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Il racconto di Yamo Ansari, dalla fuga dall’Afghanistan a soccorritore nel Mediterraneo

Il giovane lavora come infermiere nel CISOM

L'accoglienza dei profughi del CISOM |  | Ordine di Malta L'accoglienza dei profughi del CISOM | | Ordine di Malta

Yamo Ansari, nei mesi scorsi, ha svolto l’attività di soccorritore a Lampedusa come sanitario nelle motovedette del Corpo italiano dell’Ordine di Malta, dopo essersi laureato in scienze infermieristiche e sta raggiungendo il traguardo della seconda laurea (mentre lavora come infermiere) in Scienze politiche a Firenze. A 7 anni Yamo Ansari è fuggito da Ta Kamar in Afghanistan, dove vive con la madre e la sorella, per raggiungere il padre in Inghilterra; e dopo un lungo viaggio, attraversando Iran, Turchia, Grecia, il Mediterraneo, sale su un camion clandestinamente, con cui, dopo due giorni, arriva  al confine con l’Italia, dove è scoperto ed affidato ad un centro per minorenni nel maceratese, nelle Marche: “Io e mio zio salimmo su un camion e ci nascondemmo tra i bancali; viaggiammo due giorni accucciati per non farci scoprire. Ma, purtroppo una mossa di troppo e l’autista sentì il rumore, chiamando la polizia di frontiera”. Qui incontra una famiglia affidataria (Onelio Cingolani e Paola Giacobelli) che lo accoglie nella casa di Tolentino, insieme ai loro tre figli. E nel 2021 si è laureato davanti ai ‘quattro genitori’, in quanto il padre è riuscito dalla Francia ad ottenere il ricongiungimento per la famiglia originaria.

Per quale motivo la scelta dell’infermiere a bordo di una nave dell’Ordine di Malta a Lampedusa?

“Il motivo principale che mi ha spinto a intraprendere questo viaggio è stato senza dubbio il desiderio di aiutare il prossimo. Sentivo l’esigenza di vivere un’esperienza diversa dalla quotidianità di una corsia ospedaliera. Volevo entrare in contatto diretto con la sofferenza umana, vederla e toccarla con mano, al di fuori delle mura protettive di un ospedale. Credo fermamente che siano proprio queste esperienze a cambiare profondamente le nostre prospettive. L’interazione con persone in situazioni di grande difficoltà ci costringe a rivedere le nostre priorità, a rivalutare ciò che consideriamo importante nella vita quotidiana e a sviluppare una maggiore empatia e comprensione per le difficoltà altrui. Questo viaggio ha rappresentato per me, un’opportunità unica di crescita personale e professionale.

Inoltre, la possibilità di offrire il mio aiuto a chi ne ha davvero bisogno mi ha dato un senso di appagamento e di realizzazione che difficilmente avrei potuto sperimentare altrove. La sofferenza umana, osservata da vicino, ha la capacità di farci riscoprire il vero significato della solidarietà e dell’altruismo. Ogni incontro, ogni sorriso ed ogni parola di gratitudine che ho ricevuto in questo viaggio hanno contribuito a rafforzare la mia convinzione che la mia scelta non solo fosse giusta, ma anche necessaria per il mio percorso di vita. In sintesi, questo viaggio non è stato solo un’opportunità di aiutare il prossimo, ma anche un’occasione per rinnovare e arricchire la mia visione del mondo, trasformando in maniera indelebile il mio modo di percepire la sofferenza e di interagire con essa”.

Come ha deciso di lasciare l’Afghanistan?

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“All’età di 7 anni, non si ha alcuna capacità decisionale autonoma. A questa tenera età, si è felici in qualsiasi contesto ci si trovi, persino sotto le bombe. La percezione della realtà, infatti, è ancora incompleta e non pienamente sviluppata. E’una fase della vita in cui il mondo esterno è filtrato attraverso l’innocenza e la semplicità infantile. Le decisioni importanti, che possono determinare il corso della vita di un bambino, sono necessariamente prese dagli adulti che lo circondano. Genitori, familiari e tutori sono coloro che valutano e stabiliscono ciò che ritengono essere il meglio per il minore.

In un contesto di guerra, ad esempio, un bambino di 7 anni non può comprendere appieno la gravità e la pericolosità della situazione. La sua mente è ancora troppo giovane per afferrare concetti complessi come la violenza, la perdita e la distruzione. Per lui, un rifugio antiaereo potrebbe sembrare un luogo avventuroso, ignaro dei veri pericoli che lo circondano. Gli adulti, invece, devono prendere decisioni difficili e dolorose per garantire la sicurezza e il benessere del bambino, spesso senza poter spiegare in modo comprensibile le ragioni delle loro scelte”.

