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Cina, l’esempio missionario di Diego de Pantoja in un film

In una lettera, Papa Francesco ha lodato il lavoro missionario di uno dei primi discepoli di Matteo Ricci. L’occasione? Un documentario prodotto dagli Studi Gesuiti Avanzati del Boston College, diretto da Jesus Folgado

Diego de Pantoja | Un ritratto di Diego de Pantoja | YouTube Diego de Pantoja | Un ritratto di Diego de Pantoja | YouTube

È un documentario di circa 30 minuti, in mandarino, che ha un certo valore per le relazioni tra Santa Sede e Cina. Perché l’oggetto del documentario è il gesuita Diego de Pantoja, uno dei primi discepoli intorno a Matteo Ricci in Cina, e il suo modello di evangelizzazione può essere un esempio oggi per poter entrare nella terra del Dragone Rosso e comprendere in che modo parlare di cristianesimo ad un popolo che in grande maggioranza non solo non è cristiano, ma non comprende nemmeno i codici per capire il cristianesimo, ma che guarda a Pantoja con interesse, tanto che il 2018 fu proclamato “Anno di Diego de Pantoja” in Cina su istanza della diplomazia spagnola”.

Il documentario si chiama “Diego de Pantoja, SJ: un ponte tra Cina ed Occidente”, ed è stato prodotto dall’Istituto di Studi Gesuiti Avanzati del Boston College, con la collaborazione della diocesi di Getafe e l’Accademia Portoghese di Storia.

Il progetto ha destato interesse anche in Vaticano. Papa Francesco ha inviato una lettera ai produttori del documentario, firmata il 5 dicembre 2023, in cui parla di Pantoja come di “uno dei missionari gesuiti più importanti per la cultura cinese contemporanea”, lo definisce “l’ambasciatore della cultura cinese in Occidente”, fa riferimento esplicito a due sue opere, una delle quali fu così importante che fu inserita nella gran collezione dei libri eccellenti dell’impero, dato che prova lo sforza di Pantoja per “la inculturazione della fede e dell’evangelizzazione della cultura dove visse”.

Secondo Papa Francesco, Pantoja potrebbe essere “studiato e tenuto come punto di riferimento per il mondo contemporaneo perché fu capace di andare all’essenza del Vangelo”, e la sua predicazione “non andò a togliere alla società cinese la sua identità, ma la arricchì”.

Ma chi era Diego de Pantoja? Nato in Spagna nel 1571, morto a Macao nel 1618, fu uno dei collaboratori più vicini a Matteo Ricci, con il quale viaggio da Nanchino fino alla corte di Pechino nel 1600. Visse 21 anni in Cina, 17 dei quali a Pechino, da cui fu espulso nel 1617 a seguito delle crescenti tensioni tra la Corte Imperiale di Cina e i missionari cattolici.

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Adottò il nome cinese Páng Dí'è, lavorando per l’inculturazione della fede. Pantoja nacque in un periodo di grande espansione molto grande della Compagnia di Gesù.

Partì per la Cina nel 11596, con l’intenzione di collaborare congli altri missionari che erano lì, e in particolare i pionieri Francesco Saverio e Matteo Ricci. Arrivò prima a Macao, dove trascorse due anni, fu inizialmente destinato al Giappone – ma poi non andò per via delle persecuzioni anticristiane – e quindi fu scelto per unirsi a Matteo Ricci in Cina.

Una missione difficile, perché la dinastia Ming proibiva l’entrata di stranieri nel territorio cinese, ma che fu di successo, perché Pantoja si riuscì a stabilire a Nanchino e da lì si preparò per tandare a Pechino. Entrò clandestinamente in Cina nel 1599 in sieme a Matteo Ricci.

Arrivarono insieme a Pechino nel 1601, riuscirono a guadagnare la fiducia dell’Imperatore grazie a dei regali considerati esotici – una idea di Ricci – che includevano un mappamondo, una Bibbia, un clavicordio, ritratti di Gesù Cristo e della Vergine Maria e un acquaforte di San Lorenzo Escorial. L’imperatore fu impressionato dal clavicordio, chiese agli eunuchi di imparare a suonarlo, e questo aprì le porte per un clima di fiducia che portò i gesuiti per quattro volte nella Città Proibita di Pechino, sebbene l’imperatore non li incontrò mai di persona.

Ma Pantoja e Ricci poterono lanciare un gran lavoro di evangelizzazione da quella conosciuta con “la residenza del Sud” dei Gesuiti, una casa a sud di Pechino dove poterono stabilirsi.

Ricci e Pantoja avevano comunque rapporti a volte tesi, ancora più difficili quando i missionari italiani dovettero affrontare i piani spagnoli della Corona Spagnola nelle Filippine.

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Fu comunque Pantoja a chiedere all’imperatore un terreno a Pechino per dare sepoltura a Matteo Ricci, morto nella capitale cinese nel 1610, e riuscì grazie alla sua abilità diplomatica, dandogli una sepoltura solenne, che mostrò ancora una volta la posizione della missione gesuita.

Quello che interessa di Pantoja è soprattutto la strategia di evangelizzazione, che era “una politica di adattamento”, già definito da San Francesco Saverio, il quale difendeva l’idea che la diffusione del cattolicesimo in Asia dovesse avvenire con mezzi pacifici e avvicinando la fede e la liturgia cattolica a costumi e tradizioni orientali.

Per questo, i missionari adattavano il loro modo di vestire a quello dei letterati cinesi, presentando la fede cristiana come un credo compatibile con la etica confuciana. Ricci tradusse il concetto di Dio con Tianzhu, Signore del Cielo, che fu identificato con Shangdi, una antica divinità delle prime dinastie cinese, e questo modo di predicare permise una veloce diffusione del cristianesimo in Cina, sebbene fosse rifiutata da molti religiosi europei in Asia.

Questi, al contrario, ritenevano che il cristianesimo dovesse essere presentato come una fede che rifiutava qualunque sistema religioso o morale precedente, e che Dio potesse essere tradotto solo con un adattamento fonetico della parola latina Deus.

È un dibattito che si mantenne aperto per diverso tempo. Diego de Pantoja si mantenne fedele alla politica dell’adattamento, scrisse opere in cinese, e in particolare nel Trattato dei Sette Peccati e Virtù presente i sette peccati e virtù capitali del cristianesimo in modo che queste coincidano e rafforzino le virtù classiche dell’etica confuciana, come la benevolenza e il rispetto.

Ma Pantoja non era un adattatore cieco: attaccò le dottrine buddiste come quella della reincarnazione, in un tempo in cui il buddismo era comunque percepito come una dottrina depravata, e questo fu apprezzato a Pechino.

Pantoja permise anche di conoscere la Cina all’Europa, con lettere ai suoi provinciali che permettevano di conoscere un trattato sulla geografia, la storia, il sistema di governo e la cultura della Cina. Fu, insieme a Matteo Ricci, il primo a provare che il Catai descritto da Marco Polo era proprio la Cina. Pantoja diede anche un contributo fondamentale a sviluppare un sistema di trascrizione del cinese in alfabeto latino, cominciato da Matteo Ricci nel 1605 e definito completamente da Nicolas Trigault nel 1623.

Ma il contributo di Pantoja fu fondamentale in Cina, in particolare nella fabbricazione di orologi solari di modello europeo, più precisi di quello cinese, e poi anche nel mondo della cartografia.

Un modello missionario fondamentale, oggi, per poter andare in Cina. Ed è per questo che il Papa ha avuto un particolare interesse sul documentario e sull’opera di Diego de Pantoja.