“Anche Gesù fa la stessa esperienza dei profeti. Egli ritorna a Nazaret, la sua patria, in mezzo alla gente con cui è cresciuto, eppure non viene riconosciuto. Chiediamoci: qual è l’ostacolo che impedisce di credere a Gesù?”, questa la domanda che il Pontefice fa ai presenti a Trieste.
“Ascoltando i discorsi dei suoi compaesani, vediamo che si fermano solo alla sua storia terrena, alla sua provenienza familiare e, perciò, non riescono a spiegarsi come dal figlio di Giuseppe il falegname, cioè da una persona comune, possa uscire tanta sapienza e perfino la capacità di compiere prodigi. Lo scandalo, allora, è l’umanità di Gesù. L’ostacolo che impedisce a queste persone di riconoscere la presenza di Dio in Gesù è il fatto che Egli è umano, è semplicemente figlio di Giuseppe il carpentiere: come può Dio, l’onnipotente, rivelarsi nella fragilità della carne di un uomo? Come può un Dio onnipotente e forte, che ha creato la terra e ha liberato il suo popolo dalla schiavitù, farsi debole fino a venire nella carne e abbassarsi a lavare i piedi dei discepoli?”, dice Papa Francesco.
“Fratelli e sorelle, questo è lo scandalo: una fede fondata su un Dio umano, che si abbassa verso l’umanità, che di essa di prende cura, che si commuove per le nostre ferite, che prende su di sé le nostre stanchezze, che si spezza come pane per noi. Un Dio forte e potente, che sta dalla mia parte e mi soddisfa in tutto è attraente; un Dio debole, che muore sulla croce per amore e chiede anche a me di vincere ogni egoismo e offrire la vita per la salvezza del mondo,è uno scandalo”, commenta ancora il Pontefice nell’omelia.
“Eppure, mettendoci davanti al Signore Gesù e posando lo sguardo sulle sfide che ci interpellano, sulle tante problematiche sociali e politiche discusse anche in questa Settimana Sociale, sulla vita concreta della nostra gente e sulle sue fatiche, possiamo dire che oggi abbiamo bisogno proprio di questo: lo scandalo della fede. Non di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe della società, che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, che ci aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. Avete pensato voi se il consumismo è entrato nel vostro cuore? L’ansia di avere cose, sprecare soldi, il consumismo è un cancro”, l’invito forte del Papa a Trieste.
Il Papa legge lentamente e chiede scusa, questo a causa del sole che pervade la Piazza triestina. La Sala Stampa della Santa Sede informa che partecipano alla Messa circa 8500 fedeli e concelebrano con il Papa 98 vescovi e 260 sacerdoti. Sono inoltre presenti vescovi, pastori delle chiese serbo ortodossa, greco ortodossa e luterana.
Prima della celebrazione della Santa Messa in Piazza Unità d’Italia, il Papa ha incontrato la signora Maria, di 111 anni, residente a Trieste, con cui ha scambiato un breve saluto. Il Pontefice le ha donato un rosario e l’ha benedetta, riferisce un Telegram della Sala Stampa della Santa Sede.
“Da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita e uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole. E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati”, conclude il Papa la sua omelia.
Partecipano fedeli da Trieste, Austria, Croazia, Slovenia, Inghilterra, Australia, Germania, Argentina, Colombia, Venezuela, Ucraina, Bielorussia, Perù, Nigeria, Camerun.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Papa guida la recita dell’Angelus.
“Prima della benedizione finale desidero salutare tutti voi, radunati in questa Piazza tanto suggestiva. Ringrazio il Vescovo per le sue parole e soprattutto per la preparazione della visita, e con lui quanti in molti hanno collaborato, specialmente per la liturgia, sono bravi questi, un applauso... Assicuro la mia vicinanza ai malati, ai carcerati, ai migranti, a tutti coloro che fanno più fatica”, dice il Papa prima della preghiera mariana.
“Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, e un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità. E allora mi viene da dire: avete le “carte in regola”, grazie! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, bussola affidabile per il cammino della democrazia”, continua il Pontefice.
Poi il pensiero, come sempre, ai paesi in guerra. “Da questa città rinnoviamo il nostro impegno a pregare e operare per la pace: per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sudan, il Myanmar e ogni popolo che soffre per la guerra”. Invocando Maria poi il Papa recita l’Angelus.
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"A nome di tutta la Chiesa di Trieste: grazie, hvala. Dio parla e capisce tutte le lingue, non solo l’italiano e lo sloveno, siamo noi a dover imparare la lingua dell’amore di Dio, che è Cristo Gesù. Noi siamo la famiglia di Dio, smo Božja družina", dice Monsignor Trevisi, Vescovo di Trieste, ringraziando Papa Francesco per questa sua visita a Trieste, dopo 32 anni dall'ultima di un Pontefice.
Il vescovo consegna al Papa lettere e pensieri da bambini, anziani e altri della Diocesi e li chiama per nome. "Una benedizione anche per i nostri carcerati e le nostre carcerate: commuove il pensiero che hanno contribuito a realizzare i due mosaici che abbelliscono questo altare", aggiunge ancora il Vescovo.
Il Papa ringrazia tanto il Vescovo perchè "non ha parlato dei malati, li conosce per nome, questo è un esempio, perchè la carità è concreta, grazie tanto perchè il Vescovo ha questa abitudine, ogni persona sana o malata, ogni persona ha una dignità".
La Sala Stampa comunica che alle ore 12,16 il Papa ha lasciato il Molo Audace di Trieste a bordo dell’elicottero che lo riporta in Vaticano.
articolo aggiornato ore 12.20