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Diplomazia pontificia, le relazioni con Indonesia, Timor Est, Singapore, Papua Nuova Guinea

Papa Francesco si prepara al viaggio in Asia. Ecco come sono le relazioni diplomatiche con le nazioni che visiterà

Papa Francesco in Asia | I loghi delle quattro tappe del viaggio di Papa Francesco in Asia | Vatican Media Papa Francesco in Asia | I loghi delle quattro tappe del viaggio di Papa Francesco in Asia | Vatican Media

Undici giorni in Asia per Papa Francesco, undici giorni durante i quali toccherà quattro Paesi diversissimi tra loro: l’Indonesia del dialogo con l’Islam, il Timor Est Paese più cattolico al mondo, Papua Nuova Guinea, in Oceania in realtà, dove si vive il rischio del disastro ambientale, e infine Singapore, che è un po’ un avamposto per l’Asia continentale, verso la Cina ma anche verso il Vietnam. Il viaggio inizierà il 2 settembre, e terminerà il 13. Ma quale è la storia delle relazioni diplomatiche della Santa Sede con le nazioni che il Papa toccherà?

Tra le notizie della settimana: le reazioni alla legge anti-Patriarcato di Mosca ucraino e – ancora – uno sguardo sulla Cina.

                                                           FOCUS VIAGGIO PAPALE

Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Indonesia

Il primo Paese che Papa Francesco toccherà sarà in Asia sarà l’Indonesia, il più grande Paese musulmano al mondo. Lì, il governo lavora molto sull’idea del cosiddetto “Islam dell’Arcipelago”, ovvero una visione di Islam aperta e inclusiva che mantiene buone relazioni con tutte le religioni minoritarie presenti nel Paese, incluso il cattolicesimo. E, in effetti, tra la grande moschea Istiqlal, che il Papa visiterà, e la cattedrale di Jakarta, che si trova appena di là della strada, c’è un tunnel chiamato “Tunnel dell’amicizia” ed entrambi i templi religiosi permettono all’altro di utilizzare il loro parcheggio in occasione delle grandi festività.

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La posizione diplomatica dell’Indonesia è stata fornita, in una intervista all’agenzia Fides, da Widya Sadnoci, direttore per gli Affari Europei nel Ministero degli Esteri della Repubblica di Indonesia”.

Sadnovic ha ricordato che l’invito a visitare l’Indonesia era giunto già nel 2020, e che era stato posticipato la pandemia, e l’incontro bilaterale servirà per “ribadire la collaborazione e per condividere i nostri interessi comuni, soprattutto, direi, un aspetto centrale nella comunità internazionale in questo tempo: il messaggio di pace e tolleranza. Questo è un tema davvero importante per noi, nella nazione a maggioranza musulmana più popolosa al mondo”.

Sadnovic ha sottolineato che “nel ministero degli Affari Esteri siamo particolarmente impegnati a curare i rapporti tra tutte le religioni”, tanto che “da diversi anni il ministero promuove programmi, seminari, iniziative di dialogo interreligioso con esponenti di oltre 30 Paesi”.

Sadnovic ha anche osservato che “la pace è un compito che nessuno può portare avanti da solo”, e che si costruisce con il dialogo, come si potrà vedere “in modo concreto nell'incontro del Papa con il Ministro degli Affari Religiosi, con il Grande Imam della moschea Istiqlal e con gli altri leader religiosi, che avrà grande forza simbolica”.

Le prime relazioni diplomatiche della Santa Sede con l’Indonesia risalgono al 1947, quando Pio XII istituì la delegazione apostolica dell’arcipelago indonesiano. Questa fu elevata al rango di internunziatura il 15 marzo 1950, ed al rango di nunziatura nel 1965.

Le relazioni tra Santa Sede e Papua Nuova Guinea

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La nunziatura in Papua Nuova Guinea è stata stabilita nel 1977. Dal 1975 al 1977 era satta una delegazione apostolica nel Paese e nelle Isole Salomone, dal 1973 al 1975 la delegazione era presente solo a Papua.

Tutte queste strutture derivano dall’originaria delegazione apostolica di Australia, Tasmania e Nuova Zelanda, stabilita nel 1914, che aveva competenza anche sulla Nuova Guinea. Nel 1968l, la delegazione prese il nome di Australia e Papua Nuova Guinea.

Giovanni Paolo I ha visitato Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone nel 1984.

Le relazioni tra Santa Sede e Timor Est

La nuova nunziatura nel Paese più cattolico del mondo dopo il Vaticano (in Timor Est, il 97 per cento delle persone si professa cattolica) fu aperta nel 2022. Papa Francesco sarebbe già dovuto essere nel Paese nel 2020, ma la pandemia rese impossibile il viaggio.