In quale modo è arrivato in Italia? 

“Diciamo che ne ho fatti di chilometri a piedi, una maratona più lunga del normale: però, ripeto, non ci si rende conto ed è questa la bellezza: una maratona che va dall’Afghanistan all’Inghilterra, passando per Iran, Turchia, Grecia ed infine Italia, la destinazione non scelta, sogno dell’Inghilterra andata in frantumi”.

Quale è l’attività svolta su una nave che soccorre i migranti?

“A bordo delle navi della guardia costiera, è sempre presente il personale sanitario del CISOM, il Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta. L’attività principale che si svolge a bordo delle motovedette consiste nel monitorare la salute generale delle persone soccorse. Questo compito comporta una varietà di interventi, che vanno dalla rianimazione cardiopolmonare alle semplici medicazioni di ferite od ustioni riportate dai naufraghi. Le ferite trattate dai sanitari del CISOM sono spesso causate dalle azioni della guardia costiera libica o tunisina. 

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Inoltre, molte persone soccorse presentano ustioni, provocate dalla cosiddetta ‘miscela maledetta’, una combinazione di acqua e carburante che produce gravi lesioni cutanee. Questo tipo di ustione è particolarmente doloroso e richiede un trattamento immediato per prevenire ulteriori complicazioni”.

Quali sentimenti ha provato nel soccorrere i migranti?

“I sentimenti che emergono nel momento in cui si soccorrono le persone ammassate l’una sull’altra su un maledetto barchino di ferro, di appena cinque metri di lunghezza, sono complessi e contrastanti. Questi individui hanno affrontato un’odissea infernale, attraversando i Paesi dell’Africa centro-meridionale ed il deserto, con la sola speranza di raggiungere le coste del Nord Africa per poi affrontare l’incertezza della traversata verso l’Europa. Ogni passo di questo viaggio è stato segnato da immense difficoltà e pericoli, con la costante minaccia di fallimento o di morte.

Quando finalmente vengono avvistati e soccorsi dalla guardia costiera, la disumanità del presente diventa subito evidente. La vista di queste persone, stremate e disperate, ammassate su imbarcazioni del tutto inadatte, è un colpo al cuore. Questi esseri umani, che hanno sopportato inenarrabili sofferenze e privazioni, ci pongono di fronte alla cruda realtà delle loro vite. 

L’inevitabile mescolanza di rabbia e gioia invade il cuore dei soccorritori: rabbia per le circostanze ingiuste e crudeli che hanno costretto queste persone a intraprendere un simile viaggio; gioia perché finalmente, dopo tante traversie, si sentono al sicuro, si sentono salvate. Il momento in cui salgono a bordo della motovedetta è carico di emozione. La loro prima reazione è cercare con lo sguardo la bandiera presente sull’imbarcazione. ‘Italia?’, chiedono con speranza e timore nella voce. Non appena riconoscono la bandiera italiana, molti scoppiano in lacrime di sollievo. Questa bandiera rappresenta per loro la fine di un incubo e l’inizio di una nuova possibilità di vita. Le lacrime che scorrono non sono solo il frutto del sollievo fisico, ma anche dell'emozione intensa che deriva dalla consapevolezza di essere finalmente fuori pericolo.

Il personale della guardia costiera ed i sanitari del CISOM sono testimoni di queste scene strazianti ed, al contempo, toccanti. Essi comprendono profondamente la gravità della situazione e l’importanza del loro ruolo nel fornire soccorso e conforto. Ogni intervento non è solo un’operazione di salvataggio fisico, ma anche un atto di umanità e di speranza. Queste persone, spesso traumatizzate ed indebolite, trovano nei soccorritori un punto di riferimento ed un primo segnale di accoglienza. Il lavoro svolto a bordo delle motovedette è essenziale non solo per curare le ferite del corpo, ma anche per iniziare a sanare le ferite dell’anima, causate da un viaggio disperato in cerca di salvezza.

