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Patriarca d’Occidente: il perché è stato riutilizzato questo titolo del Papa nell’ultimo documento ecumenico

Primato e Sinodalità nei Dialoghi ecumenici è una panoramica su tutto il dibattito ecumenico, e include una proposta concreta su come trovare le nuove forme dell’esercizio petrino

Documento ecumenico | Il documento Documento ecumenico | Il documento "Il vescovo di Roma" | Daniel Ibanez / ACI Group

Era tornato in sordina, senza alcun annuncio né spiegazione, il titolo di Patriarca di Occidente associato al Papa. E la spiegazione della scelta si trova nell’ultimo documento licenziato dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Primato e Sinodalità nei Dialoghi Ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut Unum Sint.

Si tratta di un documento dalla lunga gestazione, una sorta di sommario ragionato di tutti i dibattiti ecumenici e delle varie commissioni e sottocommissioni di dialogo che si sono stabilite e delineate in questi ultimi anni di ecumenismo, e di come il dibattito abbia avuto nuova linfa dall’idea di una forma rinnovata dell’esercizio del Ministero Petrino contenuta nell’enciclica Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II. Ma il documento prevede anche una parte finale, che ne è poi il vero cuore: 30 punti per definire le proposte concrete del dicastero per andare davvero verso questa nuova forma di esercizio del ministero petrino, e quattro raccomandazioni, che vanno dalla ricomprensione ed eventuale riformulazione di alcuni insegnamenti del Concilio Vaticano I

Senza chiedere al lettore di arrivare in fondo all’articolo per conoscere i dettagli di un documento molto lungo (151 pagine, con la prima parte suddivisa i 181 punti e la seconda in ulteriori 30, con una vasta appendice bibliografica che rimanda ai documenti),  basti sapere che le proposte concrete riguardano prima di tutto il fatto che primato e sinodalità vanno di pari passo; che il vocabolario ecumenico va chiarito e va chiarita anche l’espressione Chiesa universale; che si guardi anche ad un nuovo esercizio del primato strutturato sulla diakonia, ovvero sul servizio, guardando agli sviluppi dei cosiddetti “dialoghi della carità” o “dialoghi della vita” portati avanti attraverso la preghiera e la testimonianza comune negli ultimi anni.

Ma soprattutto, si chiede di fare una distinzione più chiara tra le diverse responsabilità del Papa, ovvero di capo della Chiesa cattolica e del suo ministero patriarcale nella Chiesa latina e il suo ministero primaziale delle Chiese alla distinzione dei vari ruoli del Papa – includendo la distinzione tra patriarca di occidente e primate della Chiesa universale -, e da un maggiore sviluppo della sinodalità nella Chiesa Cattolica alla necessità di avere più comunione conciliare tra le Chiese, come successo nell’incontro di Bari del 2018.

Patriarca di Occidente

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Ed è qui che si trova la risposta alla domanda del perché è tornato il titolo di Patriarca d’Occidente riferito al Papa. Benedetto XVI aveva fatto accompagnare la scomparsa del titolo con una riflessione del dicastero ecumenico in cui si notava che proprio il termine “occidente” ormai riguardava un fatto culturale, non più geografico, e non si riferiva solo alla Chiesa di rito latino, mentre il ministero del Papa era comunque universale. C’erano state preoccupazioni che l’eliminazione del titolo portasse poi alla considerazione di una più ampia giurisdizione papale. Ora si dà risposta a quelle preoccupazioni, in pratica ricreando una divisione tra Oriente e Occidente che forse è di difficile comprensione al mondo moderno – e basti pensare alle Chiese sui iuris di rito bizantino come la Chiesa Greco Cattolica Ucraina che ha comunque un impatto globale ed eparchie in tutto il mondo cosiddetto occidentale.

Nel suo intervento nella conferenza stampa di presentazione, il Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sottolinea che “quando Benedetto XVI ha cancellato questo titolo e quando Papa Francesco ha reinserito questo titolo non hanno commentato”, ma che comunque il Cardinale è convinto che entrambi lo hanno fatto “in rispetto ecumenico. Mi sembra importante distinguere tra dimensione patriarcale e il titolo patriarca dell’Occidente. Abbiamo la visione di dover rivedere le funzioni del primato del vescovo di Roma. Ma il titolo di Patriarca dell’Occidente è oggi un po’ difficile, perché la maggioranza della Chiesa cattolica non è più in occidente – è in America Latina, in altri continenti – e in questo senso è difficile parlare di Papa Patriarca dell’Occidente”

 

 