La Santa Sede ha aperto piene relazioni diplomatiche con Timor Est nel 1993, appena dopo l’indipendenza. Giovanni Paolo II sostenne molto il movimento indipendentista nella nazione, tanto che quando visitò il Paese, nel 1989, non si chinò a baciare la terra, cosa che avrebbe in qualche modo dato un segnale di approvazione della colonizzazione indonesiana, ma baciò un lembo di terra che era stato portato alla sua altezza.

Il lavoro della Santa Sede in favore dell’indipendenza è stato la chiave che ha portato molti timorensi, evangelizzati circa cinque secoli fa, ad abbracciare la fede cattolica.

La nunziatura dà una sede al nunzio, ed è stata stabilita nel 2003. La nunziatura è legata alla nunziatura di Malesia. Fino al momento dell’inaugurazione della nunziatura nel 2022, l’ufficio del nunzio aveva semplicemente affittato l’edificio di un ordine religioso. La speranza è che presto ci sarà un nunzio residente a Timor Est.

Colonia portoghese dal XVI secolo al 1975, Timor Est è stata poi occupata dall’Indonesia, ed è diventata stato indipendente a seguito di una sanguinosa guerra per l’indipendenza. 

Le relazioni tra Santa Sede e Singapore

La nunziatura a Singapore è un avamposto cruciale in Asia per la diplomazia pontificia. La nunziatura, infatti include anche il ruolo di rappresentante residente in Vietnam, e dunque l’attuale nunzio, l’arcivescovo Marek Zalewski, è anche il primo diplomatico vaticano a poter mettere piede nel Paese, dopo dieci anni di colloqui serrati.

La nunziatura apostolica di Singapore nasce dalla nunziatura apostolica di Thailandia stabilita nel 1969, includendo i Paesi di Thailandia, Laos, Malacca e Singapore. Il 24 giugno 1981 è stata costituita la nunziatura apostolica di Singapore. Il nunzio a Singapore è delegato in Tailandia, in Laos e in Malesia, oltre che rappresentante residente in Vietnam.

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Singapore e la sua nunziatura rappresentano dunque un importante punto di contatto per la Santa Sede nel continente asiatico.

                                                           FOCUS UCRAINA

Ucraina, le reazioni alla legge che bandisce la Chiesa del Patriarcato di Mosca

Papa Francesco ha preso una posizione netta contro la legge 8371 approvata dalla Rada Ucraina in seconda lettura il 20 agosto. La legge “Sulla protezione dell’Ordine Costituzionale nell’ambito delle attività delle organizzazioni religiose” è stata in discussione per diverso tempo, e in pratica dichiara la messa al bando di tutte le organizzazioni religiose il cui “centro di controllo” sia all’estero, e che si possa provare siano in qualche modo affiliate con Mosca.

La legge ha alcuni problemi pratici, ma è stata genericamente appoggiata dalle confessioni religiose sul territorio ucraino, più che altro perché si tratta di una risposta all’uso spregiudicato della religione e dell’ideologia del “mondo russo” utilizzata dal Patriarcato di Mosca, che non ha esitato a definire il conflitto in Ucraina come una “guerra santa”. Inoltre, nei territori occupati da Mosca, la presenza delle altre confessioni cristiane è stata quasi del tutto ridotta, in una situazione specularmente molto difficile.

Ha fatto scalpore che anche Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, abbia appoggiato la promulgazione della legge. La posizione di Shevchuk, in realtà, è molto più sfumata, e si definisce in quattro punti: la collaborazione e la partnership tra Stato e Chiese, l’assenza di una Chiesa statale e l’uguaglianza di tutte le organizzazioni religiose, il no dell’interferenza dello Stato alle questioni ecclesiastiche, e il diritto / dovere dello Stato di garantire la sicurezza nazionale, reagendo alla possibile strumentalizzazione delle organizzazioni religiose da parte degli Stati aggressori. È sulla base di questo quarto punto che ha “appoggiato” la legge, fermo restando che nessuna Chiesa va abolita dallo Stato.

La Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca si è espressa contro il testo legislativo ucraino tramite due documenti ufficiali.

Il primo documento è un comunicato del Santo Sinodo del 22 agosto, che sottolinea come “tra il 2014 e il 2023 il Santo Sinodo della Chiesa russa ha ripetutamente rilevato la pressione cui era sottoposta la Chiesa ortodossa ucraina, pressione che presenta indubbi tratti di politica statale antireligiosa. (…) Nonostante il fatto che molti esperti e organizzazioni per i diritti umani in Occidente abbiano riconosciuto le violazioni dei diritti dei credenti della Chiesa ortodossa ucraina, ciò non ha rappresentato un ostacolo all’adozione di un progetto di legge che distrugge l’idea stessa di libertà di coscienza e i diritti umani fondamentali“.

