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La Chiesa in Asia: la Cina, il sogno di Papa Francesco

16 milioni di fedeli cattolici, una persecuzione presente, un sogno. Ecco cosa è la Cina per i cattolici oggi

Pechino | La skyline di Pechino vista dal quartiere finanziario | AG / ACI Group Pechino | La skyline di Pechino vista dal quartiere finanziario | AG / ACI Group

Ci sono circa 16 milioni di fedeli cattolici in Cina, almeno secondo le fonti ufficiali. Una minoranza sparuta, e spesso sotto controllo del governo, ma con un enorme peso specifico. Perché la Chiesa cattolica opera in un territorio in cui tutto viene controllato, in cui tante realtà di fede non vengono accettate, dove persino i concetti sono differenti.

Ma è anche un territorio particolare, dove il comunismo ha eroso la memoria, e dove si è creata una storia parallela, quella di un cattolicesimo colonizzatore che ha messo in crisi la Cina stessa. Una storia che non tiene conto del modo in cui la Santa Sede si è liberata dei patronati e delle potenze straniere, e di come abbia portato avanti, pur con tanti limiti, la politica dell’adattamento agli usi e i costumi locali.

Il sogno di Papa Francesco, si sa, è di andare a Pechino. L’ultimo officiale di alto lignaggio a poter andare a Pechino è stato il Cardinale Matteo Zuppi nell’ambito della sua missione umanitaria tra Kyiv, Mosca, Washington e (appunto) Pechino.

L’accordo sulla nomina dei vescovi verrà probabilmente rinnovato a ottobre per altri due anni, ma solo quest’anno ha visto una accelerata nelle nomine episcopali: tre all’inizio dell’anno, e un quarto, Giuseppe Yang Yongjang, trasferito nella diocesi di Hangzhou, con una nomina che per la prima volta ha riguardato qualcuno che era già vescovo.

Come se la decisione del governo cinese di trasferire il vescovo Shen Bin a Shanghai, sanata poi dalla nomina del Papa, fosse una sorta di prova generale. Shen Bin è poi venuto a Roma, ha tenuto una relazione ad una conferenza sui 100 anni del Concilio di Shanghai che era piena di retorica del partito comunista, e intanto Pechino faceva i conti con quella che era la terminologia cristiana.

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Certo, l’accordo ha i suoi limiti, e tutti lo sanno. La Chiesa cattolica in Cina contava 20 arcidiocesi, 96 diocesi (incluse Macao, Hong Kong, Baotou e Bameng), 29 prefetture apostoliche e 2 amministrazioni ecclesiastiche. Le autorità cinesi hanno invece creato una geografia di 104 diocesi (escluse Macao e Hong Kong) delineate secondo i confini dell’amministrazione civile, ed escludendo i ranghi presenti nella Chiesa cattolica, che considerano anche arcidiocesi, metropolie e prefetture appunto. La Santa Sede sembra sia disponibile a rivedere la distribuzione delle diocesi guardando anche ad una contiguità territoriale con le amministrazioni locali cinesi.

La situazione in Cina, però, non è generalmente migliorata per i cattolici. Anzi.

Recentemente, il vescovo Peter Shao Zumin della diocesi di Yongija-Whenzou, nell’Est della Cina, è stato arrestato e messo agli arresti domiciliari in una proprietà dello Stato. Non era la prima volta che il vescovo Shao, 60 anni, veniva arrestato.

Shao era stato nominato alla guida della diocesi di Yongija-Wenzhou nel 2016, nel 2017 è stato detenuto più volte e molestato regolarmente durante i giorni di festa della Chiesa. La diocesi è considerata turbolenta a causa di una ampia diaspora, con molta emigrazione verso l’Europa e specialmente in Francia, che dà alla diocesi una particolare apertura per il mondo esterno.

Ma Shao veniva arrestato soprattutto a causa del suo rifiuto di aderire alla Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, l’associazione soggetta al governo che rappresenta in via ufficiale la Chiesa Cattolica in Cina ed è indipendente dalla Santa Sede. Va segnalato che, con il primo accordo per la nomina dei vescovi, c’erano state crescenti pressioni sui sacerdoti perché aderissero all’Associazione Patriottica, cosa che suscitò un intervento dell’allora prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il Cardinale Fernando Filoni.

Ci sono almeno altre tre diocesi che non hanno avuto notizie dei loro vescovi per diversi anni. Il vescovo Joseph Zhang Weizhu di Xiangxiang è stato arrestato il 21 maggio 2021; il vescovo Augusti Cui Tai di Xuanhua, anche lui scomparso nella primavera del 2021; e il vescovo James Su Zhimin di Baoding, arrestato nel 1996, che ora avrebbe 91 anni, se fosse ancora vivo.

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Tutti questi vescovi sono riconosciuti dalla Santa Sede, ma non dal governo cinese. C’è poi il caso di Thaddeus Ma Daqin, che alla sua nomina come vescovo di Shanghai nel 2012 lasciò l’Associazione Patriottica. È finito anche lui agli arresti domiciliari, e non ha praticamente mai amministrato la diocesi. Quindi, il governo cinese ha pensato di nominare unilateralmente il vescovo Shen Bin a Shanghai, spostandolo dalla diocesi di Haimen.

La nomina era una chiara rottura dell’accordo sino-vaticano, confidenziale, ma che dovrebbe prevedere una forma di mutuo riconoscimento. Da parte cinese, è stato detto che quella decisione era un trasferimento, non una ordinazione e dunque non ricadeva nell’accordo. Papa Francesco ha deciso di sanare poi la decisione di Pechino nominando Shen Bin come vescovo di Shanghai, e di fatto considerando la diocesi come vacante.

Anche nelle ultime nomine, la Santa Sede ha accettato in un caso la divisione delle diocesi di Pechino, stabilendo la diocesi di Weifang in luogo di una prefettura, e ha persino accettato un candidato che sembra essere stato nominato da Pechino già nel 2022, almeno a quanto si legge sul sito chinacatholic.cn.

La Santa Sede punta ad avere un ufficio di rappresentanza a Pechino, una liaison non diplomatica, per tenere da vicino d’occhio la situazione e aiutare ad interpretare l’accordo nei termini giusti, per evitare incomprensioni. Non sembra, tuttavia, che da parte cinese ci sia volontà ad un ufficio non diplomatico. E, se fosse un ufficio diplomatico, la Santa Sede dovrebbe drammaticamente tagliare i rapporti con Taiwan.

Alcuni della vecchia scuola vaticana sostengono che non ci sarebbero problemi a trasferire le nunziature, e che anzi si sarebbe dovuto anche fare. Il punto, però, è se uno Stato possa imporre ad un altro con chi avere relazioni diplomatiche. E la Santa Sede, su questo, non è disposta a fare concesioni con la Cina. Almeno fino ad ora.

 

(2-continua)