La preoccupazione ecumenica di Papa Francesco

Ecco, allora, che vengono connotati di nuova luce diversi gesti di Papa Francesco, perché è essenziale – si legge nel documento – evidenziare che il vescovo di Roma, che “presiede nella carità tutte le Chiese”. Per questo, il documento ritiene “è notevole che Papa Francesco abbia sottolineato il suo titolo di Vescovo di Roma fin dalle sue prime parole pubbliche dopo l’elezione”, e poi “più recentemente, l’elencazione degli altri suoi titoli pontificali come ‘storici’ (cfr. Annuario Pontificio 2020), può contribuire a una nuova immagine del papato”, mentre “allo stesso modo, alla cattedrale della diocesi di Roma è stato dato un maggiore risalto da quando i recenti documenti e la corrispondenza papale sono stati firmati da San Giovanni in Laterano, una chiesa che potrebbe giocare un ruolo più significativo anche all’inaugurazione di un nuovo pontificato”.

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Il documento lamenta comunque che “tuttavia, la terminologia utilizzata nei documenti ufficiali cattolici e nelle dichiarazioni riguardanti il ministero del Papa spesso non riflette questi sviluppi e manca di sensibilità ecumenica”.

E certo che questa preoccupazione ecumenica si è vista anche in occasione della dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede Fiducia Supplicans sulla benedizione delle persone in situazioni irregolari, che ha visto anche una reazione molto dura della Chiesa Ortodossa Copta, la quale ha sospeso il dialogo ecumenico.  Il cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede, è poi stato al Cairo per spiegare il documento.

Racconta il cardinale Koch: “Fiducia Supplicans ha creato molti problemi, pensiamo all’Africa: è la prima volta che un continente quasi intero si oppone ad un documento. Personalmente, ho ricevuto già prima di Natale una lettera del co-presidente della commissione per il dialogo Cattolico – Ortodosso Orientale, che è copto ortodosso, il quale chiedeva di discutere del tema nella plenaria e si era chiesto al Cardinale Fernandez di spiegare il documento. Non è stato possibile perché il Cardinale Fernandez era impegnato nella plenaria del suo dicastero. Si è mandata una nota scritta, ma gli orientali hanno ritenuto che la risposta non fosse sufficiente. Abbiamo parlato con il Papa, e poi si è deciso di fare passo di andare in Egitto e speriamo si possano superare  questi problemi”

 Le questioni teologiche fondamentali

Il documento serve anche a fare un po’ di storia, considerando che il lavoro sul rapporto tra primato e sinodalità è stato il focus della Commissione Internazionale Mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa dal 2006, e che è stato affrontato nel famoso documento di Ravenna del 2007 – in cui si accettò una forma di primato del vescovo di Roma, anche se poi non c’era accordo sulla definizione stessa di primato – ma anche nel documento di Chieti 2016 e poi di Alessandria 2023, in cui si cerca una lettura comune su sinodalità e primato rispettivamente nel primo e nel secondo millennio.

Tuttavia, si nota che ci sono quattro questioni teologiche fondamentali che riemergono costantemente: i fondamenti scritturistici del ministero petrino, lo jus divinum, il primato di giurisdizione, l’infallibilità. Non è un caso che il prossimo documento della commissione mista cattolico-ortodossa affronterà prooprio il tema dell’infallibilità.

La comprensione della funzione petrina

Fondamentale è, in questo senso, comprendere la funzione petrina. Dai vari dialoghi ecumenici si comprende che questo è un nodo fondamentale. Si cerca una soluzione caratterizzandola come “leadership di servizio”, alcuni dei partner nel dialogo notano che la funzione petrina non è legata a una sede o persona particolare, si nota che alcune confessioni cristiane non obiettano né con il primato del vescovo di Roma e né con il primato di Pietro, ma piuttosto nel fatto che le due figure siano fuse.

E poi, il ministero petrino è de iure divino o de iure humano. La conclusione è che entrambe le cose, cioè che il primato è parte della volontà di Dio per la Chiesa e mediato attraverso la storia umana, ma tuttavia si nota che “considerando quanto profondamente il primato papale sia stato determinato da sfide storiche, imperativi, mandati e minacce di ogni tipo (ad esempio, ecclesiali, politiche, culturali), si può e si deve fare una distinzione più chiara tra l’essenza dottrinale del primato papale e la sua contingenza storica”.

La guarigione delle memorie

Un tema imprescindibile è quello della guarigione delle memorie. Qui entra in gioco anche il Concilio Vaticano I, la sua definizione del dogma dell’infallibilità papale, e tutto ciò che ne è conseguito.

Il documento nota che “più che alla sua essenza teologica, molte ‘ferite’ potrebbero essere principalmente legate a modi contingenti di esercitare il primato, e anche a fallimenti personali”, e dunque “i documenti ecumenici chiedono una maggiore attenzione e valutazione delle condizioni storiche che hanno influenzato l’esercizio del primato nelle varie regioni e periodi”.

