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Diplomazia pontificia, la visita del metropolita Antonij a Papa Francesco e in Vaticano

Il Capo delle Relazioni Estere del Patriarcato di Mosca in visita da Papa Francesco. Le reazioni dell’Ucraina al bombardamento dell’ospedale pediatrico di Kyiv

Papa Francesco, metropolita Antonij | Papa Francesco con il metropolita Antonij, nell'incontro del 5 agosto 2020 | Vatican Media Papa Francesco, metropolita Antonij | Papa Francesco con il metropolita Antonij, nell'incontro del 5 agosto 2020 | Vatican Media

Il metropolita Antonij, capo del Dipartimento di Relazioni Estere del Patriarcato di Mosca, è stato in udienza da Papa Francesco nel pomeriggio del 12 luglio. La notizia non è stata anticipata, ed è arrivata il giorno dopo la visita. Antonij non ha fatto visita al Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, con il quale i rapporti si sono congelati da quando il Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha descritto come eresia la giustificazione dell’aggressione russa all’Ucraina. In gioco c’è anche l’interpretazione dell’ideologia del “mondo russo”, che è una base ideologica per giustificare la guerra e che vede nella Russia una sorta di “madre” di tutti i territori dell’antica Rus’ – sebbene poi, quando ci fu il battesimo della Rus’ a Kyiv, Mosca non fosse nemmeno sulla cartina geografica.

La visita del metropolita Antonij si colora di un particolare significato diplomatico, perché avviene all’indomani del massiccio bombardamento di Mosca su Kyiv che è arrivato a colpire persino un ospedale pediatrico.

Il bombardamento ha suscitato le reazioni durissime anche da parte della Chiesa locale. Sia Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, sia il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose hanno condannato con forza l’attentato, chiedendo l’iscrizione della Russia tra gli Stati terroristi.

                                                           FOCUS RUSSIA

Il patriarca Antonij da Papa Francesco

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Il metropolita Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le Relazioni Eccleiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca, ha visitato il Vaticano l’11 e il 12 luglio, e l’11 luglio è stato ricevuto da Papa Francesco nella Domus Sanctae Marthae. Ne dà notizia il sito del Patriarcato di Mosca.

Secondo la comunicazione, “durante l’incontro sono state discusse le questioni relative alle relazioni interconfessionali e agli sforzi congiunti nella sfera umanitaria”. È una frase breve, ma densa. Per quanto riguarda le relazioni interconfessionali, al di là della frizione con il Cardinale Koch, è noto che il Patriarcato di Mosca ha sospeso la partecipazione ai tavoli di dialogo ecumenici presieduti o co-presieduti da Costantinopoli dopo che il Patriarca Bartolomeo aveva concesso l’autocefalia alla Chiesa Ortodossa Ucraina. C’è, dunque, una volontà del Patriarcato di Mosca di proseguire nel dialogo, nonostante le difficoltà.

Per quanto riguarda gli sforzi nella sfera umanitaria, è lecito che si pensi anche ad un coinvolgimento del Patriarcato di Mosca nel meccanismo per il ritorno in Ucraina dei bambini deportati (secondo la parte ucraina) o trovatisi nel territorio russo e accolti (secondo la versione russa) durante la guerra. Il meccanismo è stato messo a punto durante la visita del Cardinale Matteo Zuppi a Mosca come inviato speciale di Papa Francesco.

Inoltre, il 12 luglio il metropolita Antonij ha celebrato la Divina Liturgia nella chiesa della Santa Grande Martire Caterina a Roma, ha avuto incontri con la Curia romana e ha informato di quella che il sito del Patriarcato chiama “la persecuzione in corso contro la Chiesa ortodossa canonica in Ucraina”, riferendosi alla Chiesa Ortodossa legata al Patriarcato di Mosca. Inoltre, conclude la nota, il metropolita Antonij ha spiegato dettagliatamente l'atteggiamento della Chiesa ortodossa russa nei confronti del documento “Fiducia supplicans” e ha presentato la risposta della Commissione biblica e teologica sinodale .

Papa Francesco e Antonij si sono incontrati per la quarta volta. Il primo incontro ha avuto luogo il 5 agosto 2022, durante la prima visita di Antonij in Vaticano dalla sua nomina come capo delle relazioni esterne del Patriarcato nel giugno precedente.

