I belgi francofoni sono parte di una provincia gesuita che si è fusa con i francesi e i lussemburghesi, e sono parte di una struttura chiamata Europe Occidentale Francophone.
Quindi, c’è una struttura a Bruxelles, che è l’ufficio del presidente dei gesuiti europei. In questa presidenza c’è il presidente, il suo staff e una concentrazione di gesuiti che sono molto vicini alle istituzioni politiche ed amministrative europee, che forniscono una assistenza pastorale alla Chapelle Europeenne (Cappella d’Europa) e che gestiscono anche una scuola europea di per educazione secondaria bambini.
Questa presidenza è responsabile di tutto il coordinamento europeo.
A Bruxelles c’è anche una delle sedi del Jesuit Refugee Service, una opera di livello mondiale.
In che modo queste tre province si trovano ad affrontare le sfide di oggi?
Le sfide sono somiglianti. Le differenze riguardano piuttosto la lingua e la cultura. Nel formare la Chiesa, si deve tenere conto che ogni cultura ha i suoi modi di fare, la sua sensibilità, le sue sfumature. La lingua è un discrimine essenziale, perché i francofoni non parlano bene il neerlandse, e i neerlandofoni quasi non conoscono il francese.
Quanti sono i gesuiti in Belgio?
Ci sono circa 200 gesuiti in tutto il Belgio. All’incontro con Papa Francesco saranno forse 150. I gesuiti sono presenti ad Anversa, a Gand, a Bruxelles, e ovviamente a Leuven. Questi gesuiti collaborano molto con la Università Cattolica di Leuven. Ci sono gesuiti che studiano nell’università e vengono da Paesi diversi.
Di cosa crede si parlerà durante l’incontro tra Papa Francesco e i gesuiti?
Credo che i gesuiti in Belgio siano stati molto colpiti, così come l’opinione pubblica, del tema degli abusi sessuali. Quello sarà senza dubbio un argomento di conversazione. Infatti, è anche previsto che Papa Francesco, in un momento del viaggio, incontrerà 15 vittime di abusi sessuali.
Inoltre, i gesuiti della Regione dei Paesi Bassi sono molto coinvolti nel lavoro per i carcerati, e forniscono in particolare i carcerati perché sono rifugiati. Sono persone messe in carcere perché entrati illegalmente, ma non sono criminali. Siamo così molto vicini a donne, uomini e bambini che si trovano in questa condizione, e miei confratelli e tanti collaboratori saranno particolarmente contenti se il Papa sottolineerà l’importanza del loro lavoro.
C’è bisogno di un incoraggiamento in Belgio?
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Lo aspettano. È difficile per un cattolico vivere in un Paese non solo ateo, ma persino agnostico. C’è bisogno di una parola del Papa, di fronte ad una società multiculturale e multireligiosa, ma che si regge ancora su un sistema di scuole e strutture che appartengono alla Chiesa cattolica.
Il Belgio vive una neutralizzazione della religione a scuola, con tentativi sempre più invasivi di sostituire l’insegnamento della religione con i cosiddetti cours de rien, corsi di niente che sono formalmente corsi di educazione civica. Come affrontare questa sfida?
C’è una pressione, ma sarà difficile che questa neutralizzazione sia completamente formalizzata. La struttura attuale del sistema scolastico è legato alla Costituzione del Paese. Questa dà il diritto di organizzare l’educazione come persone, come organizzazioni, come associazioni, e ognuno può farlo a suo modo. L’educazione in Belgio è comunque pagata dallo Stato, che dà dei requisiti minimi. Lo stato vorrebbe allargare questi requisiti.
C’è da aspettarsi una resistenza della Chiesa a questa neutralizzazione della religione?
La secolarizzazione è una realtà, e si misura nella quantità di persone che assistono alle messe domenicali. Il Belgio va visto come un paese in cui i cristiani sono minoranza. Ma è anche una situazione particolare, come abbiamo detto all’inizio.
Perché particolare?