Kiev , mercoledì, 4. settembre, 2024 16:00 (ACI Stampa).
Era una visita programmata, su invito del presidente Volodymir Zelensky, quella della delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli a Kyiv. Tre membri (due sacerdoti, un diacono), tutti di origine ucraina, che hanno rappresentato Bartolomeo I alle celebrazioni per il 33esimo anniversario di indipendenza, ma che hanno anche provato a ricucire le relazioni religiose su un territorio in cui la religione è diventata uno strumento politico.
E, in effetti, in maniera casuale, la delegazione di Costantinopoli si è trovata in città proprio nel periodo in cui la Rada, il Parlamento ucraino, andava ad approvare la legge 8371, che va a sciogliere ogni organizzazione religiosa in Ucraina che abbia un centro di comando all’estero e una affiliazione con Mosca.
Una legge di guerra, che risponde alla preoccupazione dei proclami di “guerra santa” da parte del Patriarcato di Mosca, e che però ha anche vari problemi dal punto di vista dei diritti umani. Perché le organizzazioni religiose, in fondo, non sono sistemi politici. E così, le Chiese cristiane in Ucraina, pur comprendendo i rischi, hanno comunque appoggiato l’idea di fondo della legge che non ci debba essere una Chiesa nazionale, chiedendo di fatto anche alle Chiese in Ucraina di non essere nazionaliste.
Sono tutte sfumature che si inseriscono in una situazione molto complessa. La decisione di Costantinopoli di garantire un tomos (documento) di autocefalia alla Chiesa Ortodossa Ucraina, dando così all’Ucraina una Chiesa nazionale, ha dato vita alle vibrate proteste di Mosca, che considerano l’Ucraina come proprio territorio canonico, ed anche uno stop nel dialogo ecumenico, perché Mosca non ha più voluto partecipare a tavoli dove fosse anche Costantinopoli.
Anche questa situazione pesa sulla guerra in Ucraina, e diventa un fatto politico che porta il Patriarcato di Mosca a schierarsi dalla parte russa e le Chiese locali a temere l’ingerenza russa.