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Il Teatro del Dramma Popolare si interroga sulla fede con la "Sfida di Gerusalemme"

Un colloquio con il presidente della fondazione ‘Istituto Dramma Popolare’ di San Miniato

Gli archivi della Fondazione Istituto dramma popola di San Miniato |  | FB/ Dramma Popolare Gli archivi della Fondazione Istituto dramma popola di San Miniato | | FB/ Dramma Popolare

E’ nel Dna del Teatro dei Cielo quella ricerca complessa degli interrogativi che scuotono le coscienze. Succede così, dal 1947 ad oggi per mano della Fondazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, oggi guidato da Marzio Gabbanini. E quest’anno, per la scena sacra di piazza Duomo, è tempo di ‘Chi sei Tu? La Sfida di Gerusalemme’, versione teatrale del diario del viaggio in Terra Santa di Éric-Emmanuel Schmitt.

Per questo tutti gli spettacoli della Festa del Teatro hanno un unico comune denominatore che, quest’anno, mette sotto la lente la fede al centro di una dura prova in un mondo di dubbi e conflitti, come ha sottolineato il direttore artistico, Masolino D’Amico: “Fra tradizione ed innovazione, questa la linea guida che ogni anno il Festival propone alternando sul palcoscenico autori registi e attori della nuova scena emergente a nomi di spicco della scena teatrale italiana. Il comune denominatore degli spettacoli del Festival di quest’anno, ‘La fede messa alla prova: una forza di pace interiore, individuale e collettiva, in un mondo di dubbi e conflitti’, trova, negli spettacoli proposti, modalità attuali di essere affrontato dando particolare spazio e rilievo alla promozione di una drammaturgia sia di autori affermati che giovani drammaturghi, di cui valorizzare creatività, capacità multidisciplinari ed espressive, volontà di innovazione”.

Quindi dal presidente della fondazione ‘Istituto Dramma Popolare’ di San Miniato, Marzio Gabbanini, ci siamo fatti raccontare il motivo per cui il teatro si interroga sulla fede: “Il Dramma Popolare, nato nel 1947 dalle macerie fisiche e psicologiche del secondo conflitto mondiale, ha inteso essere, fino dagli esordi, un teatro popolare di ispirazione cristiana alla maniera delle sacre rappresentazioni medievali, ma con l’intento di affrontare tematiche di forte attualità, legate all’evolversi dei tempi, dei bisogni interiori, dei problemi vissuti nella contemporaneità; dunque un teatro moderno, vivo e vitale, in grado di parlare all’uomo di oggi anche attraverso personaggi legati a un passato storico-letterario significativo, potenzialmente proiettati in orizzonti senza tempo, quindi anche i nostri.

Negli anni il Teatro dello Spirito ha inteso rimanere fedele a questi intenti e principi, che costituiscono valori imprescindibili, per essere voce delle aspettative più profonde, spirituali, sociali, culturali di un mondo come il nostro, bello da una parte per le tante conquiste realizzate, ma anche carico di conflitti, di angosce, di problemi irrisolti. Da qui il valore assunto dalla fede come forza individuale e collettiva che spinge ad affrontare ogni genere di difficoltà, ad aprirsi alla speranza, alla solidarietà, alla comprensione umana, alla trascendenza”.

Quali sono gli interrogativi che il ‘Teatro del Cielo’ pone in questa rassegna?

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“Nella Rassegna di quest’anno ci si interroga in quali modi la fede possa essere conseguita o mantenuta; spesso si tratta di una conquista faticosa e non semplice in un mondo quale quello attuale in cui l’umanità sembra essere alle prese con problemi di tale portata da sentirsi come sopraffatta da una sorta di impotenza, quasi di rinuncia fatalistica a cercare soluzioni, che possono talvolta apparire irraggiungibili. La fede ci chiama invece a reagire, a lottare, a confidare in Dio e negli uomini di buona volontà anche quando sembrano prevalere un acceso individualismo, la chiusura nel privato, il rifiuto dell’altro da sé”.

Per quale motivo il comune denominatore è la fede?

“Il comune denominatore degli spettacoli è la fede, sempre più spesso messa a dura prova, perché vogliamo testimoniare la sua capacità di renderci caparbi nel bene, tenaci nell’aprirci al dialogo, al confronto costruttivo, decisi nell’abbattere muri e nel creare ponti, come sostiene instancabilmente papa Francesco, soprattutto quando essa sia stata il punto di arrivo di un viaggio interiore teso a dare risposte ai tanti dubbi, agli interrogativi, alle confutazioni della ragione, costretta infine a capitolare senza per questo configgere con la fede stessa”.

