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Sei anni accreditato presso la diplomazia più visionaria del mondo

Si congeda l’ambasciatore di Slovacchia presso la Santa Sede Marek Lisansky. Ha accolto un Papa in Slovacchia e organizzato tre visite presidenziali

Ambasciatore Lisánsky | L'ambasciatore Marek Lisánsky con Papa Francesco | Ambasciata di Slovacchia presso la Santa Sede Ambasciatore Lisánsky | L'ambasciatore Marek Lisánsky con Papa Francesco | Ambasciata di Slovacchia presso la Santa Sede

Quella della Santa Sede è una diplomazia “visionaria”, in grado di comprendere in anteprima i problemi del mondo. E per questo, il primo compito dell’ambasciatore presso la Santa Sede è quello di saper ascoltare, cercando di entrare in quella particolare visione del mondo che permette alla diplomazia pontificia di non guardare nell’immediato, ma in prospettiva. Parola di Marek Lisánsky, ambasciatore di Slovacchia presso la Santa Sede.

Arrivato a Roma nel 2018, Lisánsky l’1 luglio si congeda dal suo incarico di ambasciatore presso la Santa Sede. Lo scorso 26 giugno ha potuto anche salutare Papa Francesco in una visita di congedo con la sua famiglia.

In sei anni, l'ambasciatore Lisánsky ha dovuto affrontare le difficoltà del COVID, ma anche la grande sfida del conflitto in Ucraina, che ha toccato profondamente la Slovacchia. Ma ha anche potuto contribuire ad organizzare una visita papale e diverse visite di alti officiali di Bratislava in Vaticano – con quattro visite presidenziali, tre solo della presidente Zuzana Čaputova.

Sei anni da ambasciatore, quattro visite presidenziali in Vaticano, una visita papale. Il suo periodo da ambasciatore è stato particolarmente attivo.

È stato un periodo incredibile. Nonostante questi sei anni siano stati marcati anche dalla pandemia, abbiamo comunque potuto sviluppare le relazioni con la Santa Sede, che hanno una radice antica, spirituale e politica.

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Quanto sono antiche le relazioni tra Santa Sede e Slovacchia?

Vanno indietro all’era di San Cirillo e Metodio. La prima chiesa fu stabilita nell’attuale territorio slovacco nell’863.

E quali sono stati gli eventi più importanti di questi sei anni nel rapporto tra Santa Sede e Slovacchia?

Prima di tutto, la visita del Santo Padre in Slovacchia nel settembre 2021. Quando il Papa visita il tuo Paese, è un momento unico, non importa se il Papa resterà un’ora, un giorno, una settimana. Papa Francesco è stato da noi ben quattro giorni, ha visitato non solo la capitale, ma anche la zona ad Est della nazione, ha incontrato la Chiesa di rito latina e quella di rito greco cattolico, ma anche la comunità ebraica e persino la comunità rom. E poi, come non ricordare la Messa a Šastin, un momento bellissimo, nonostante fosse ancora tempo di COVID.

Ci sono state altre visite da parte della Santa Sede in Vaticano?

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in Slovacchia nel settembre 2023, per inaugurare un memoriale di San Cirillo e Metodio e San Gorazdo al Castello di Bratislava, simbolo della nostra sovranità ma anche memoria storica dei tempi moravi. È stato un viaggio secondo me molto unico, perché rappresenta sia la nostra relazione politica e spirituale con la Santa Sede, sia le nostre radici cristiane. Era la prima volta in 23 anni che un Segretario di Stato vaticano veniva in visita in Slovacchia.

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L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato invece sei volte in Slovacchia.

Quali sono stati i suoi impegni da ambasciatore in questi anni?

È stato eccezionale aver organizzato 11 visite dei più alti rappresentanti della mia nazione. Per quattro volte, un presidente ha visitato il Vaticano durante il mio mandato. La prima visita è stata quella del presidente Andrej Kiska, in visita di congedo. Quindi tre volte c’è stata la presidente Zuzana Čaputova, e uno dei primi incontri è stato complesso, perché era in tempo di COVID, il 14 dicembre 2020. Siamo stati gli unici ad organizzare una visita presso la Santa Sede.

