Roma , sabato, 13. febbraio, 2016 10:00 (ACI Stampa).
“Esiste un’azione strutturata che usa gli spazi mediali come luoghi per promuovere ideologie discutibili e rivendicazioni legislative”. Parola del nuovo presidente dell’AIART, Massimiliano Padula. Giovane (classe 1978), professore alla Lateranense, all’Auxilium e al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimoni e famiglia, con un passato da giornalista e responsabile di uffici stampa, Padula racconta ad ACI Stampa cosa è l’AIART, quale è l’impatto che può avere oggi che il mezzo di riferimento non è più la televisione. Ma anche di comunicazione cattolica e comunicazione tout court. Fino ad analizzare il flusso informativo che ha contornato ed è seguito al Family Day.
Non si sente molto parlare dell’AIART. Cosa è l’AIART? E perché l’AIART può essere importante oggi?
L’Associazione nasce nel 1954 come costola dell’Azione Cattolica. Proprio in quell’anno iniziavano in Italia le trasmissioni televisive e si pensò ad uno strumento che garantisse al telespettatore la fruizione di programmi moralmente apprezzabili. Il fondatore e primo presidente fu Luigi Gedda, una delle più straordinarie figure del cattolicesimo del Novecento. Credo che la definizione migliore dell’Associazione l’abbia data Giovanni Paolo II nella lettera del 10 novembre 2004 all’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Ruini in occasione del 50° anniversario di fondazione: “Le ragioni che motivarono la nascita dell’Aiart – scriveva il Papa polacco - sono oggi ancor valide, e anzi, nella nostra società mediatica, occorre maggior incisività e coraggio per coltivare il gusto del bello accompagnandolo con la sensibilità per il bene e per il vero. È indispensabile aiutare gli utenti, particolarmente le famiglie, a un uso maturo del mezzo televisivo per saper discernere con equilibrio e saggezza le trasmissioni che sono in sintonia con la visione cristiana del mondo e dell’uomo”.
Queste parole che ancora oggi rappresentano per l’Aiart una bussola preziosa, rispondono all’esigenza di un’azione integrata e partecipata. Va valorizzato l’impegno di tutti gli iscritti che in questi anni si sono spesi nell’associazione e hanno contribuito a renderla un punto di riferimento a livello culturale e formativo. Tuttavia credo che l’Aiart da sola ha poche chance di riuscire nell’impresa titanica di formare ad un uso sapientemente critico dei media digitali e non. Per questo vanno individuate sinergie e collaborare, dunque, non limitandosi a “gareggiare nello stimarsi a vicenda” ma valorizzando l’esistente e renderlo per così dire “contagioso”.
Quali i temi che i comunicatori cattolici dovrebbero sviluppare di più in questa particolare situazione?