Ogni passo del processo di soccorso è carico di significato. L’approccio iniziale; il salvataggio dall’acqua; il primo contatto umano che spesso si traduce in un semplice gesto di conforto; sono momenti di straordinaria intensità emotiva. Vedere le persone crollare in lacrime di fronte alla bandiera italiana rafforza nei soccorritori la consapevolezza della portata del loro intervento. Queste lacrime rappresentano la fine di un calvario e l’inizio di una nuova speranza. Il compito di soccorrere queste persone non è solo un dovere professionale, ma un imperativo morale. Ogni singolo salvataggio rappresenta un trionfo della speranza sulla disperazione, dell’umanità sull’indifferenza. Ogni persona salvata porta con sé una storia di coraggio e sofferenza, ma anche di speranza e di resilienza. 

Il viaggio di queste persone verso una nuova vita inizia con un gesto di compassione e di solidarietà, un gesto che rimarrà impresso nei loro cuori per sempre. Le esperienze vissute a bordo delle motovedette della guardia costiera non solo salvano vite, ma anche ripristinano la fiducia nell’umanità, dimostrando che, nonostante le difficoltà, esiste ancora la capacità di aiutare e di prendersi cura degli altri in modo significativo e profondo”.

Quali sono i progetti per il ‘futuro’?

“Ci sono molti progetti per il futuro, ma al momento il mio obiettivo principale è quello di crescere, di comprendere meglio il mondo che mi circonda e di arricchire il mio bagaglio di conoscenze. Attualmente, sto completando i miei studi presso la Scuola in Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’ dell’Università di Firenze. Questo percorso accademico mi offre l’opportunità di approfondire temi fondamentali per la comprensione delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che governano la nostra società.

Riflettendo sulla mia esperienza e su quella dei miei coetanei, mi rendo conto che spesso non riusciamo a percepire appieno il grande privilegio che ci è stato concesso. Viviamo in un’epoca caratterizzata da un accesso senza precedenti ad informazioni, risorse educative e tecnologie avanzate. Abbiamo a nostra disposizione strumenti che le generazioni precedenti potevano solo sognare, eppure sembra che questa abbondanza ci stia rendendo sempre più pigri. L’accesso immediato a qualsiasi tipo di informazione, pur essendo un grande vantaggio, ha portato molti di noi a perdere la capacità critica e l’inclinazione all’approfondimento. Ci accontentiamo di risposte superficiali e rapide, senza prendere il tempo necessario per analizzare, comprendere e formare opinioni solide e ben informate. Questo atteggiamento ci rende vulnerabili alle manipolazioni e ci espone al rischio di essere facilmente raggirati.

Inoltre, la comodità offerta dalle tecnologie moderne spesso ci induce ad evitare il confronto diretto e l’interazione personale. Preferiamo comunicare tramite schermi e social media, piuttosto che impegnarci in discussioni faccia a faccia, dove l’immediatezza e la complessità delle emozioni umane richiedono maggiore empatia e capacità di ascolto. Il percorso di studi, che sto seguendo, mi ha aiutato a riconoscere l’importanza di sviluppare un pensiero critico e indipendente. La Scuola ‘Cesare Alfieri’ mi ha fornito gli strumenti per analizzare le questioni politiche e sociali con rigore e profondità, spingendomi a interrogarmi su temi complessi ed a cercare risposte basate su dati concreti e analisi ponderate”.

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Eppoi anche un racconto della tua vita?

“E’ fondamentale che, come giovani, ci rendiamo conto del ruolo cruciale che abbiamo nella costruzione del futuro. Dobbiamo sfruttare al massimo le opportunità che ci vengono offerte, impegnandoci a sviluppare competenze e conoscenze che ci permettano di essere cittadini informati e responsabili. Solo così potremo contribuire in modo significativo alla società, evitando di diventare semplici spettatori passivi o, peggio ancora, vittime di manipolazioni.

Infatti un altro progetto che tengo particolarmente a cuore è quello di finire l’autobiografia e pubblicarla in futuro. Uscirà, ma non so esattamente quando; la mia vita è stata segnata da esperienze uniche e significative che credo possano offrire spunti di riflessione ed ispirazione per molti. Ma, per ora, il mio impegno attuale è rivolto non solo al completamento dei miei studi, ma anche alla crescita personale ed intellettuale. Sono determinato a utilizzare le risorse a mia disposizione per diventare una persona capace di pensare con la propria testa, di comprendere le sfide del presente e di contribuire positivamente al cambiamento. La consapevolezza del privilegio che abbiamo deve spingerci a non accontentarci della superficialità, ma a cercare sempre una maggiore profondità e comprensione nelle nostre azioni e nelle nostre scelte”.