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In questo senso, si deve guardare al contesto in cui avveniva il Concilio Vaticano I e si sentiva l’esigenza di proclamare il dogma dell’infallibiltà – che non riguarda la persona, ma l’oggetto, perché non può essere infallibile ciò che si distacca dalla dottrina cristiana – proprio perché la stessa autorità della Chiesa era possa in questione.

Il Cardinale Koch in conferenza stampa spiega che “abbiamo già una autentica interpretazione del Concilio Vaticano I nel Vaticano II, dove il bilanciamento tra quanto detto nel Vaticano I è nel tema della collegialità”.

Per quanto riguarda il primato, Koch spiega che “il capo della Chiesa è Gesù Cristo.  Noi dobbiamo pronunciare questo primato di Cristo. Il primato nella Chiesa è un’altra cosa, e riguarda come possiamo testimoniare questo cristocentrismo. Ma il capo unico della Chiesa è Gesù Cristo”.

Un passaggio è particolarmente significativo. “Dal punto di vista ecclesiologico – si legge - il gallicanesimo ha fatto rivivere il concetto di conciliarismo ponendo l’accento sull’autonomia delle Chiese nazionali. Dal punto di vista politico, la Chiesa fu sfidata dal regalismo (un maggiore controllo statale sulla Chiesa) e dalla crescente influenza di un liberalismo anticlericale”.

E ancora, “sul piano intellettuale, il razionalismo e gli sviluppi scientifici moderni sollevavano interrogativi sulle formulazioni tradizionali della fede”.

Per questo, “in reazione a queste sfide e per contrastarle, il movimento ultramontano promosse la leadership del Papa e la creazione di una Chiesa più centralizzata, modellata sui regimi politici di sovranità contemporanei”, e così “la maggioranza dei vescovi vedeva in un papato rafforzato una protezione per la libertà della Chiesa e, più in generale, una forza di unità di fronte al mondo moderno”.

Ma l’autorità del vescovo allora? “Storicamente – si legge nel documento - la ‘Risposta dei vescovi tedeschi al dispaccio circolare di Bismarck’ del 1875 è di importanza cruciale, perché fu accolta da Pio IX, il Papa che convocò il Concilio, come sua interpretazione autentica”. Lì si legge che “ il primato giurisdizionale del Papa non riduce l’autorità ordinaria dei vescovi, perché l’episcopato si basa ‘sulla stessa istituzione divina’ dell’ufficio papale”. Mentre, riguardo l’infallibilità, questa copre “esattamente lo stesso ambito del magistero infallibile della Chiesa in generale ed è vincolata al contenuto della Sacra Scrittura e della tradizione e alle decisioni dottrinali già adottate dal magistero”.

C’è comunque una convergenza in tutti i dialoghi ecumenici, e cioè sul fatto che il dogma serve perché c’è bisogno di una autorità personale di insegnamento, poiché l’unità della Chiesa è un’unità nella verità.

Verso una Chiesa riunificata?

Come allora camminare verso la riunificazione del mondo cristiano? Si parla di guardare all’idea di “primato d’onore nella Chiesa universale” esercitato nel primo millennio dal vescovo di Rome e poi nella Chiesa ortodossa nel suo complesso dal Patriarca di Constantinopoli – incredibile a dirsi oggi, ma questa spiegazione si trova nel documento “Posizione del Patriarcato di Mosca sul problema del primato nella Chiesa universale” (2013), che esprimeva disaccordo con l’ultima parte del Documento di Ravenna”.

Pragmaticamente, si nota anche “sul crescente senso della necessità di un ministero dell’unità a livello universale”, poiché “in un mondo sempre più globalizzato, molte comunità cristiane, che hanno a lungo privilegiato la dimensione locale, sentono sempre più la necessità di un’espressione visibile della comunione a livello mondiale”.

E, sempre guardando al concreto, c’è il precedente dei canoni di Sardica, i quali “stabilivano che un vescovo condannato poteva appellarsi al Vescovo di Roma e che quest’ultimo, se lo riteneva opportuno, poteva ordinare un nuovo processo, che doveva essere condotto dai vescovi di una provincia vicina a quella del vescovo appellante”.

Sinodalità, collegialità

Nel documento licenziato oggi, si parla molto di sinodalità come una possibile via d’uscita dall’empasse del dialogo ecumenico. Il termine sinodalità – si legge - può essere usato in modo più ampio per designare la partecipazione attiva alla vita ecclesiale di tutti i fedeli sulla base del loro battesimo. È in questo “senso più ampio che si riferisce a tutti i membri della Chiesa” che il concetto viene utilizzato dal dialogo internazionale ortodosso-cattolico”.