Il 15 settembre 2022, Antonij aveva incontrato Papa Francesco a Nur-Sultan (poi ribattezzata Astana), capitale del Kazakhstan, dove il Papa partecipava al Congresso dei leader delle religioni tradizionali. Si era pensato che quello sarebbe stato lo scenario possibile di un incontro tra il Papa e il Patriarca Kirill, che avrebbe dovuto partecipare. Papa Francesco aveva però definito in una intervista Kirill “chierichetto di Putin”, con parole definite “inaspettate” da Antonij, il quale però non aveva escluso un secondo incontro tra Papa Francesco e Kirill dopo quello di Cuba.

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Il 3 maggio 2023 Antonij era venuto a Roma per incontrare alcuni capi Dicastero della Curia romana e aveva preso parte all’udienza generale in Piazza San Pietro. In quell’occasione aveva salutato il Pontefice e si era soffermato a parlare con lui per qualche momento.

                                                           FOCUS UCRAINA

Ucraina, dopo l’attacco all’ospedale pediatrico di Kyiv

L’8 luglio, un attacco della Federazione Russa contro Kyiv ha colpito deliberatamente un ospedale pediatrico. Anche Papa Francesco ha fatto avere il suo dolore, in una dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede che è stata diffusa nella giornata del 9 luglio.

Le parole del Papa facevano eco a varie dichiarazioni dei leader religiosi ucraini. Già il 9 luglio, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Russa, aveva parlato di “immagini brutali di una grande tragedia” che “scuotono l’Ucraina e il mondo”, con l’attacco all’ospedale centrale “che conosciamo come ospedale per la difesa della maternità e l’assistenza infantile”, mentre “schegge dei missili hanno distrutto l’edificio del reparto di maternità”.

Tra le vittime, ha notato Sua Beatitudine, ci sono bambini, medici, genitori, ed è  “straziante vedere che quei bambini, che sono giunti per salvare la propria vita, proprio nel centro di dialisi, siano stati uccisi senza pietà dai criminali russi”, mentre l’attacco ha colto anche numerosi bambini in pericolo di vita e bambini sottoposti a interventi chirurgici, e hanno rischiato la vita quando la corrente elettrica si è interrotta.

Shevchuk ha condannato questo “crimine contro l’umanità”, rimarcando che “questo non è solo un crimine contro le leggi e i principi umani, contro le norme internazionali che ci parlano di costumi e regole della conduzione della guerra”.

Il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha sottolineato che “secondo la morale cristiana, questo è un peccato, che grida vendetta al cielo”.

Sua Beatitudine si è poi rivolto “alla coscienza di tutte le persone del mondo intero” chiedendo di “condannare questo crimine e di fare tutto ciò che in vostro potere per fermare e punire la mano dello spietato assassino”.

Attacco a Kyiv, la reazione del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose

Anche il Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose, che rappresenta il 95 per cento delle confessioni religiose di Ucraina (inclusi rappresentanti dell’ebraismo e dell’Islam), ha condannato “categoricamente “l’attacco terroristico che la Federazione Russa ha nuovamente perpetrato contro le città ucraine, le infrastrutture civili, gli ospedali pediatrici, l’edificio del reparto di maternità e le persone pacifiche”.

I rappresentanti delle religioni in Ucraina definiscono “gli attacchi della Russia rascista mirati contro l’edificio del reparto di maternità e di altri ospedali sono un crimine di guerra e un atto di estrema crudeltà e disprezzo per la vita umana e per Dio”.

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La definizione “rascista” è stata coniata dal Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina nel suo messaggio “Liberate l’oppresso dall’oppressore” sulla guerra nel contesto delle nuove ideologie, firmato lo scorso 14 febbraio. La definizione sta a significare che il governo russo ricorda molto, in comportamenti e opere, i fascismi del secolo scorso, e li ha sviluppati in una forma del tutto nuova che è definita “rascismo”.

II Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni religiose “si rivolge ai

governi di tutti gli stati del mondo, per i quali la vita umana, in particolare quella

dei bambini, è un vero valore e che rispettano, e non solo dichiarativamente le

norme del diritto internazionale” e chiede loro di “condannare le azioni della Federazione Russa contro l’Ucraina, riconoscendo la Russia come Stato terrorista”, “interrompere le relazioni economiche con la Federazione Russa per non essere complici dei crimini di guerra della Russia contro l’Ucraina e del genocidio contro l’Ucraina”.

