo con favore questo ingresso al dialogo. Stiamo assistendo a convergenze in relazione alle disuguaglianze ambientali e sociali che l’UC Louvain denuncia. Ma notiamo anche una grande divergenza riguardo il posto delle donne nella società.
In particolare, l’Università ha espresso “la sua incomprensione e disapprovazione per la posizione espressa da Papa Francesco riguardo al posto delle donne nella Chiesa e nella società”. La dichiarazione del Papa “La donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale”, è stata descritta come “una posizione deterministica e riduttiva con la quale l'UCLouvain non può che esprimere il proprio disaccordo.
L'UCLouvain si afferma come un'università inclusiva e si impegna nella lotta contro la violenza sessuale e di genere. Ribadisce il suo desiderio che tutti possano prosperare al suo interno e nella società, qualunque sia la loro origine, genere o orientamento sessuale. Invita la Chiesa a percorrere la stessa strada, senza alcuna forma di discriminazione”.
Bontà sua, l’UC Louvain ha invece apprezzato che il Papa riconosca che la religione possa “diventare uno strumento di dominio”, e anche la posizione del Papa sulla questione climatica.
In pratica, non c’è nessuna divergenza con il Papa quando parla di temi sociali. È quando si entra nelle questioni dottrinali che sorgono i problemi.
Ma cosa diceva la lettera?
Affrontava la questione dell’eco-ansia, affermando che “non si tratta qui di sognare un’alternativa antimoderna, venata di nostalgia per un passato fantasticato. Si tratta piuttosto di approfondire il progetto come lo schema della Laudato si'”. E sottolineavano che “il potere era una chiave fondamentale”, perché “l’attuale situazione ecologica ha infatti molto a che fare con rapporti di dominio incrociato: dominio dell’uomo sulla natura, dominio degli uomini sulle donne, dominio del Nord sul Sud”.
Gli studenti guardavano anche al colonialismo, sottolineavano che “se la modernità europea ha saputo sviluppare un’economia capitalista e una razionalità strumentale, è perché ha precedentemente esteso la sua influenza sulle terre americane e vi ha trovato risorse gigantesche per il proprio sviluppo”, sottolineavano che “troppo spesso la religione ha costituito una base morale per questi progetti coloniali”, arrivavano ad affermare che “è giunto il momento di abbracciare culture, religioni e spiritualità basate su altre visioni del mondo e, spesso, stili di vita più sobri. Potremmo guardare a queste culture e spiritualità senza condiscendenza? Senza il desiderio di estrarre ciò che ci è utile per poi andare altrove?”
La richiesta era quella di riconoscere “la molteplicità delle spiritualità e delle ecologie2”, per “gettare le basi di una giustizia rinnovata che consideri i diversi modi di creare il mondo su un piano di radicale uguaglianza”.
E dunque – proseguiva la lettera – “la Chiesa è pronta a sviluppare questa nozione da una prospettiva intersezionale? Vale a dire, tenendo conto delle disuguaglianze di classe, di genere e di razza? L’appello allo sviluppo integrale ci sembra incompatibile con le posizioni sull’omosessualità e con il posto delle donne nella Chiesa cattolica”.
Poi, la comunità universitaria di UC Louvain lamentava di non trovare le donne nell’enciclica Laudato Si, denunciavano che “anche la teologia cattolica tende a rafforzare questa divisione attraverso la sua ‘teologia delle donne’, che esalta il loro ruolo materno vietando loro l’accesso ai ministeri ordinati”, accusavano che “’ideale di giustizia sociale lì promosso non si estende alla giustizia di genere: ignora il fatto che la povertà è ancora prevalentemente femminile e che sono le donne ad aver sofferto e soffrono ancora più crudelmente il sistema di dominio più volte denunciato nel testo”.
E puntavano il dito cotro il fatto che “la Laudato si' porta con sé i semi di una promettente riflessione per l'inclusione di tutti. Ma come spesso accade nella storia della Chiesa, le donne sono state rese invisibili” – invisibili nei ministeri ecclesiali, della giustizia sociale e del pensiero, cosa che “ha conseguenze sul modo in cui viviamo la transizione ecologica”.
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Insomma, l’UC Louvain chiede un “cambiamento di paradigma” e ribadisce il ruolo dell’università nel creare questa cultura di transizione.
Le sollecitazioni erano varie, e mostravano una ricerca universitaria molto pragmatica, che andava a delineare tutte le relazioni solo in forma di potere e che alla fine cercava rivendicazioni sociali, ma alla fine non teologiche. La risposta di Papa Francesco, che anche nel volo di ritorno ha ribadito la posizione della Chiesa sul ruolo della donna, non nascondendo fastidio per l’iniziativa del comunicato a seguito del suo discorso, ha toccato temi ancora diversi. Papa Francesco ha addirittura sottolineato che la ricerca della verità caratterizza l’università cattolica.
Ed è qui che ritorna il tema iniziale, ovvero se l’Università di Lovanio possa ancora definirsi cattolica.
La storia dell’Università è strettamente legata alla Chiesa, e infatti fu Martino V, 600 anni fa, a stabilire lo Studio di Lovanio. Non c’era l’aggettivo cattolico, allora, perché semplicemente l’università non poteva che essere cattolica. Lovanio fu soppressa dopo la rivoluzione francese, e solo nel 1834 i vescovi ricrearono l’università, erede della precedente. In effetti, il rettore dell’UC Louvain, fino al 1986, è sempre stato un sacerdote.
È dal 2008 che si discute se mantenere la “C” di Cattolica. Il dibattito non viene riaperto sotto il lungo rettorato di Vincent Blondel (2014-2024), il dibattito non sarà più aperto. Anche perché Blondel, che pure sostiene pubblicamente il diritto all’aborto, ci tiene a dire, in una intervista alla rivista L’Appell, che la C ricorda che l’università presta “particolare attenzione a un certo numero di valori e tradizioni di solidarietà, libertà, attenzione agli altri, ai più fragili. Sono valori che appartengono alla sua storia e personalmente sono a loro affezionato”.
Anche il rettore (donna) Françoise Smets ha fatto sapere, in una intervista a CathoBel del 30 agosto, che togliere la C “non è attualmente la sfida più grande”, perché “dipende cosa mettiamo dietro quella C”.