Perché l’essenziale è visibile agli occhi?
Arriva qui il secondo motivo della mostra, il titolo del Meeting di quest’anno, la frase di Cormac McCarthy: ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’ C’è una famosa frase di Antoine de Saint Exupéry ne ‘Il piccolo principe’ che dice: ‘Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi’. Riascoltando Congdon e rimettendomi davanti ai suoi quadri, mi sono sentita di rovesciarla. Per due motivi.
Il primo: perché tutta la vita e l’opera artistica di Congdon sono state la ricerca e il tentativo di rappresentare in modo visibile di questo essenziale. Il secondo: perché l’essenziale, misteriosamente celato dentro il visibile, a un certo punto ha deciso di rendersi visibile, anche nella vita personale di Congdon. Insomma, l’essenziale è visibile in quanto mistero presente che fa ciò che vediamo, che gli dà consistenza. Invito i visitatori della mostra a soffermarsi davanti al quadro intitolato ‘Giallo con sole’, e capiranno quello che sto dicendo”.
In quale modo Congdon scopre che la pittura è vocazione per la sua vita?
“Lo dico con le sue parole: ‘Io ho un’idea, l’ho sempre sospettato, che sono nato col dono. La prima espressione del dono era la mia sofferenza nell’ambiente di casa, di famiglia, e precisamente si può dire di mio padre: non è che lui non aveva l’amore per me, ma non l’aveva nel mio modo di volerlo già a tre, quattro o cinque anni, perché io ero già condizionato dal dono in me, ed esigevo una certa corrispondenza che non veniva. Questo non è un giudizio oggettivo su di lui, perché lui ovviamente mi amava come poteva, secondo la sua realtà. Quindi, per me, il mio dono già operava da tutta la mia vita’. Più avanti aggiunge: ‘Il mio occhio è munito da un dono particolare che Dio ha messo dentro di me, è un occhio trasfigurato da Dio per essere trasfigurante e trasfigurare le cose. Dio mi trasfigura l’occhio, cioè mette dentro di me il suo occhio, che io chiamo la trasfigurazione del mio occhio, in modo che io posso vedere, trasfigurare, le cose e dipingere il trasfigurato’. Il tema del dono è una costante nel suo conversare, come si potrà apprendere leggendo lo scritto del giornalista Pigi Colognesi che costituisce la seconda parte del libro edito in occasione di questa mostra”.
Per quale motivo si converte alla Chiesa cattolica?
“Congdon era un solitario, e in qualche modo lo è rimasto sino alla fine della sua vita (come dice lui stesso nell’intervista che mi ha concesso) per questo era anche difficilmente classificabile artisticamente, pure i panni dell’Action Painting a un certo punto gli stettero stretti. Come altri pittori della scuola newyorkese ebbe la tentazione del suicidio, il suo continuo viaggiare è stato la modalità di ricerca di un senso per fuggire al gesto insensato. E non pochi studiosi hanno sottolineato come la sua stessa conversione potesse apparire, in un certo modo, quasi una sorta di suicidio simbolico, di drastica rinuncia all’esistenza sin lì condotta. Il senso che cercava lo trovò, passando per Venezia e poi per Assisi (città decisive per lui) ed infine incontrando Cristo nella Chiesa cattolica attraverso la Pro Civitate Christiana di don Giovanni Rossi e alla compagnia del grande amico della sua vita, Paolo Mangini, insieme al quale poi conobbe l’esperienza di Gioventù Studentesca”.
Quale è stata l’influenza di mons. Giussani nell’ultima parte della sua vita?
“C’è stata certamente un’incidenza a livello personale e di fede nella quale non oso addentrami. Mi limito a ripetere quanto Congdon stesso dice negli ultimi anni della sua vita, rispetto al suo essere un solitario: ‘Sono solitario per non essere affatto solitario. Dove è la mia compagnia non è secondo quello che il mondo chiama compagnia. Solitario? Certo che sono solitario: uno che vive come me qui come un monaco è solitario per non essere solitario, per essere compagnia in Cristo’. Per lui non era facile accettare quella che dall’insegnamento di don Giussani aveva cominciato a chiamare la ‘dimensione comunitaria’ del cristianesimo.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Ma vi è un aspetto della sua coscienza artistica in cui questa ‘influenza’ è chiarissima. Dopo anni in cui la sua produzione artistica si è concentrata sul cosiddetto ‘soggetto religioso’, verso la fine degli anni Sessanta Congdon entra in una fase crisi creativa: ‘Nel mondo dell’arte americano, scrive il critico Rodolfo Balzarotti, si comincia a guardare alla sua pittura come a un episodio concluso negli anni Cinquanta. D’altro canto, il ripudio del soggetto religioso lo rende sempre più restio a esporre nell’ambito di quelle istituzioni religiose dove ancora avrebbe potuto trovare un proprio pubblico’.
‘Sembrava, dice Congdon, che la mia nuova famiglia, la Chiesa, avesse sepolto il mio io di artista. E’ stato un periodo buio. Ma, grazie a Dio e alla compagnia cristiana del movimento di don Giussani, non è stato un periodo inutile. Anzi, la strettoia in cui mi sono trovato a passare ha favorito una nuova nascita, anche artistica’. Basti un esempio: in ‘Sahara 12’ (uno dei quadri in mostra) c’è l’impronta del suo piede che calpesta la piccola oasi, tutt’intorno, il deserto infinito. Strano gesto quello di mettere il piede in un quadro.
Nei suoi taccuini scriveva: ‘E’ il passo sconosciuto verso il mistero della vita. E’ il passo nudo del ricominciare. E’ il passo della preghiera, della rinascita dell’innocenza’. L’edizione in arabo de ‘Il senso religioso’di don Luigi Giussani ha in copertina proprio questo quadro. Quando l’ha visto Congdon ha detto: ‘Sono stato contento, perché certamente di fronte al deserto uno si trova proprio nudo, bisognoso, carico di domande di fronte al Mistero e cerca, ecco il piede nel quadro, di entrarci nel Misero, di conoscerlo’. E’ proprio ciò di cui parla il libro di Giussani”.