Inoltre, il Consiglio chiede ai governi di “adottare tutte le misure necessarie per fermare l’aggressione della Russia con l’Ucraina e ristabilire il diritto internazionale” e di “fornire all’Ucraina i mezzi necessari per proteggere la vita, compresi ulteriori sistemi di difesa aerea, aerei, mezzi di guerra elettronica e tutto il necessario per la difesa e il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.

Inoltre, “il Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni religiose esorta nuovamente il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la Conferenza delle Chiese Europee e altre organizzazioni internazionali interconfessionali a esaminare la questione riguardo a chiamare alla responsabilità morale e di altro tipo la Chiesa ortodossa russa, la quale sostiene in vari modi l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, alimenta l’odio interetnico e interconfessionale e, attraverso la predicazione dell’ideologia del ‘russkij mir’, incita al genocidio del popolo ucraino”

                                                           FOCUS GALLAGHER

Gallagher nelle Filippine, la lectio magistralis sulla diplomazia del Papa

Nel suo ultimo giorno di viaggio nelle Filippine, il 5 luglio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha tenuto una lectio magistralis all’Istituto per il Servizio Estero di Pasay City.

Nel suo discorso, il “ministro degli Esteri” della Santa Sede ha sottolineato che oggi “è essenziale comprendere che la difesa non è solo una questione di potenza militare, ma anche di sostegno alle istituzioni e di promozione degli accordi tra i popoli”.

Nelle guerre di oggi – ha detto – “parlare di vittoria o sconfitta non è realistico”, ma serve piuttosto “stabilire un ordine nuovo e giusto” che trascenda le divisioni e guardi al riconoscimento della dignità umana, ed è questo l’approccio diplomatico della Santa Sede, che ha come compito quello di “essere un segno di speranza” caratterizzato da “una neutralità positiva”.

La diplomazia della Santa Sede dà priorità, dunque, non al potere o al dominio, ma ai principi che “danno priorità al benessere di tutta l’umanità, sostengono la dignità umana e supportano una pace duratura”.

Sono principi che difendono “il bene comune e la solidarietà e la sussidiarietà tra le nazioni”. Per questo, la Santa Sede esercita la sua azione diplomatica come soft power, fiduciosa “nella persuasione morale” e nella “leadership etica” con l’obiettivo di “promuovere la giustizia, la pace e la solidarietà su scala internazionale”.

L’arcivescovo Gallagher ha tratteggiato la Santa Sede come un “mediatore affidabile e indipendente da alleanze e blocchi politici”, in grado di “costruire ponti là dove gli altri vedono solo divisioni insormontabili”.

Papa Francesco – ha detto il “ministro degli Esteri” vaticano – è un “attore primario” della diplomazia vaticana”, con il suo costante impegno nella difesa dei diritti umani, dello sviluppo umano integrale e della cura della casa comune.

Gallagher nota che di fronte “al crollo della fiducia tra le nazioni” e all’aumento di conflitti e guerre, il coinvolgimento della Santa Sede contribuisce ad allontanare le nazioni e i popoli dagli schemi di guerra, risentimento ed odio” e li incoraggia a “progredire lungo la via del dialogo”.

La diplomazia della Santa Sede ha, tra l’altro, una “responsabilità morale” – ha detto Gallagher – che si esplicita in vari ambiti, come la difesa della sacralità della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la salvaguardia del creato, la lotta contro la cultura dello scarto e la globalizzazione dell’indifferenza, la promozione della cultura dell’incontro e della globalizzazione della fraternità.

Il tutto da inserire nell’orizzonte del realismo cristiano, con una arte diplomatica “radicata nel mondo reale, cercando soluzioni tangibili”, dando priorità “al benessere, alla sicurezza e alla stabilità delle nazioni” piuttosto che al potere o agli interessi personali.

La diplomazia della Santa Sede, guardando a questi principi, è impegnata in alcuni ambiti specifici, come l’accesso al diritto fondamentale alla salute, il sostegno a politiche economiche giuste, la lotta contro la piaga tossica della tratta degli esseri umani, la promozione del multilateralismo e della difesa della libertà religiosa.

Parlando in particolare della libertà religiosa, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che la Santa Sede guarda alla libertà religiosa non solo come un diritto umano, ma piuttosto come un “percorso vitale” verso la “promozione della pace globale”, perché svolge “un ruolo fondamentale nel sostenere la riconciliazione e la risoluzione non violenta dei conflitti”.     

