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Sinodo, l’esperienza di un vescovo cinese

Il nuovo vescovo di Hangzhou ha parlato della sua esperienza come partecipante al Sinodo dei vescovi. Testimonianza importante nell’ambito dei rapporti sino vaticani

Giuseppe Yang Yongquiang | Il vescovo Giuseppe Yang Yongquiang | UCA Giuseppe Yang Yongquiang | Il vescovo Giuseppe Yang Yongquiang | UCA

Per la seconda volta, due vescovi cinesi hanno potuto prendere parte al Sinodo dei vescovi a Roma. Dopo la presenza di due vescovi nel 2019, anche nella prima parte del Sinodo su “Comunione, Missione e Partecipazione” ci sono stati dei vescovi provenienti dalla Cina continentale. Uno di loro, Giuseppe Yang Yongquiang, è stato poi nominato lo scorso 12 giugno vescovo di Hangzhou da Papa Francesco, ed è una delle nomine episcopali maturate nell’ambito dell’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi. Ha raccontato la sua esperienza al Sinodo accogliendo la delegazione della diocesi di Nanchang, nella provincia di Sichuan, in quello che sembra essere ormai una prassi regolare di scambio di esperienze tra le diocesi. L’incontro è avvenuto nella seconda metà di luglio.

Nel suo intervento, il vescovo Yang ha parlato di sinodalità come “camminare insieme sulla stessa strada” e affermato che quella modalità richiama anche l’operato della Chiesa cattolica in Cina, auspicando che le comunità ecclesiali di Hangzhou e della Chiesa meridionale lavorino insieme per lo sviluppo della Chiesa e la crescita del cattolicesimo in Cina.

La delegazione della diocesi di Nanchang, riferisce l’agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione Fides, era composta da 25 membri. Di questi, 15 erano sacerdoti e 7 religiose. La delegazione era guidata dal vescovo della diocesi Giuseppe Chen Gongao.

Il 14 luglio, in una Messa descritta come “gremita di fedeli” si è pregato anche per la stabilità e la prosperità della patria e per la fecondità dell’annuncio del Vangelo in Cina.

Il vescovo Yang è stato nominato il 12 giugno, ma la notizia della sua nomina è stata diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede solo il 22 giugno. Yang era vescovo di Zhoucoun, che si trova nella provincia cinese dello Shandong.

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Era ancora come vescovo di Zhoucoun che aveva preso parte al Sinodo insieme al vescovo Yao Shen, della diocesi di Jining / Wumeng.

I due vescovi della Cina continentale dovrebbero partecipare al Sinodo anche nella seconda sessione del prossimo ottobre. Sarà da vedere se rimarranno fino alla fine dei lavori, o lasceranno l’assise in anticipo, come hanno fatto nel 2023, e come fecero gli altri due vescovi cinesi nel 2019.

Da una parte, Pechino sta guardando con particolare favore alle relazioni con la Santa Sede, ma dall’altra vuole esercitare il controllo sui sacerdoti e i religiosi che si trovano nel Paese.

Il prossimo ottobre dovrebbe essere rinnovato l’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi, ma alcune problematiche restano aperte. Nonostante l’accelerazione nella procedura della nomina dei vescovi, con cinque nomine nell’ultimo anno, resta aperta la ferita della nomina unilaterale del governo cinese del vescovo Shen Bin a Shanghai, dove tra l’altro l’ausiliare Taddeo Ma Daqin è agli arresti domiciliari dal 2012. Una nomina che fu semplicemente sanata da Papa Francesco, che noninò anche lu Shen Bin a Shanghai, e sulla quale poi c’è stato un disgelo, tanto che Shen Bin è stato invitato a parlare ad un convegno sui cento anni del Coniclio di Shanghai in Vaticano.

Ci sono tre possibilità riguardo l’accordo: un rinnovo ancora per due anni ad experimentum, in attesa di limarlo e cambiare alcuni punti che la Santa Sede vorrebbe chiarire, un rinnovo definitivo dell’accordo che però prevederebbe anche la pubblicazione dell’accordo stesso, oppure – il caso più drastico – la decisione di non rinnovare del tutto l’accordo.

La Santa Sede punterebbe alla prima opzione, in attesa di dirimere alcuni nodi specifici. C’è anche la questione della distribuzione della diocesi.

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Nel 1949, la Chiesa cattolica in Cina contava 20 arcidiocesi, 96 diocesi (incluse Macao, Hong Kong, Baotou e Bameng), 29 prefetture apostoliche e 2 amministrazioni ecclesiastiche. Le autorità cinesi hanno invece creato una geografia di 104 diocesi (escluse Macao e Hong Kong) delineate secondo i confini dell’amministrazione civile, ed escludendo i ranghi presenti nella Chiesa cattolica, che considerano anche arcidiocesi, metropolie e prefetture appunto.

Il culmine della frizione avvenne nel 2023, quando il governo cinese decise unilateralmente

installare il vescovo di Yujiang Giovanni Peng Weizhao come ausiliare della diocesi di Jainxi, che non è riconosciuta dalla Santa Sede.

Quest’ultimo caso aveva suscitato l’accorata protesta della Santa Sede. Protesta che oggi, però, sembra essere più debole se consideriamo che l’ordinazione di padre Antonio Sun Wenjun come vescovo di Weifang lo scorso 29 gennaio si è accompagnata dalla decisione di Papa Francesco di erigere la diocesi di Weifang, elevando così la prefettura di Yiduxian al rango di diocesi.

Perché questo renderebbe più debole la posizione sulla diocesi di Jainxi? Perché l’elevazione della prefettura, affidata dal 1931 ai frati minori francesi e vacante dal 2008, accoglie il criterio della ridefinizione della diocesi sulla base della fisionomia delle attuali città. Un passo indietro doppio, dato che il vescovo Joseph Sun Zhibin, che ha guidato la prefettura fino alla sua morte nel 2008, era uno dei cinque vescovi dello Shandong ordinati nel 1988 in maniera illecita e poi però rientrato in comunione con Roma.

In qualche modo, la Santa Sede sembrerebbe accettare una nuova distribuzione della diocesi, considerando anche una maggiore vicinanza con le prefetture locali.

Gli incontri del Sinodo 2024 potrebbero anche essere l’occasione di uno scambio di vedute. C’è stato un incontro per discutere il rinnovo dell’accordo sino-vaticano in Vaticano lo scorso maggio, e ce ne sarà un secondo a Pechino e generalmente in Cina (la delegazione della Santa Sede lo scorso anno ha potuto visitare più luoghi) per definire le modalità del rinnovo.