Un piccolo gregge nella galassia dele religioni che sono in maggioranza shintoismo (51,8 per cento) e Buddhismo (34,9 per cento). Un piccolo gregge che vede scendere i suoi membri, con qualche picco di crescita e l’apporto di circa 500 mila fedeli stranieri, che sono poi gli immigrati provenienti da nazioni asiatiche, dal Sud America, dall’Europa.
La Chiesa ha assunto la missione di "accogliere i migranti, di rinnovare insieme la società giapponese e procedere verso una società e una comunità ecclesiale multiculturale". Tuttavia la presenza della numerosa comunità di cattolici stranieri costituisce una sfida aggiuntiva per la Chiesa locale, che avverte anche il bisogno di preservare una identità cattolica giapponese.
Tante sfide, e tutte differenti, per un luogo che fu evangelizzato per la prima volta il 15 agosto 1549, giorno in cui San Francesco Saverio, tra i primi compagni di Sant’Ignazio di Loyola, arrivò da Malacca in Giappone.
Dopo Francesco Saverio, fu la volta del gesuita italiano Alessandro Valignano, e poi arrivarono i francescani, soprattutto italiano. Valignano scrisse anche un fondamentale Cerimoniale per i Missionari del gGiappopne
I giapponesi chiamavano gli stranieri Nan Ban (barbari del Sud), poiché considerati persone rozze e poco colte, per il semplice fatto di non praticare le usanze e i costumi del Paese.
Nel corso del XVI secolo, la comunità cattolica crebbe fino a superare le 300.000 unità, e fu stabilita la diocesi di Funay, che aveva al suo centro la città di Nagasaki.
Nel 1582, i Gesuiti giapponesi organizzarono un viaggio in Europa per testimoniare l’apertura alla fede cristiana del popolo del Sol levante. Il viaggio si protrasse per otto anni, toccando Venezia, Lisbona e poi Roma, dove furono ricevuti da Papa Gregorio XIII e conobbero anche il successore, Sisto V. Nel 1590 ritornarono in patria.
Lo Shogunato Tokugawa comprese ben presto che i Gesuiti, attraverso l'opera evangelizzatrice, stavano influenzando la dinastia imperiale, di fatto relegata ad una funzione meramente simbolica e quindi interpretò la presenza dei cristiani nel loro complesso, e i Nan Ban in generale, come una minaccia alla stabilità del suo potere.
Nel 1587 il kampaku (capo politico e militare) Hideyoshi, “Maresciallo della Corona” a Nagasaki, emise un editto con il quale ingiunse ai missionari stranieri di lasciare il Paese.
I cristiani rimasero clandestinamente. Le persecuzioni non cominciarono che dieci anni dopo.
Il 5 febbraio 1597 ventisei cristiani (6 francescani, 3 gesuiti e 17 giapponesi) furono crocifissi.
Nel 1614, lo shogun Tokugawa Ieyasu, dominus del Giappone, bandì, con un altro editto, il cristianesimo e vietò ai cristiani giapponesi di praticare la loro religione. Il 14 maggio di quell'anno si tenne l'ultima processione lungo le strade di Nagasaki, che toccava sette delle undici chiese cittadine esistenti; tutte furono successivamente demolite.
La repressione del regime fu contrastata da rivolte popolari, come quella di Shimbara, vicino Nagasaki, sviluppatasi tra il 1637 e il 1638 e repressa nel sangue, con il massacro di 40 mila convertiti. Tra questi, il Samurai di Cristo, beatificato nel 2017.
Nel 1641, un decreto dello shogun Tokugawa Iemitsu chiuse del tutto un Paese, con un decreto che proibì il contatto tra popolazione giapponese e stranieri. L’ultimo sacerdote cristiano rimasto nel Paese fu condannato nel 1644, e i cristiani cominciarono a parlare per simboli, con un linguaggio tutto loro.
È il periodo del “Silenzio”, immortalato anche da un film di Martin Scorsese.
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I cristiani si rifugiarono quasi tutti a Nagasaki, unico porto aperto al commercio con l’Europa e luogo dove, senza sacerdoti e senza chiese, si organizzarono da soli, con incarichi definiti e persino un annunciatore che visitava le famiglie per annunciare la domenica, le feste cristiane, i giorni di digiuno e astinenza.
Il primo vicario apostolico del Giappone fu monsignor Theódore-Augustin Forcade, dal 1846 al 1852, pur non esercitando mai attivamente il ministero. Il Paese fu riaperto solo nel 1853, su pressione degli Stati Uniti, e arrivarono così molti missionari di fede cattolica, protestante e ortodossa, e nel 1858 il culto delle apparizioni di Lourdes si diffuse.
Nel 1862, Pio IX canonizzò i 26 cristiani martirizzati nel 1597, e nel 1871 venne introdotta la libertà religiosa, mentre nel 1873 il governo giapponese abrogò finalmente l’editto di persecuzione del 1614, e nel 1888 fu riconosciuto il diritto alla libertà di culto. Nel 1927, fu nominato il primo vescovo di nazionalità giapponese, Januarius Kyunosuke Hayasaka, che guidò la diocesi di Nagasakki.
E a Nagasaki arrivò padre Massimiliano Kolbe con i suoi francescani conventuali, dove creò il villaggio dell’Immacolata e la rivista ad esso collegata. Il convento di Kolbe, poi tornato in Polonia durante la guerra, rimarrà miracolosamente intatto dallo scoppio della bomba atomica, e negli Anni 1950 diede vita al Villaggio delle Formiche, che raccoglieva poveri e diseredati a conseguenza della guerra.
Giovanni Paolo II fu il primo Papa a visitare il Paese nel 1981, e fece un appello alla riconciliazione e alla pace. Da allora, la Conferenza episcopale giapponese organizzò “Dieci giorni per la pace” (Ten days for Peace), una serie di eventi a cadenza annuale per la commemorazione delle vittime di Hiroshima e Nagasaki e sul problema nucleare. La manifestazione, che vede coinvolte tutte le diocesi nipponiche, è aperta anche alle altre confessioni religiose.
Lo sguardo al futuro è quello della sua straordinaria esperienza di Paese che ha vissuto per primo – e finora unico – gli orrori dell’atomica. E ora, con lo sguardo sull’intelligenza artificiale, il Giappone si candida ad essere il centro di un movimento mondiale in tal senso.