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher ad Aquileia spiega la diplomazia della Santa Sede

Ad Aquileia, città che “ha maturato nel corso dei millenni di storia, una sensibilità per la pace”, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha tenuto una lectio magistralis sul tema Aquileia Magistra Pacis – Un contrappunto alla diplomazia della Santa Sede in occasione della memoria liturgica dei Santi Ermagora vescovo e Fortunato diacono, martiri della città e patroni dell’arcidiocesi di Gorizia e del Triveneto.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che la diplomazia pontificia è oggi impegnata a porre fine ai conflitti in atto, citando in particolare quelli in Ucraina, Palestina e Israele, Azerbaijan, Myanmar, Etiopia, Sudan e Yemen.

La Santa Sede – ha affermato il “ministro degli Esteri” vaticano – si impegna sempre come “soggetto super partes” con lo scopo di “unire idee divergenti, posizioni politiche contrapposte, visione religiose e ideologie differenti”, perseguendo la pace “nel rispetto delle norme internazionali” e dei diritti umani fondamentali.

Gallagher ha citato, tra gli impegni umanitari, il recente rimpatrio dei bambini ucraini e lo scambio dei prigionieri di guerra tra Russia ed Ucraina, ma anche la mediazione per favorire la liberazione degli ostaggi israeliani nella striscia di Gaza.

Guardando alla storia di Aquileia, che sin dalla fondazione nel 181 a.C. “si è distinta come straordinario crocevia cosmopolita di genti e idee”, l’arcivescovo Gallagher sottolinea che questa “esperienza di incontro e dialogo” è “un esempio di fratellanza universale” al quale “l’Europa di oggi dovrebbe continuare ad ispirarsi per seminare la pace con pazienza e fiducia”.

Oggi, invece, il contesto internazionale sembra essere più incline a risolvere le contese “relazionandosi ai fatti, ma senza aver lavorato alle cause o alle “situazioni culturali, sociali, etniche e religiose” che generano i conflitti.

Come si comporta allora la diplomazia del Papa? Agisce “come una forza morale priva di ambizioni geopolitiche, attenta a non assecondare interessi di parte”, pur non indifferente “al grido disperato dei fragili e degli scartati”, con l’interesse di accompagnare quanti anelano alla pace e cercano riconciliazione”.

Il diplomatico pontificio ha, infatti, “l’attitudine a favorire il dialogo con tutti”, compresi “quegli interlocutori considerati scomodi o non legittimati a negoziare”, utilizzando fino allo stremo l’umiltà e la pazienza.

Così, prosegue Gallagher, da una parte l’attività diplomatica della Santa Sede ha lo scopo di “assicurare la libertà della Chiesa”, dall’altra “si propone di collaborare con gli Stati e le Organizzazioni internazionali alla soluzione dei grandi problemi dell’umanità” operando per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo e “per l’affermazione dei valori morali e sociali più alti”.

Da Aquileia, quasi al confine con i Paesi della ex Jugoslavia, il “ministro degli Esteri” vaticano ha ricordato “il sostegno della Santa Sede al processo di integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione Europea”, alla cui base c’è “l’estensione e la distensione delle relazioni diplomatiche”, avvenuta dopo la caduta del muro di Berlino, e che ha portato allo “sviluppo dell’attività concordataria nei Paesi dove il cambiamento del sistema politico aveva comportato un diverso atteggiamento nei confronti della religione e della Chiesa cattolica”.

Gallagher ha citato gli Accordi siglati a partire dal 1996 con la maggioranza degli Stati nati dalla dissoluzione della ex Repubblica Jugoslava, definendoli “autorevoli strumenti di risposta agli antagonismi etnici e confessionali drammaticamente prodotti da una concezione miope della nazionalità”.

L’apertura e l’accoglienza di Aquileia a popoli e culture diversi è anche occasione per riflettere sulla crisi migratoria di migliaia di persone che – nota  Gallagher - “cercano di attraversare i confini" sfuggendo a “persecuzioni, guerre, conflitti o alla miseria e trovare nuove opportunità di esistenza o un rifugio sicuro”, di fronte alle quali si costruiscono muri e non ci si adopera considerando le opportunità che le migrazioni possono offrire “in vista della crescita di società più inclusive”.

