‘Sevota’ è nata grazie a Godeliève Mukasarasi, ‘giusta’ al Giardino di Milano nel 2022, che nonostante avesse subito orribili violenze e avesse perso gran parte della famiglia ha cercato di ritessere (a partire soprattutto dalle moltissime vedove e dalle migliaia di donne stuprate) il tessuto della società ruandese, coinvolgendo 70.000 persone in attività di formazione e riconciliazione.
Françoise Kankindi ha sottolineato il significato di ‘cattiva memoria’: “Con questa espressione intendiamo la disinformazione, applicata volutamente attorno a un genocidio che è stato programmato, preparato nei minimi dettagli, preannunciato e reiterato. Quando si sono scatenate le violenze del 1994, il mondo ha girato la testa dall’altra parte, tacendo dei massacri che da anni insanguinavano il Ruanda. Questo quindi è il senso del titolo, e purtroppo a vent’anni dal genocidio questa cattiva memoria persiste”.
Allora, quale significato ha l’inaugurazione del Giardino dei Giusti a Kamonyi?
“L’inaugurazione del primo Giardino dei Giusti in Rwanda a Kamonyi ha un significato molto importante: fornire un luogo fisico alle persone che hanno rischiato la propria vita salvando quella degli altri durante il genocidio dei Tutsi nel 1994, dedicando un albero ed una stella, appunto per ricordare a qualsiasi uomo che anche nei momenti più buoi si può optare per una scelta diversa da quello che le autorità prendono, salvando la vita umana invece di uccidere”.
Cosa scatenò il genocidio?
“La sete del governo rwandese di allora di aggrapparsi al potere fino a pianificare lo sterminio della minoranza Tutsi, percepita come pericolo e capro espiatorio rispetto alla richiesta dei profughi Tutsi organizzati nella guerriglia sotto il Fronte Patriottico con l’obiettivo di poter ritornare a casa”.
Cosa significa fare memoria del genocidio?
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“Fare memoria del genocidio dei Tutsi in Rwanda significa costruire un futuro per le future generazioni rwandesi in quanto per anni dal 1959, anno in cui per la prima volta i Tutsi sono stati massacrati e sistematicamente ogni 5/10 anni avvenivano i pogrom fino alla soluzione finale del 1994, i governi che organizzavano lo sterminio di una parte della sua popolazione non hanno mai riconosciuto i crimini che avvenivano nell'indifferenza della comunità internazionale”.
Quanto è stato difficile il percorso di riconciliazione?
“La difficoltà è facilmente immaginabile pensando al contesto rwandese dove all'indomani del genocidio, i sopravvissuti Tutsi hanno dovuto convivere con gli assassini delle loro famiglie. Tuttavia, il nuovo governo rwandese guidato dal Fronte Patriottico che ha fermato il genocidio, vincendo la guerra contro il governo Hutu che l’aveva organizzato, ha dovuto far fronte alla necessità di gestire le carceri gremiti di persone accusate di genocidio. Ha dovuto ricorrere ai gacaca, sistema di giustizia tradizionale ruandese, dove sul prato del villaggio la gente si incontrava sotto la giurisdizione dei saggi, i colpevoli pentiti confessano i loro crimini e chiedevano perdono. Dietro la prestazione di lavori collettivi e aiuto diretto alle vittime erano reintegrati nella comunità e così lentamente sulle colline i rwandesi hanno potuto ritrovare di nuovo il gusto del vivere insieme”.
A 30 anni dal genocidio quale Paese è il Rwanda?