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Il rischio di non riconoscere Gesù. XIV domenica del Tempo Ordinario

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina

Gesù nella Sinagoga di Nazaret |  | pd Gesù nella Sinagoga di Nazaret | | pd

Il brano di Vangelo di oggi, soprattutto le parole che Gesù pronuncia dopo il rifiuto dei suoi concittadini - Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria - richiama un’affermazione del prologo del Vangelo di San Giovanni: E’ venuto nella sua casa e i suoi non lo hanno accolto. Gesù, dunque, viene respinto dalle poche persone che abitavano a Nazareth, ma nel loro atteggiamento è possibile vedere le resistenze, le opposizioni e il rifiuto che la persona di Cristo ha incontrato nel corso dei secoli e continua ad incontrare da parte delle persone e delle istituzioni della società.

Tanti hanno riconosciuto e riconoscono in Gesù un uomo sapiente, il cui messaggio costituisce una novità e i suoi miracoli suscitano meraviglia. Ma poi tutto finisce lì. Non riconoscono la sua origine divina, la sua dignità di Figlio di Dio. Non credono. Non possono accettare che Dio si renda presente nella fragilità della carne umana perché dovrebbero riconoscere che non è possibile vivere la propria vita e costruire una società a prescindere da Lui. Quando l’uomo perde il suo rapporto con Dio si ammala, prima nello spirito (ecco la solitudine, la disperazione, la mancanza di senso) e poi nel corpo (ecco il declino della civiltà) perchè è impossibile realizzare la giustizia e la pace, mettere ordine nel mondo, cercare il bene comune con sole strutture materiali, senza Dio. La fede dona all’uomo ogni bene, ogni pace, ogni felicità ed è la via per umanizzare la società. Proprio come mi ha scritto recentemente un giovane: “la fede porta gioia, ci rende migliori di quello che siamo e utili per il mondo. Come può essere sbagliata?”.

L’indifferenza, la solitudine che Gesù sperimenta a Nazareth diventa un anticipo della sua morte in croce, dove apparirà condannato come un malfattore. Una volta ancora siamo portati a riflettere sul dono della fede. Essa nella sua realtà più profonda è certamente dono di Dio, ma è nello stesso tempo “decisione personale” nei confronti di Cristo, accolto come uomo e riconosciuto come Figlio di Dio e Signore. La fede è adesione, sequela e imitazione. La prossimità fisica non necessariamente è un aiuto a credere in Gesù.

Anzi, i Vangeli ci dicono che non è sufficiente neppure essere suoi parenti. Si tratta di un richiamo grande per noi. Possiamo essere a contatto con la Parola di Dio e partecipare ai sacramenti ed essere poco credenti, privi di interesse e di stupore per il Signore. E’ possibile avere Gesù tra noi e tuttavia non riconoscerlo e accoglierlo. Quando questo accade significa che il nostro cuore si è indurito al dono della salvezza. Si vive accanto alla Grazia e questa non ha più la possibilità di toccare il nostro cuore. Allora la nostra fede diventa esitante, svogliata, più intellettuale che pratica, talvolta confusa.

Chiediamo al Signore che ci conceda la grazia di essere ogni giorno di più cercatori della Verità che salva, per costruire un mondo migliore e divenire partecipi della eredita di Dio, la vita eterna.

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