Gallagher ribadisce che le linee guida della Santa Sede sono quelle di accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli stranieri, con il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco.

Infine, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato le “personalità votate all’incontro, al dialogo e alla mediazione” scaturite da Aquileia, tra le quali ha ricordato monsignor Luigi Faidutti e l’arcivescovo Antonino Zecchini, vissuti, “nel complesso panorama religioso e politico delle neonate Repubbliche baltiche”, il cardinale Celso Costantini, “le cui spiccate abilità diplomatiche lo resero paziente tessitore delle relazioni tra la Santa Sede e la Cina”, e il cardinale Guido Del Mestri, che ha contribuito “alla cosiddetta Ostpolitik vaticana”.

                                                            FOCUS NUNZIATURE

L’arcivescovo Peña Parra riapre la nunziatura in Honduras

Dopo alcuni anni di lavori di ristrutturazione, riapre lo storico edificio della nunziatura a Tegugigalpa, in Honduras. Come sempre nei casi di apertura, riapertura o inaugurazione di nunziature, è il sostituto degli Affari generali della Segreteria di Stato a presenziare alla cerimonia portando i saluti di Papa Francesco. Per l’attuale sostituto, l’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, è anche l’occasione per ritornare in Sudamerica e impegnarsi in una serie di bilaterali, ma soprattutto per tornare a casa, in una sede che lo ha visto consigliere dal 2002 al 2006.

Nel suo discorso alla riapertura, il 12 luglio, Peña Parra ha sottolineato la lunga storia di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Honduras, e ha detto che “guardando la sua bandiera potremmo dire che questi rapporti nascono dal cuore di Dio e

del suo amore per il suo popolo. Molti dicono che il suo blu, comune ad altre bandiere americane, ne sia ispirato nell'azzurro della Vergine Immacolata, ma questo ha un tono più profondo, perché essendo lo stesso Cielo che si vede nelle sue acque, lo riflette di più la profondità del cuore della sua gente intensità che in altre regioni”.

Guardando indietro nella storia delle relazioni diplomatiche, il sostituto ricorda che l’inizio dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Tegucigalpa vengono stabiliti già nel 1861, anche se poi vennero interrotti e poi ripresi all’inizio del XX secolo, con un Rappresentante Pontificio presso diversi paesi dell’area centroamericana, residenti in Guatemala.

Solo nel 1933, l’Honduras ospiterà la prima nunziatura, e - sottolinea Peña Parra – “da allora in poi non è mai mancato un Rappresentante Pontificio in questa terra benedetta”. Rappresentanti che hanno “amato tantissimo questa terra”, dice il sostituto, ricordando tra gli altri mons. Federico Lunardi, che diventerà uno dei più illustri storici dell’Honduras, e tanti altri illustri prelati che hanno amato e servito qui Honduras.

Peña Parra sottolinea che “la riapertura di questa Nunziatura Apostolica dimostra le solide relazioni bilaterali che esistono da anni tra la Repubblica dell'Honduras e la Santa Sede”. Rapporti che si basano sulla sollecitudine della Santa Sede, perché “per la Chiesa ogni uomo, ogni donna, è un figlio amato di Dio e lo stesso creato lo è visto come un dono che il Signore ha lasciato come responsabilità verso tutta l'umanità”.

L’attuale nunzio in Honduras è l’arcivescovo Gabor Pintér, che già nel suo precedente incarico, come nunzio a Minsk, si trovò a ristrutturare e inaugurare la “casa del Papa” in Belarus nel 2017.

Nel programma di visita, il sostituto ha anche un bilaterale con Xiomara Castro, presidente dell’Honduras, e con Eduardo Enrique Reina García, ministro delle relazioni esterne, nonché un incontro con i membri della Conferenza Episcopale Honduregna, con i quali celebra messa nella Basilica di Supaya il 13 luglio.

L’edificio della nunziatura ha 73 anni. La costruzione della “casa del Papa in Honduras” infatti iniziò nel 1948, su progetto degli architetti Salgado ed Emilio Montesi. Nel 1951, fu inaugurato un immobile di stile neoclassico, costruito con materiali locali come la pietra rosata. Nel 1983, Giovanni Paolo II salutò e benedisse dal balcone centrale i fedeli che desideravano salutarlo in occasione della sua breve visita nel Paese.

