La prima lettura della Messa ci offre un insegnamento sulle sofferenze che vivono i credenti, ingiustamente perseguitati a causa della loro onestà e fedeltà a Dio. La liturgia applica queste parole, scritte secoli prima della venuta di Cristo, al giusto per eccellenza, Gesù, Figlio Unigenito di Dio, condannato ad una morte ignominiosa dopo aver patito ogni sorta di insulti e sofferenze. Nel Vangelo, mentre Gesù parla del tragico destino che lo attende a Gerusalemme, i discepoli alle sue spalle, incuranti di quanto dice il Maestro, discutono di privilegi, di primi posti, di prebende, di potere. 

Il Figlio di Dio, al contrario, si presenta come servitore, come Colui che dona la vita. Possiamo affermare che la mia vita è il Suo “primo lavoro”, la sua prima preoccupazione. Il Signore fa sua la nostra causa. Egli, infatti, è venuto non per fare il padrone, non per essere servito, ma per fare il servo. Un padrone fa paura, un servo no. Un padrone esige e pretende per sè, il servo invece si impegna per un altro; il padrone castiga il servo invece soccorre.

E ci invita a fare altrettanto. Alla luce di questo insegnamento di Cristo, siamo ora in grado di rispondere a due domande cruciali: “Chi è Gesù? Chi è il discepolo?”. Gesù è il Figlio di Dio che rivela tutto il suo amore per l’uomo non solo rinunciando alla sua condizione divina, ma morendo in Croce. Il discepolo è colui che, imitando il Maestro, accetta la propria croce come via di salvezza per sè e per gli altri. La sequela di Cristo, dunque, non porta con sé particolari privilegi e non è neppure la  strada per difendere diritti personali o acquisire privilegi, ma è una strada che insegna “semplicemente” a perdere, per amore, la propria vita, proprio come ha fatto il nostro Maestro.

Il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, morto in un campo di concentramento tedesco, giunge ad affermare che Il compito della nostra generazione non sarà quello di mirare a grandi cose, ma di salvare la nostra anima dal caos, di preservarla…” Preservarla da che cosa? Dalla barbarie, dalla violenza che avvelena le relazioni umane, dalla ricerca del piacere fine a se stesso, dall’odio, dal proprio tornaconto personale perchè non sono queste le cose che realizzano pienamente la vita, ma è solo l’amore. "C'è più gioia nel dare che nel ricevere" ha detto Gesù. E’ l’amore che rende bella la nostra vita e quella degli altri. Riconosciamolo: tante tristezze, tante solitudini, scoraggiamenti, crisi, fallimenti si possono evitare se invece di pensare solo a noi stessi cominciassimo ad amare gli altri e a offrire le nostre fatiche e sofferenze al Signore per il bene dei fratelli. Il Signore con la sua chiamata ci invita a scegliere tra la “bella vita” e una “vita bella“, tra una vita che vogliamo tenere stretta tra le nostre mani, con inevitabili ansie e paure di ogni genere, e una vita consegnata a Dio, nel quale è possibile riposare in pace come un bimbo in braccio al proprio Padre. Quando questo accade, anche noi con santa Teresa d’Avila possiamo ripetere: «Niente ti turbi, niente ti spaventi. Chi ha Dio non manca di nulla. Niente ti turbi, niente ti spaventi. Solo Dio basta».