Città del Vaticano , martedì, 1. ottobre, 2024 19:30 (ACI Stampa).
“La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori”. Con queste parole Papa Francesco ha inziato la sua riflessione che ha concluso la Veglia Penitenziale - posta in chiusura del Ritiro spirituale dei Vescovi in preparazione alla Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi - svoltasi nella Basilica di San Pietro gremita di fedeli. Soprattutto di giovani. Davanti all’altare campeggia il Crocifisso di San Damiano, testimone silenzioso di questo Rito Penitenziale.
La riflessione del Santo Padre vede protagonista il tema del peccato che - come dice lo stesso Papa Francesco - “è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle”. E precisa: “La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare una Chiesa sinodale”. La domanda fondamentale che pone il Santo Padre ai Vescovi riuniti per il Sinodo è “Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?”. Dopo si sofferma sul Vangelo scelto per la Liturgia Penitenziale: è il Vangelo di Luca, capitolo 18.
Il Vangelo ci “presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare. Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi”. Pregare non vuol dire aspettarsi un premio per i propri meriti, tiene a precisare il Santo Padre. Per essere in relazione con Dio non è possibile dare spazio al proprio “io”. E poi si domanda: “Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti?”. Lo sguardo si rivolge al presente della Chiesa: “Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature”.