Un nuovo nunzio per il Costa Rica

Il 9 luglio, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Mark Gerard Miles come nunzio in Costa Rica. Miles era dal 2021 nunzio apostolico in Benin e Togo.

Monsignor Miles, che era conosciuto come traduttore del Papa quando era in Segreteria di Stato, è stato nella nunziatura di Benin e Togo a partire dal 2021. Prima, era stato destinato come Osservatore nel nuovo ufficio della Santa Sede presso l’Organizzazione degli Stati Americani nell’agosto 2019.

Nato nel 1967, sacerdote dal 1996, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1 luglio 2003, e ha servito nelle Rappresentanze Pontificie in Ecuador, Ungheria e presso la sezione degli Affari Generali della Segreteria di Stato.

                                                           FOCUS TERRASANTA

Le reazioni all’attacco del Scuola della Sacra Famiglia a Gaza

Lo scorso 7 luglio, le forze israeliane hanno colpito la scuola della Sacra Famiglia a Gaza nel corso di un raid, uccidendo almeno quattro persone.

Il Patriarcato Latino di Gerusalemme ha fortemente condannato il raid, che ha colpito una scuola che dava alloggio a un gran numero di famiglie palestinesi sfollate. Tra le quattro vittime, c’era anche un officiale di Hamas, Ihab al-Ghusain, viceministro del lavoro del gruppo.

L’esercito israeliano ha lamentato che il complesso è stato usato come un nascondiglio militante e che conteneva uno stabilimento di produzione di armi di Hamas.

Qualche ora prima, le forze israeliane avevano attaccato una scuola delle Nazioni Unite, uccidendo 16 persone e ferendone 75, tra cui due lavoratori dell’UNRWA, l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite.

Nella sua dichiarazione, il Patriarcato Latino di Gerusalemme ha condannato “con i termini più severi” il prendere di mira non combattenti e “tutte le azioni belligeranti che non assicurano che i civili restino fuori dalla scena dei combattimenti”.

I Patriarchi sperano “che le parti raggiungano un accordo che ponga una fine immediata al bagno di sangue e alla catastrofe umanitaria nella regione”.

Il complesso dalla Parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza è casa per circa 600 cristiani sfollati, ed è stata già presa di mira dalle forze israeliane nella lotta contro Hamas. Nel dicembre dello scorso anno, un cecchino israeliano aveva colpito due donne cristiane, madre e figlia, nel comprensorio.

Anche Papa Francesco, in una dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede, ha condannato l’attacco alla scuola di Gaza, oltre che quello all’ospedale pediatrico in Ucraina.

Rafael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ha commentato le parole di condanna “l’attacco missilistico che ha colpito un ospedale a Kyiv e il raid che ha coinvolto la scuola della Sacra Famiglia a Gaza”.

In particolare, Schutz ha sottolineato che “altri eventi stanno accadendo questi giorni di cui non si parla molto”, come “i continui lanci di granate dal Libano verso Israele”, uno dei quali ha “colpito tragicamente l’auto in cui Nir e Noa Baranes stavano viaggiando, colpendoli”.

Schutz ha ricordato che la coppia, proveniente dal kibbutz Ortal, lascia tre bambini di 13,16 e 18 anni.

L’ambasciatore ha anche messo in luce come il Sergente Maggiore Tal Lahat “è stato colpito a morte da un cecchino di Hamas che ha sparato da un centro dell’UNRWA a Gaza”, la stessa Gaza “dove per più di 9 mesi oggi, 120 ostaggi da 20 nazionalità sono tenuti in cattività da Hamas”.

Schutz ha concluso: “Ribadiamo che Israele prova a proteggere le vite dei civili e non si nasconde dietro di loro, in scuole o ospedali”.

                                                                       FOCUS EUROPA

Viene dalla Segreteria di Stato il prossimo principe di Andorra

Il 12 luglio, Mons. Josep-Lluís Serrano Pentinat, finora Consigliere di Nunziatura in servizio presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, è stato nominato Vescovo Coadiutore di Urgell. Prenderà il posto del vescovo Joan Enric Vives i Sicilia, che guida la diocesi dal 2003 e che compirà 75 anni, l’età della pensione, il prossimo 24 luglio.

Monsignor Serrano Pentinat lavora in Segreteria di Stato dal 2019. Classe 1977, proveniente dalla diocesi di Tortosa, è sacerdote dal 2002.