Oltre ai presidenti, quali sono state le visite?

Per tre volte abbiamo ricevuto lo speaker del Parlamento. E la prima di queste visite, nel marzo 2019, è stata molto particolare, perché era una visita comune di Slovacchia e Repubblica Ceca, con i due speaker venuti insieme per ricordare il 1150esimo anniversario della morte di San Cirillo. Per quattro volte abbiamo ospitato un primo ministro. Tre volte abbiamo ricevuto un ministro degli Esteri da Bratislava e lo abbiamo accompagnato in Vaticano.

In questi anni, ci sono state due grandi crisi che hanno colpito il mondo e l’Europa: il COVID e la guerra in Ucraina. Quale ritiene sia stato più impattante?

Quella del COVID è stata una crisi globale, non potevamo nemmeno immaginare come affrontarla. La Slovacchia con orgoglio ha donato assistenza umanitaria ad altre nazioni del mondo attraverso la Santa Sede, cui abbiamo inviato un cargo con dell’equipaggiamento.

La guerra in Ucraina è stata un evento molto specifico. La Slovacchia, durante la prima ondata della guerra tra febbraio e marzo 2022, ha ricevuto più di un milione di rifugiati. 140 mila sono ancora nel nostro territorio, e ricevono grande assistenza e aiuto e braccia aperte, specialmente dalle organizzazioni legate alla Chiesa Cattolica – in particolare la Chiesa Greco Cattolica Ucraina, più vicina al confine – ma anche ad altre organizzazioni come l’Ordine di Malta. L’aiuto di questi ultimi è stato unico: sono stati i primi nell’arcidiocesi di Košice, sin dall’inizio, ad essere in prima linea per affrontare l’emergenza dei rifugiati.

Quanto è peculiare il ruolo di ambasciatore presso la Santa Sede?

Sono membro del servizio diplomatico da più di 25 anni, e la Santa Sede può essere definito “il monte Everest della diplomazia”, perché la visione globale della Santa Sede. combinata alla sua esperienza storica, è assolutamente unica, e non si può comparare con le altre diplomazie.

Quale è la principale differenza tra diplomazia pontificia e diplomazia classica?

Nella diplomazia cosiddetta classica, ci concentriamo sui segni dei tempi attuali e sulla risposta immediata. A volte le nostre reazioni sono aggressive perché dettate dalla necessità di reagire subito. La Santa Sede è differente. Ha un approccio più globale, guarda alle cose in prospettiva e osserva i “mega trends” del mondo globale, mostrando capacità di guardare al futuro. Ci sono temi, come il cambiamento climatico, ma anche quello dell’intelligenza artificiale anche per quanto riguarda la sua applicazione sulle armi, su cui la Santa Sede ha lavorato per anni, quando nessuno avrebbe potuto prevedere che sarebbero stati i temi del futuro. Anche l’enciclica Laudato Si è uscita prima della Dichiarazione di Parigi, segno che la Santa Sede apre argomenti visionari per il mondo globale.

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Quali sono quelli che ritiene i suoi più grandi successi da ambasciatore?

Parlerei piuttosto di momenti unici. Il primo che mi viene in mente è il funerale del Cardinale Jozef Tomko. Lo ho incontrato di persona l’ultima volta il 19 giugno 2022, gli ho mostrato una placca appena benedetta da Papa Francesco nell’udienza generale che commemorava la presenza di San Cirillo e sarebbe stata inclusa nella Chiesa di San Clemente. Mi aveva promesso che sarebbe stato presente a San Clemente il 5 luglio per l’inaugurazione della placca, ma non poté. Il suo funerale è stato un momento toccante per me personalmente. Io considero il Cardinale Tomko un padrino della indipendenza. Per quello, abbiamo voluto dargli un tributo quando il suo corpo è tornato in Slovacchia. Un anno dopo la sua morte, poi, siamo riusciti ad inaugurare nel suo appartamento, grazie anche ai buoni uffici del Dicastero per l’Evangelizzazione che ha accordato di affittarcelo, l’Istituto Storico Slovacco, che è una parte essenziale della sua eredità spirituale.