Il secondo documento è una lettera del Patriarca di Mosca Kirill ha indirizzato il 24 agosto a Papa Francesco e ad altri capi delle comunità cristiane, nonché diplomatici come il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, il Segretario generale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Helga Maria Schmid, e l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk.

Il Patriarca Kirill ha sottolineato che “le palesi contraddizioni delle disposizioni di tale legge con le norme della Costituzione ucraina, con gli accordi internazionali, con i diritti umani e con i principi fondamentali del diritto sono state ripetutamente constatate nei documenti delle principali organizzazioni per i diritti umani. La politica antiecclesiale delle autorità ucraine è stata criticata dalla comunità internazionale per molti anni. Il Patriarcato di Mosca ha ripetutamente testimoniato la situazione dei credenti ucraini e la persecuzione lanciata contro di loro”.

La legge era stata oggetto della preoccupazione dell’Alto Commissario Türk già quando era stata approvata in prima lettura il 19 ottobre 2023.

Nei giorni dell’approvazione, è arrivata a Kyiv una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli in occasione del 33esimo anniversario dell’indipendenza della nazione. I tre componenti della delegazione sono di origine ucraina: il metropolita Ilarion (Ohijenko), arcivescovo di Winnipeg e primate della Chiesa ortodossa ucraina del Canada, il metropolita Job (Getča) di Pissidia e il diacono patriarcale Epiphanios (Kamjanovič).

Il 22 agosto, la delegazione ha incontrato il metropolita Epifanìj (Dumenko), primate della Chiesa ortodossa d’Ucraina (OCU − Orthodox Church of Ukraine), ed altri rappresentanti dell’OCU, e, successivamente, il metropolita Onufrij (Berezovs’kij), a capo dell’UOC, ed altri rappresentanti dell’UOC. Il 23 agosto, invece, ha avuto luogo l’incontro con l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, e poi con il primate della Chiesa ortodossa ucraina di Kyiv Filaret.

                                                           FOCUS CINA

Cina, dietro la decisione delle autorità cinesi di riconoscere un vescovo cattolico

C’è anche un risvolto diplomatico nella decisione delle autorità cinesi di riconoscere Melchiorre Shi Honghzen come vescovo della diocesi di Tianjin. Il vescovo ha 94 anni, e non era mai stato riconosciuto dal governo cinese. Due anni fa, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, alla guida della delegazione vaticana inviata in Cina per il rinnovo dell’accordo sulla nomina dei vescovi, aveva potuto visitare il vescovo Shi, e gli aveva consegnato una croce pettorale a nome del Papa.

La croce segnalava che il Papa ne riconosceva l’autorità. Per questo, il vescovo Shi ha voluto che la sua “installazione”, come è chiamata dalle autorità cinesi, in realtà avvenisse in un contesto civile, e non in una cattedrale, a rimarcare che lui era già vescovo della diocesi, perché l’autorità episcopale viene solo dal Papa.

La decisione della Cina, accolta positivamente dalla Santa Sede che non può che registrare una accelerazione sulla procedura delle nomine episcopali, si inserisce nel quadro dell’accordo e viene a seguito di tre nomine episcopali avvenute a gennaio e il trasferimento a Hangzhou di uno dei due vescovi cinesi che hanno partecipato ai lavori del Sinodo – trasferimento reso noto a giugno.

La Cina comunque ci tiene a inglobare la nomina in un atto politico, e così il sito chinacatholic.cn ha parlato di “insediamento” del vescovo alla presenza del vescovo Giuseppe Li Shan, di Pechino, presidente dell’Associazione Patriottica e vice presidente del Consiglio dei Vescovi cinesi, e ha sottolineato che “alla cerimonia di insediamento, Shi Hongzhen ha giurato solennemente di attenersi alla Costituzione nazionale, di salvaguardare l'unità della patria e l'armonia sociale, di amare il Paese e la Chiesa e di aderire sempre alla direzione della sinicizzazione del cattolicesimo in Cina”.

Ad ogni modo, il segnale del governo cinese non si accompagna alla nomina condivisa di un vescovo coadiutore per la diocesi, che sarebbe necessario considerando che il vescovo Shi ha già 94 anni. Di base, il governo cinese ha sanato una ferita con il passato, dimostrando però di voler mantenere il controllo della situazione.

La Cina sembra speri comunque di includere, nei colloqui con il Vaticano, anche la possibilità di un impegno condiviso in Ucraina. Va letta in questo senso la telefonata del Cardinale Zuppi con il ministro Li Hui, e il fatto che il governo cinese abbia voluto far notare che si sia parlato del piano Cina-Brasile per la pace in Ucraina, dettaglio che non si trovava nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.