Fino al 2009 ha servito in molte parrocchie ed ha insegnato religione nel collegio pubblico di Educazione Infantile e Primaria “Mestral” e del Seminario maggiore diocesano e nell’Istituto di Teologia Sant’Agostino di Tortosa.

Entrato nella carriera diplomatica nel 2012, Serrano Pentinat ha servito dal 2012 al 2016 come segretario della nunziatura apostolica di Mozambico, dal 2016 al 2017 di quella in Nicaragua, dal 2017 al 2019 quella del Brasile.

Quando sarà vescovo, sarà anche automaticamente principe di Andorra.

Nel 1993, il Principato si è dotato di una Costituzione che mantiene in vita il sistema del Co-Principato, risalente al 1278, al tempo del Pontificato Martino IV che confermò il "pareatge" (accordo o patto). I Coprincipi - che sono il Vescovo di Urgell ed il Presidente della Repubblica francese, il quale ha preso le funzioni dei conti di Foix - svolgono in modo congiunto ed indivisibile le funzioni del Capo dello Stato. Si tratta dell’unico Stato al mondo in cui due funzionari stranieri agiscono congiuntamente come capo di Stato.

Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Andorra sono state stabilite nel 1995, e il nunzio ad Andorra è anche nunzio in Spagna ed ha sede a Madrid. Nel 2008. Santa Sede e Principato di Andorra hanno firmato un accordo diviso in sei parti, in cui in 16 articoli si definiscono il ruolo del vescovo di Urgell, lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Andorra, il matrimonio canonico, l’insegnamento della religione nella scuola, il sistema economico della Chiesa Cattolica in Andorra.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, due discorsi sugli obiettivi di sviluppo sostenibile

Il 9 luglio, le Nazioni Unite a New York hanno tenuto un Forum di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile, durante il quale si sono revisionati gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 1 e 2 , sulla lotta alla fame e l’azzeramento della povertà.

Per quanto riguarda l’obiettivo numero 1 sull’azzeramento della povertà, l’arcivescovo Caccia ha ricordato che la povertà è “la sfida globale più grande che affrontiamo” ed è l’obiettivo più ambizioso dell’agenda 2030. Secondo il nunzio, affrontare gli aspetti multidimensionali di povertà è fuori dalla portata di molte nazioni in via di sviluppo, forzate a distrarre risorse preziose per ripagare un debito insostenibile”.

L’arcivescovo Caccia ha quindi chiesto una azione trasformativa, ribandendo la richiesta di Papa Francesco di “perdonare i debiti delle nazioni che non potranno mai ripagarli”, cosa che “più che essere una questione di generosità, è un tema di giustizia”.

Nella seconda dichiarazione, sull’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 2 “Zero fame”, monsignor Robert Muprhy, vice osservatore permanente, ha messo in luce “il ruolo centrale giocato da attori non statali nel lavorare verso il raggiungimento dell’obiettivo numero 2”, mettendo in luce la necessità di trasformare i sistemi alimentari per assicurare sostenibilità, resilienza e trasparenza.

La Santa Sede a New York, le nazioni isola in via di sviluppo

Lo scorso 10 luglio, c’è stato alle Nazioni Unite di New York un Forum di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile. Uno dei panel riguardava gli Stati Isola in Via di Sviluppo.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha ricordato che la comunità internazionale è una “famiglia di nazioni” responsabile per assistere le nazioni in situazioni speciali, incluse gli Stati Isola in via di sviluppo, i quali affrontano difficili sfide – tra cui i debiti, le lente prospettive di crescita, la continua insicurezza alimentare e malnutrizione e una estrema vulnerabilità al cambiamento climatico e ai disastri naturali.

Sono temi, ha detto, che vanno affrontati “come imperativo morale”, e ha supportato l’Agenda Antigua e Barbuda che chiede a nazioni più ricche di considerare il taglio o la cancellazione del debito.

La Santa Sede a Ginevra, il tema della proprietà intellettuale

Il 9 luglio, l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore dela Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, è intervenuto ala 65sima serie delle assemblee degli Stati membri dell’Organizzazione Mondiale sulLa Proprietà intellettuale (WIPO, nell’acronimo inglese).

