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Matteo Marni racconta il Requiem che Verdi musicò per Manzoni

L'organista e dottorando di ricerca in Storia della Musica presso la Cattolica di Milano ha scritto ‘Il Requiem di Verdi: la modernità della musica sacra’,

La copertina del volume |  | Casagrande editore La copertina del volume | | Casagrande editore

 “Il Requiem di Giuseppe Verdi non poteva che avere luogo in una città come Milano e soprattutto nella chiesa di S. Marco, dove trova i protagonisti e i protagonismi necessari per potersi compiere. Mentre un ristretto gruppo di Scapigliati sta compiendo la propria ‘piccola rivoluzione’, Luigi Nazari di Calabiana fa il suo ingresso come arcivescovo di Milano. La diocesi conta più di un milione di anime, più di centonovantamila abitano all’interno della cerchia dei Bastioni e vi sono quaranta chiese parrocchiali solo in città. La città sta cercando un rinnovamento urbanistico che, oltre al tema della piazza Duomo, passa per l’ampliamento dei Giardini di Porta Venezia (1856-62) che ospiteranno svariate esposizioni (1871-81), mentre accompagna le nuove vicende politiche attraverso la via rappresentativa dell’edificazione di monumenti siti nelle piazze cittadine – come quello a Cavour (1865), di Beccaria (1871) e Leonardo da Vinci (1872). Con Gli Ugonotti di Mayerbeer apre le porte il Teatro dal Verme, mentre al posto del Teatro Re, demolito per far spazio agli isolati adiacenti alla Galleria, viene inaugurato il Teatro della Commedia, che nel 1873 si chiamerà Teatro Manzoni”.

Così scrive Luigi Garbini nella prefazione al libro dell’organista e dottorando di ricerca in Storia della Musica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Matteo Marni, ‘Il Requiem di Verdi: la modernità della musica sacra’, che nell’introduzione evidenzia: “Soggetto e oggetto del ‘Requiem’, Verdi e Manzoni, non so­lo hanno saputo ecumenicamente mettere d’accordo tutti, ma hanno anche dimostrato l’efficacia e l’attualità di un modello ben oltre i limiti cronologici entro i quali si pensava che questo avrebbe funzionato. L’oggetto della celebrazione, Alessandro Manzoni, prima di essere patriota era, nella percezione collet­tiva, paladino di un cattolicesimo moderno e sostenibile, por­tatore di una fede sincera e libera, più largamente condivisibile che però, proprio in virtù di questa originale declinazione, riu­sciva a non costituire un ostacolo nemmeno per gli anticlerica­li più convinti”.

Per quale motivo Giuseppe Verdi musicò il Requiem per ricordare il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni?

“Un rapporto di stima sincera legava Verdi e Manzoni già prima dell’attesissimo incontro che li vide conversare nella casa milanese dello scrittore nel 1868. Verdi affermò che il romanzo de ‘I Promessi Sposi’ era il miglior libro che avesse mai letto e, di conseguenza, provava un senso di ammirazione e venerazione per il suo autore, ‘quel santo di Manzoni’. Il ‘Requiem’ che Giuseppe Verdi volle offrire in memoria di Manzoni fu un omaggio personale, un modo per portare a compimento il progetto naufragato di una messa da morto per Gioacchino Rossini ed, in ultima analisi, anche una mossa diplomatica nella conciliazione dei difficili rapporti fra Stato e Chiesa”.

 Chi ha voluto quella ‘prima’ del 1874?

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“La paternità dell’iniziativa deve essere rintracciata indubbiamente in Verdi che volle tributare un omaggio ‘a quel santo di Manzoni’ nella forma che il cattolico Manzoni avrebbe più gradito, ossia una Messa di suffragio: non un’elegia, un ricordo laico o una pubblica commemorazione. Il sincero slancio di Verdi verso l’autore de ‘I Promessi Sposi’ fu subito abbracciato dall’editore Ricordi e dal sindaco di Milano che si offrì di coprire le spese. Il parroco della chiesa di San Marco, don Michele Mongeri, fu impegnato in prima linea nella mediazione fra il comitato organizzatore e l’arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, che si trovava in una posizione particolarmente scomoda. Papa Pio IX aveva infatti offerto a Nazari di Calabiana, insigne diplomatico con trascorsi da senatore del Regno, la cattedra di Milano nella speranza di ripristinare la governabilità di quella diocesi, compromessa durante gli anni dell’unificazione nazionale”.