La Cina ha presentato il piano Cina-Brasile lo scorso giugno in Vaticano, sembra attraverso una delegazione dell’ambasciata di Cina in Italia, che spesso negli ultimi trenta anni avrebbe funzionato come punto di contatto informale tra Cina e Santa Sede.

                                                           FOCUS AMBASCIATE

Papa Francesco riceve le credenziali dell’ambasciatore di Ecuador presso la Santa Sede

Alla vigilia del Congresso Eucaristico Internazionale di Quito, Papa Francesco ha ricevuto le lettere  credenziali del nuovo ambasciatore dell’Ecuador presso la Santa Sede. Il 26 agosto, Jorge Edmundo Uribe Perez ha avuto una udienza con Papa Francesco.

Uribe non ha una carriera diplomatica alle spalle, ma è soprattutto un esponente del gruppo Tradizione, Famiglia e Proprietà, ed è un imprenditore nel mercato dell’import export della frutta. Tuttora è membro attivo del Pontificio Istituto Araldi del Vangelo.

Papa Francesco riceve le credenziali dell’ambasciatore del Paraguay presso la Santa Sede

Romina Elisabeth Taboada Tonina, nuovo ambasciatore del Paraguay presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali a Papa Francesco il 29 agosto. Avvocato e notaio, ha anche studi in Italia, avendo eseguito un corso di “Esperto in Cerimoniale e Protocollo Nazionale ed Internazionale” presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.

Con vari titoli accademici alle spalle, ha lavorato nel campo giuridico, mentre dal 2011 al 2013 è stata primo segretario dell’Ambasciata del Paraguay presso la Santa Sede e dell’Ordine di Malta, e poi ne è diventata ministro dal 2014 al 2018. Quello in ambasciata è per lei un “ritorno a casa”, dopo il triennio (2018 – 2021) da ambasciatore presso Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, e un triennio (dal 2021 al 2024) come consulente in materia di Diritto Internazionale Pubblico e privato presso lo Studio Giuridico “Almada Royg & Caballero” (2021 – 2024).

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, la questione delle LAWS

Si chiamano LAWS, ovvero Lethal Autonomous Weapons Systems, ovvero sistemi di armi autonomi e letali. Sono, in fondo, l’ultima generazione di armamenti, autonomi e automatici, magari gestiti dall’intelligenza artificiale, di cui la Santa Sede si occupa da molto prima che il tema dell’intelligenza artificiale negli armamenti diventasse un problema “di moda”.

Lo scorso 26 agosto, si è tenuta a Ginevra la Seconda Sessione del Gruppo di Esperti Governativi sulle tecnologie emergenti nell’area delle LAWS.

L’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, è intervenuto sottolineando che “per la Santa Sede, considerando la velocità dello sviluppo degli avanzamenti tecnologici e della ricerca sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale a scopi militari, è di estrema urgenza avere risultati concreti nella forma di uno strumento concreto e legalmente vincolante e allo stesso tempo nello stabilire una immediata moratoria sul suo sviluppo ed uso”.

La Santa Sede denuncia che i campi di battaglia “stanno diventando terreno di test per armi sempre più sofisticate”, e supporta “l’approccio di analizzare le funzioni potenziali e tecnologiche” dei LAWS”.

La Santa Sede sottolinea anche i sistemi di armi autonomi “non possono essere considerate entità moralmente responsabili”, perché è solo la persona umana, con la ragione, che possiede “una unica capacità di giudizio morale e decisione etica che non può essere replicato da alcun set di algoritmi, non importa quanto questo sia complesso”.

Riguardo il testo di preparazione che è stato presentato, la delegazione della Santa Sede apprezza che ci sia riferimento al “controllo appropriato” e al “giudizio umano”, chiedendo però “maggiore chiarezza e comprensione comune riguardo questi termini”, ricordando in particolare la decisione tra “una scelta e una decisione”. Infatti, le macchine producono meramente “scelte tecniche basate sugli algoritmi”, mentre gli esseri umani hanno “la capacità di decidere”.

La Santa Sede ha anche apprezzato il fatto che sia stato dato un ruolo centrale alle considerazioni etiche alla conferenza che si è tenuta a Vienna il 29-30 aprile su “Umanità al crocevia: Sistemi di Armi Autonomi e la Sfida della Regolamentazione”. Si tratta di una conferenza, come altre, che mostra “una crescente consapevolezza dei problemi etici creati con l’utilizzo militare dell’Intelligenza Artificiale”.

L'arcivescovo Balestrero nota che “lo sviluppo di armi sempre più sofisticate non è certamente la soluzione”, e che i “benefici indubitabili che l’umanità potrà ottenere dall’attuale progresso tecnologico dipenderà dal grado con cui questi progressi sono accompagnati da un adeguato sviluppo di responsabilità e valori che pone gli avanzamenti tecnologici al servizio dello sviluppo umano integrale e del bene comune”.