Ci sono altri momenti?

Mi piace ricordare la Messa celebrata dal Cardinale Parolin nella Basilica di Santa Maria Maggiore, in quella basilica che vide il linguaggio paleoslavico accettato come primo linguaggio nazionale della Chiesa. Parolin ha celebrato il 30esimo anniversario di indipendenza. Durante quella celebrazioni, in un mondo in crisi abbiamo dimostrato che cechi e slovacchi sono ancora vicini. Possiamo dire, scherzando, che quello tra Repubblica Ceca e Slovacchia e l’unico divorzio benedetto dalla Santa Sede.

Il cardinale Parolin ha anche visitato la nostra ambasciata, ed è un evento molto raro che il Segretario di Stato visiti l’ambasciatore: lo ritengo un segno di grande vicinanza al nostro popolo.

Slovacchia e Santa Sede, in fondo, sono molto vicini…

Infatti, non è un caso che ci fossero 5 mila pellegrini slovacchi venuti a ringraziare il Papa per la visita in Slovacchia. E poi, come non ricordare l’ultima visita ad limina dei vescovi slovacchi. Il Santo Padre è qualcosa di unico per noi. Ogni anno c’è a Roma il pellegrinaggio nazionale delle Forze Armate, che testimonia questa vicinanza.

A livello istituzionale, che passi sono stati fatti durante il suo periodo da ambasciatore?

Abbiamo adottato una nuova cornice istituzionale per la Chiesa e gli aspetti finanziari. Si tratta di un nuovo atto legale: abbiamo cambiato completamente la legge sul finanziamento della Chiesa. Quindi, l’ambasciata ha stabilito la posizione del consulente ecclesiastico.  C’è stata molta collaborazione con la sezione slovacca di Vatican News e con il Pontificio Istituto Slovacco. Era necessario anche per sviluppare la nostra eredità culturale, perché l’Istituto era l’istituzione più importante slovacca durante il periodo comunista, con il più grande archivio storico.

L’ambasciata fa molto lavoro storico…

È perché la tradizione di Cirillo e Metodio è una delle essenze della nostra statualità, si trova nella nostra Costituzione. San Cirillo e Metodio sono venuti a Roma dal nostro territorio, da Tessalonica sono venuti nel nostro territorio e poi a Roma. Il cardinale Tomko me lo faceva notare spesso. Alcuni Stati hanno, infatti, leggende all’inizio della loro storia nazionale, ma noi non abbiamo leggende, abbiamo due uomini all’inizio della nostra storia nazionale, personalità molto vere, queste sono la prima parte della catena.

Quale è l’eredità che lascia al suo successore?

Prima di tutto, un grande staff all’ambasciata e una rete di colleghi eccezionali. Poi, direi che la cosa più importante è che le relazioni con la Santa Sede non riguarda le persone, ma piuttosto una tradizione eccezionale. Riguarda la gente.

L’eredità è sviluppare dunque l’ascolto. Noi ambasciatori presso la Santa Sede siamo chiamati ad ascoltare, pensare con attenzione e osservare e chiedere su basi quotidiane. Perché in questi sei anni ho visto molti temi che magari nel nostro mondo diplomatico non erano considerati, ma che la Santa Sede teneva in grande considerazione. Non solo l’intelligenza artificiale e il cambiamento climatico, che ho menzionato. La Santa Sede guardava con attenzione all’Ucraina già prima del conflitto, c’eran molte conferenze sul tema. Ci siamo accorti solo dopo che era un punto sensibile. Detto in modo semplice: se la Santa Sede guarda in alcune direzioni, attenzione perché ci sarà qualcosa importante per il mondo.