Il Requiem, quindi, è stato un ‘modo’ per allacciare i rapporti tra Stato e Chiesa?

“Esattamente. Coinvolgendo il cattolico padre della Patria che ha forgiato l’identità linguistica degli italiani e quello che con la sua musica è stato colonna sonora del nostro Risorgimento, la risonanza di questa iniziativa non poteva restare confinata alla sfera privata. I rapporti fra Stato e Chiesa erano tesissimi: papa Pio IX era prigioniero in Vaticano e minacciava la scomunica per quanti avessero preso parte alla vita politica. La caratura dei protagonisti di questa iniziativa eccezionale, non solo Verdi e Manzoni, rivelano l’alta finalità politica e conciliante del Requiem”.

Perchè tale prima esecuzione è stata definita eccezionale?

“Perché eccezionale fu la serie concentrica di coincidenze che fecero capire a tutte le parti in causa che quella occasione era unica, irripetibile, imperdibile: la morte del patriota cattolico, la musica dell’ispiratore degli italiani, l’arcidiocesi divisa tra clero filopapale e clero filosabaudo, retta da un arcivescovo che era entrambe le cose. Mentre il più progressista dei preti milanesi, mons. Giuseppe Calvi, celebrava sull’altare della liberale chiesa di San Marco una messa di suffragio per l’anima di Manzoni, sull’altare della Patria Verdi officiava con la sua musica una liturgia parallela e complementare. La benedizione implicita dell’arcivescovo di Milano, mons. Luigi Nazari di Calabiana, il coinvolgimento della politica locale e nazionale e la risonanza che la stampa diede a questa celebrazione restituisce le speranze concilianti riposte in un requiem che avrebbe dovuto funerare anche la fase militante del Risorgimento italiano, ormai inevitabilmente conclusa”.

Il Requiem musicato da Giuseppe Verdi è un’opera lirica o liturgica?

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“Il Requiem di Giuseppe Verdi è per forma, testo, natura e ispirazione una musica liturgica poiché concepito e destinato alla liturgia. Il linguaggio musicale adottato dal compositore ha tratto in inganno alcuni commentatori coevi che hanno tacciato la partitura di ‘teatralità’. Verdi non avrebbe potuto musicare altrimenti un requiem; e se si pose qualche questione stilistica lo fece per penetrare nell’accesa dialettica che in quegli anni infiammava la musica sacra italiana”.

Allora, per quale motivo Verdi si cimentò con la musica sacra?

“Spesso si dice, troppo frettolosamente, che Verdi fosse un anticlericale impenitente o addirittura ateo. Scandagliando il suo carteggio e la sua vicenda biografica si comprende come negli anni ruggenti del Risorgimento l’anticlericalismo fosse un sentimento condiviso e persino richiesto da un certo ambiente culturale che vedeva nel papa (e nei suoi sottoposti) la causa che impediva l’unificazione nazionale. Verdi non era nuovo al confronto col il repertorio sacro: in gioventù fu organista e scrisse musica per la chiesa, successivamente la sua opera si rivolse al teatro. Il Requiem capitò nel momento propizio non solo per celebrare Manzoni e agevolare la ricomposizione fra le due anime dell’Italia ma anche per dare una misuratissima ‘lectio magistralis’ al mondo della musica sacra italiana, scosso dalle proteste del movimento ceciliano che predicava un ritorno all’impiego di un linguaggio musicale alto e asettico ispirato al repertorio rinascimentale”.

Quale è stato il suo ‘impulso’ per scrivere questo libro sul Requiem di Giuseppe Verdi?

“Certamente la volontà di restituire la verità storica e oggettiva dei fatti, come il titolo si ripropone: perché Giuseppe Verdi volle offrire questa messa, come questa proposta fu interpretata, strumentalizzata a fini politici, chi la rese possibile, come questa messa con testo di rito romano fu celebrata in una chiesa di rito ambrosiano e come vennero risolti problemi contingenti. Su un piano più generale, questo libro tenta di leggere una delle partiture più celebri e celebrate della storia della musica sacra non con il metodo dell’analisi musicologica ma con i mezzi dell’indagine storica, mostrando l’inscindibilità del legame che sussiste fra l’opera d’arte e il contesto storico, politico e culturale in cui è stata composta, fruita ed eseguita”.