La rassegna si apre, giovedì 20 giugno, con ‘Poveri noi - Storia di una famiglia nella tragedia della guerra’ di e con Silvia Frasson: perché la scelta di raccontare una storia ai tempi di guerra?

“La scelta di aprire la rassegna con lo spettacolo di Silvia Frasson ‘Poveri noi’ si lega ad un duplice intento: da una parte, quello di dimostrare come avere fede significhi nutrire ideali nei quali credere fermamente anche a prezzo della vita; dall’altra, quello di richiamarsi al secondo conflitto mondiale come specchio del modo in cui qualsiasi guerra sconvolga, rompa dal profondo la civile convivenza e distrugga con violenza quanto gli uomini hanno faticosamente costruito nella concordia. La storia di Gabriella degli Esposti, Medaglia d’oro al valor militare, eroina e martire partigiana, uccisa insieme al figlio che portava in grembo, rimanda l’immagine di una fede incrollabile negli ideali di libertà, di fratellanza, di giustizia sociale”.

Invece ‘Giobbe, storia di un uomo semplice’, in programma lunedì 1 luglio, racconta il rapporto con Dio nel dramma del dolore: quale è il filo che permette di vivere?

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“La scelta del personaggio di Giobbe diventa un ulteriore tassello nella riflessione del Dramma Popolare sul tema della fede, in questo caso messa davvero a dura prova. Giobbe è la figura biblica la cui fede in Dio rimane solida, impossibile da scalfire anche di fronte alle richieste più dure sul piano umano e affettivo. Giobbe ha tutto, a partire dal benessere economico fino a una bella famiglia, ma Dio gli chiede un sacrificio, ai nostri occhi, disumano, quello di perdere tutto, soprattutto i figli. La sua fede in Dio è dunque più forte di qualsiasi prova. Quale migliore testimonianza del potere della fede, che permette a Giobbe di superare condizioni umanamente tragiche e, in particolare, di continuare a vivere? La fede richiede dunque un totale abbandono a Dio, una fiducia smisurata in Lui”.

Dal 20 al 24 luglio la ‘Festa del Teatro’ chiude con la pièce tratta dal libro ‘La sfida di Gerusalemme’ di Eric-Emmanuel Schmitt, con la regia di Otello Cenci: quale provocazione pone l’autore?

“Il testo di Eric Emmanuel Schmitt, ‘La sfida di Gerusalemme’, rappresenta il momento culminante del viaggio del Dramma Popolare lungo il cammino della Fede. L’autore, su suggerimento della Santa Sede, compie un viaggio in Palestina, nei luoghi in cui Gesù è nato, vissuto e morto crocifisso; prima incerto, poi sempre più colpito da un richiamo, un desiderio sempre più forte di fare esperienza con tutto se stesso, anche in ascolto dei suoni, delle sensazioni, delle percezioni legate a quei luoghi, Schmitt, prima privo di fede in Dio, poi credente, si fa convinto cristiano nella scoperta di quello ‘Sconosciuto’ di cui, in maniera inaspettata, egli ‘sente’ l’odore del corpo, il suo calore; avverte uno sguardo attento, una persona invisibile di cui Schmitt percepisce la vita organica, un Dio fatto uomo che, per amore, rende capaci di amare tutti senza alcuna distinzione, in quanto tutti Suoi figli e quindi tra loro fratelli”.

Perché è sorto l’Istituto del Dramma Popolare?

“Ora si può meglio comprendere perché, nel 1947, nacque il Dramma Popolare: ridare speranza ad un intero popolo dopo il dramma della Seconda guerra mondiale, ma soprattutto aiutare a cercare risposte ai tanti interrogativi di senso che l’individuo si pone sul significato da dare alla propria vita, sul perché di tante distruzioni, esclusioni, rifiuti, sofferenze, ma anche sul valore da attribuire alla fede in mondo contemporaneo sempre più legato al consumismo, al ‘mordi e fuggi’, all’iperconnessione, ad un individualismo esasperato che sembra negare il principio della relazionalità e dell’apertura al dialogo, ma anche alla trascendenza”.