La fede, dice Papa Francesco, è dono, ma “è anche compito, da eseguire in libertà, nell’obbedienza al comandamento dell’amore di Gesù”, cosicché la salvezza cristiana “entra nello spessore del dolore del mondo, che non coglie solo gli umani, ma l’intero universo”, a partire dalla creazione come “paradiso terrestre, la madre terra, che dovrebbe essere luogo di gioia e promessa di felicità per tutti”.
Se l’ottimismo cristiano si fonda “sulla speranza viva” che tutto tende alla gloria di Dio, “nel tempo che passa, però, condividiamo dolore e sofferenza”. Tutta la creazione è così coinvolta nel processo di nuova nascita, irradiata dalla speranza che “non delude ma non illude”, perché “se il gemito della creazione, dei cristiani e dello Spirito è anticipazione e attesa della salvezza già in azione, ora siamo immersi in tante sofferenze”.
Cosa è dunque la speranza? È “lettura alternativa della storia e delle vicende umane”, non “illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile, che va vissuta in una amicizia sociale tra umani che “deve estendersi anche al creato”, in un “antropocentrismo centrato nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo”.
Papa Francesco fa un parallelismo tra l’umanità e il creato, sottolinea che il creato “senza sua colpa” è schiavo come ‘umanità, e così “si ritrova incapace di fare ciò per cui è progettato”, ma allo stesso modo “la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza per il creato”.
Così, nell’attesa del ritorno glorioso di Gesù, lo Spirito Santo chiama l’uomo alla conversione che significa “passare dall’arroganza di chi vuole dominare sugli altri e sulla natura – ridotta a oggetto da manipolare –, all’umiltà di chi si prende cura degli altri e del creato”.
Per Papa Francesco, “sperare e agire con il creato significa anzitutto unire le forze e, camminando insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, contribuire a ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti”.
Il Papa nota che il potere umano è “aumentato freneticamente in pochi decenni”, ma avvisa che “un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi”, quindi ribadisce la necessità di porre limiti etici allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che “con la capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura”.
Papa Francesco ricorda che “la terra è affidata all’uomo, ma resta a Dio”, e per questo “pretendere di possedere e dominare la natura, manipolandola a proprio piacimento, è una forma di idolatria”, segno dell’uomo “prometeico, ubriaco del proprio potere tecnocratico che con arroganza mette la terra in una condizione ‘dis-graziata’, cioè priva della grazia di Dio”.
Per questo, la salvaguardia del creato è “una questione eminentemente teologica”, che riguarda “l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio”, e dunque “c’è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraverso la destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che il creato attende, gemendo come nelle doglie di un parto”.
Perché - conclude Papa Francesco – “in gioco non c’è solo la vita terrena dell’uomo in questa storia, c’è soprattutto il suo destino nell’eternità, l’eschaton della nostra beatitudine, il Paradiso della nostra pace, in Cristo Signore del cosmo, il Crocifisso-Risorto per amore”.
Insomma, “sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore”.
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