Secondo il documento, “la riflessione ecumenica ha contribuito a meglio evidenziare che il ministero del Vescovo di Roma non può essere inteso in modo isolato da una prospettiva ecclesiologica più ampia. Nel considerare il primato, molti dialoghi teologici hanno notato che queste tre dimensioni – comunitaria, collegiale e personale – sono operative a ogni livello della Chiesa”.

Le Chiese orientali cattoliche e la sussidiarietà

Interessante notare che le Chiese ortodosse “non riconoscono l’attuale rapporto delle Chiese orientali cattoliche con Roma come un modello di futura comunione”, e questo perché alla fine temono “di essere assorbite e di perdere il potere di autogoverno”, come succede alle Chiese orientali, che mantengono la loro identità orientale e la loro autonomia all’interno delle strutture sinodali, ma che sono comunque in piena comunione con Roma. Ne consegue che non può esistere un ecumenismo in cui c’è un riconoscimento del primato tale che il Papa viene considerato come il primo, ma più probabilmente che nell’idea di unità ci sia quella di un Papa come guida di una sinassi di patriarchi alla pari con lui.

Si parla, in effetti, di sussidiarietà, che “è spesso citata nei dialoghi ecumenici come un principio importante per l’esercizio del primato”.

Il primo Millennio

Il primo millennio della storia della Chiesa, dove c’era ancora una Chiesa indivisa, è un punto di riferimento e una “fonte di ispirazione per l’esercizio accettabile di un ministero di unità a livello universale”. Le caratteristiche da seguire sarebbero, si legge nel documento:  il carattere informale e non primariamente giurisdizionale – delle espressioni di comunione tra le Chiese; il “primato d’onore” del Vescovo di Roma; l’interdipendenza tra la dimensione primaziale e quella sinodale della Chiesa, come illustrato dal Canone Apostolico 34; il diritto di appello come espressione di comunione (Canoni di 109 Sardica); il carattere paradigmatico dei concili ecumenici; e la diversità dei modelli ecclesiali.

Quali proposte concrete?

La parte finale del documento fa alcune proposte pratiche. La prima riguarda il Concilio Vaticano I, da ricomprendere o i cui insegnamenti vanno persino riformulati, perché “sono stati profondamente condizionati dal loro contesto storico e suggeriscono che la Chiesa cattolica dovrebbe cercare nuove espressioni e vocaboli fedeli all’intenzione originale, ma integrati in un’ecclesiologia di comunione e adattati all’attuale contesto culturale ed ecumenico”.

Il secondo suggerimento riguarda distinguere le diverse responsabilità del vescovo di Roma, “in particolare tra il suo ministero patriarcale nella Chiesa d’Occidente e il suo ministero primaziale di unità nella comunione delle Chiese, sia d’Occidente che d’Oriente, eventualmente estendendo questa idea per considerare come le altre Chiese occidentali potrebbero relazionarsi al Vescovo di Roma come primate pur avendo esse stesse una certa autonomia”.

È considerato anche necessario “distinguere il ruolo patriarcale e primaziale del Vescovo di Roma dalla sua funzione politica di capo di Stato”, mentre “un maggiore accento sull’esercizio del ministero del Papa nella sua Chiesa particolare, la diocesi di Roma, evidenzierebbe il ministero episcopale che condivide con i suoi fratelli vescovi e rinnoverebbe l’immagine del papato”.

La terza proposta è quella di sviluppare la sinodalità all’interno della Chiesa Cattolica, in particolare con una “ulteriore riflessione sull’autorità delle conferenze episcopali cattoliche nazionali e regionali, sul loro rapporto con il Sinodo dei vescovi e con la Curia romana”, e, più in generale, “un migliore coinvolgimento di tutto il Popolo di Dio nei processi sinodali”, in quello che viene chiamato lo spirito dello “scambio di doni”.

Infine, si deve promuovere la cosiddetta “comunione conciliare”, attraverso “incontri regolari tra i leader delle Chiese a livello mondiale, per rendere visibile e approfondire la comunione che già condividono. Nello stesso spirito, molti dialoghi hanno proposto diverse iniziative per promuovere la sinodalità tra le Chiese, soprattutto a livello di vescovi e primati, attraverso consultazioni regolari e azioni e testimonianze comuni”.

Un modello è l’incontro dei leader delle Chiese a Bari nel 2018 per riflettere e confrontarsi in modo informale sulla situazione dei cristiani in Medioriente, definito “un nuovo modo di esercitare la sinodalità e il primato”. E la preparazione del 1700esimo anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea potrebbe essere una occasione.