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Le Chiese cristiane e la pace nel XX secolo. Storie, obiettivi, diplomazia

Un percorso che va dal lavoro umanitario a quello più devozionale. Passa attraverso persecuzioni. Supera indenne il Secolo Breve

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Lo storico Eric Hobswawm ha definito il XX secolo come “il secolo breve”, stretto come era da due conflitti mondiali, e da un mondo che si era completamente scombussolato con la caduta dei Grandi Imperi dopo la I Guerra Mondiale. In questo secolo, tuttavia, c’è un contributo poco conosciuto, ed è il contributo delle Chiese cristiane alla pace.

Attenzione. Non della Chiesa Cattolica, e in particolare della Santa Sede, ma di tutte le Chiese cristiane. È significativo che di questo contributo abbia parlato un convegno nel 2018, intitolato “La missione di pace delle Chiese cristiane del XX secolo” e organizzato dall’Istituto di Storia mondiale dell’Accademia Russa delle Scienze e dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche nel 2018.

Le relazioni di quella conferenza ripercorrono una grande vastità dei temi, guardano sia al lavoro della Santa Sede per la pace che alla situazione della Chiesa Ortodossa nella persecuzione stalinista, ma arrivano anche a guardare alla situazione del Giappone, con la storia del grande missionario russo ortodosso Nikolaj e la sua difficile posizione durante il conflitto russo-giapponese di inizio secolo, e si spingono fino in Messico, dove la persecuzione massonica e giacobina contro la Chiesa ha raggiunto livelli quasi inesplorati nel vecchio continente.

Queste relazioni sono ora raccolte in un volume della Libreria Editrice Vaticana, Diplomazia. Religione. Nazioni. La missione di pace delle Chiese cristiane nel XX secolo. Un volume prezioso, anche perché – come scrive Matteo Luigi Napolitano, curatore del volume, nell’introduzione – “parlando di missione cristiana di pace nel XX secolo, sembra quasi di doverne constatare il fallimento, specialmente di fronte a due guerre mondiali e alle guerre che stiamo conoscendo anche oggi”. Ma – argomenta Napolitano – “la nostra responsabilità umana e sociale è intatta, e ciò va colto anche come un segno di speranza”, perché “credenti e non credenti di buona volontà sono il nucleo duro di questa speranza, e spetta a loro recuperare il patrimonio umano comune, che nel Novecento è stato dissipato da due guerre mondiali, e che tutte le guerre successive, fino ad oggi, rischiano di far disperdere ulteriormente”.

E in effetti, tra gli alti e bassi della missione di pace delle Chiese cristiane, si trovano anche “semi di resistenza” al male, figure straordinarie che hanno portato avanti a modo loro il servizio alla pace.

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Vale allora ripercorrere alcuni di questi saggi, con una predilezione particolare per la storia europea e con una riflessione da svolgere sulla figura del Papa sconosciuto, Benedetto XV, il più grande avvocato della pace del XX secolo, ma anche colui che traghettò la Chiesa cattolica al di là del colonialismo e dei nazionalismi.

Benedetto XV non teorizzò solo che una vera riconciliazione sarebbe stata portatrice di pace, come scrisse nella Pacem Dei Munus Pulcherrimum nel 1920. Mise in pratica quell’idea, lavorò perché le Chiese locali avessero la loro forza e la loro conoscenza e non fossero più oggetto, ma soggetto di evangelizzazione, e si impegnò allo stesso tempo in un lavoro umanitario forse ancora davvero poco riconosciuto.

Una riflessione ulteriore. Il volume nasce da una collaborazione con l’Accademia Russa delle Scienze. È interessante notare come l’impegno per la pace della Russia nasca nell’Impero Zarista e venga ereditato e manipolato in epoca sovietica.

Quando si lavorò alla Conferenza per la Pace dell’Aja del 1899, fu la Russia a voler invitare la Santa Sede, cozzando contro le resistenze dell’Italia anti-clericale (e di pensiero massonico – liberale) che si era appena costituita.

Poi, i sovietici utilizzarono l’impegno della pace come scusa per mantenere una influenza e presenza internazionale. Impegnarono il Patriarcato di Mosca in conferenze europee come la Conferenza di Monaco in cui erano chiamati proprio ad influenzare il dibattito per la pace, lamentarono in varie pubblicazioni il lavoro della Santa Sede perché la Santa Sede, con la sua richiesta di libertà religiosa, era un ostacolo enorme allo Stato sovietico.

Ma furono poi gli stessi sovietici a voler invitare la Santa Sede alla Conferenza di Helsinki nel 1975, quando alla fine dovettero concedere l’emendamento proposto dall’allora monsignor Silvestrini che riguardava la libertà religiosa. Fu probabilmente il primo scricchiolio del monolite sovietico, ed è interessante notare che sia iniziato come una sorta di malattia autoimmune.

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Oggi, con una guerra nel cuore dell’Europa, la riflessione sul ruolo della Russia nella costruzione dell’architettura di pace e sicurezza europea. Aiuta a comprendere, in fondo, come tutto vada visto da diverse prospettive, e soprattutto aiuta anche a riscoprire una vocazione di pace della Russia, poi assorbita da un imperialismo non dinastico, ma ideologico, con tutte le sue conseguenze.

 

(1 – continua)