La Santa Sede ha un particolare interesse per la proprietà intellettuale, ha avuto un ruolo importante nel sollevare molti obblighi dei diritti d’autore per permettere l’alfabetizzazione dei non vedenti, ha lavorato anche sulla questione dei brevetti con un particolare interesse per la questione dei brevetti delle armi e i cosiddetti TRIPs.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Balestrero ha sottolineato che la Santa Sede apprezza la recente adozione attraverso consenso del Trattato WIPO sulla proprietà intellettuale, le risorse genetiche e la conoscenza tradizionale associata.

Si tratta – ha detto l’arcivescovo – di un “successo per il multilateralismo e rappresenta un significativo passo avanti nel nostro impegno collettivo per portare avanti una dinamica del sistema di proprietà intellettuale che guardi al futuro”.

La Santa Sede apprezza anche il fatto che il documento “affronti la partecipazione delle popolazioni indigene e delle comunità locali” secondo la sensibilità data dallo specifico ambiente culturale e giuridico in cui vivono”, e sottolinea che “la dignità umana donata da Dio è alla base della nostra coesistenza e deve rimanere la base essenziale su cui basare questo accordo”.

Ancora, la Santa Sede apprezza l’esclusione delle risorse genetiche umane dagli ambiti del trattato, e ritiene che “questo significativo avanzamento in questo campo ci aiuterà a facilitare la rivitalizzazione della negoziazione sulla conoscenza tradizionale e le espressioni culturali tradizionali, portando alla fine a un favorevole risultato della prossima conferenza diplomatica che punta a concludere e ad adottare un Design Law Treaty”.

In questo senso, la Santa Sede ritiene cruciale portare avanti le decisioni per consenso come fondazione del successo del WIPO, e si impegna a sviluppare all’interno dell’organizzazione un dialogo costruttivo con l’obiettivo di fare avanzare il sistema di proprietà intellettuale con la visione di promuovere il bene comune dell’umanità”.

La Santa Sede a New York, lo sviluppo sostenibile

L’11 luglio, nell’ambito del Forum Politico di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, la Santa Sede è intervenuta al panel su “Nazioni Africane, Nazioni Meno Sviluppate e Nazioni in Via di Sviluppo senza sbocco sul mare: costruire resilienza e capacità in tempi di crisi e di transizione”.

La Santa Sede ha messo in luce le diverse sfide che affrontano le nazioni meno sviluppate e ha enfatizzato la necessità di implementare misure per rafforzare i sistemi sanitari, migliorare ed espandere l’accesso all’educazione, migliorare la diversificazione economica e assicurare pratiche agricole sostenibili.

La Santa Sede ha anche sottolineato la necessità della costruzione di risorse e la possibilità per le nazioni più ricche di fornire risorse, conoscenza e tecnologie in una dimostrazione tangibile di solidarietà globale”.

La Santa Sede a New York, un contributo per l’UNRWA

Come ogni anno, la Santa Sede partecipa al comitato ad hoc dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in cui si annunciano i contributi volontari all’UNRWA, l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente.

La Santa Sede, nel suo intervento, ha riaffermato il suo supporto all’UNRWA, ma ha anche enfatizzato la necessità che l’organizzazione preservi la sua neutralità. Parole importanti, se si considera che alcuni funzionari dell’UNRWA sono stati ritenuti coinvolti negli attacchi del 7 ottobre 2023.

La Santa Sede si è detta preoccupata per lo sviluppo della situazione in Terrasanta a partire da quegli attacchi e ha incoraggiato tutte le parti in impegnarsi in proposte di pace in accordo con le risoluzioni delle Nazioni Unite. Ha anche chiesto un cessate il fuoco che permetta il rilascio degli ostaggi israeliani e la distribuzione sicuro di aiuto ai palestinesi in accordo con la legge internazionale.

La Santa Sede ha comunque mantenuto il suo impegno finanziario nei confronti dell’UNRWA e ha chiesto a tutti gli Stati a contribuire. Inoltre, ha chiesto la riapertura di tutti gli accessi a Gaza per facilitare una distribuzione ordinata di assistenza umanitaria, e ha sottolineato che le operazioni militari non possono avere come bersaglio luoghi che proteggono popolazioni civili, come scuole, ospedali e luoghi di culto. La Santa Sede chiede anche di salvaguardare il personale umanitario.

La Santa Sede sostiene anche la protezione, attraverso uno statuto speciale internazionale garantito, di Gerusalemme come città di incontro fraterno per cristiani, ebrei e musulmani.