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Sant' Antonio protettore dei deboli

Un colloquio con Padre Antonio Ramina, rettore della basilica di Padova

Pietro Annigoni, «Sant’Antonio affronta Ezzelino», affresco, 1981, Cappella delle Benedizioni, Basilica di Sant’Antonio, Padova. |  | © Giorgio Deganello / Archivio MSA Pietro Annigoni, «Sant’Antonio affronta Ezzelino», affresco, 1981, Cappella delle Benedizioni, Basilica di Sant’Antonio, Padova. | | © Giorgio Deganello / Archivio MSA

In continuità iconografica con lo scorso anno, ed al tempo stesso calata nell’attualità, l’immagine scelta per la manifestazione antoniana di quest’anno, giunta alla sua 18^ edizione, è ancora un affresco di Pietro Annigoni custodito nella ‘Cappella delle Benedizioni al Santo’, sulla parete di destra: ‘Sant’Antonio affronta il tiranno Ezzelino da Romano’. L’opera, che guarda l’affresco ‘Sant’Antonio che predica ai pesci’, utilizzata lo scorso anno, raffigura l’incontro con Ezzelino da Romano, che si racconta essere accaduto poche settimane prima della morte del santo, secondo l’agiografia nel palazzo del tiranno a Verona nel maggio del 1231. Sebbene indebolito nel fisico e stremato nelle forze, sant’Antonio si recò a perorare la liberazione del conte Rizzieri di san Bonifacio e di altri nobili padovani catturati in battaglia durante un agguato, animato da umana solidarietà e con un’audacia quasi temeraria. Le sue parole però non sortirono effetto e fu cacciato dal despota.

Quindi il significato di questo episodio è il fil rouge della rassegna di quest’anno che guarda all’attualità: ‘Antonio difensore dei più deboli’, siano essi vittime del terrorismo o di guerre; donne maltrattate, violate o uccise dagli uomini; persone disabili o persone alla ricerca di giustizia e capaci di perdono, come ha raccontato padre Antonio Ramina, rettore della basilica di sant’Antonio da Padova:

“Molto probabilmente sant’Antonio ha capito ben presto che per cercare e incontrare Dio occorre chinarsi sui più deboli e sui più indifesi. I grandi uomini di fede lo capiscono subito: cercare Dio è impossibile se si escludono dai propri orizzonti le persone povere e indifese. Perché Dio ha cura di loro. La sua non è una scelta solo di carattere ‘sociale’, ma una scelta umana e di fede, allo stesso tempo. Gesù nel suo Vangelo ha ‘raccontato’ a tutti il volto misericordioso del Padre. Ed i primi a capirlo sono sempre stati i poveri. In questo Antonio ha cercato di seguire lo stesso stile di Gesù”.

Sant’Antonio dove trova la forza per affrontare il tiranno Ezzelino da Romano?

“Sant’Antonio trova questa forza semplicemente in se stesso, si potrebbe dire; nel senso che in se stesso ha sempre coltivato una grande amicizia e profondità con il Signore. Quando la fede diventa la ‘bussola’ e il senso della vita, allora emergono anche energie e coraggio inaspettati. Non si è più troppo preoccupati di se stessi, di perdere qualcosa; ci si sente al sicuro nelle mani di Dio, nel suo cuore. Ed allora anche le sfide che sembrano insormontabili diventano meno paurose. Sant’Antonio affronta il tiranno sapendo di non essere solo, di agire ‘per conto’ di Dio. Forse aveva anche fiducia che quel tiranno, in fondo, si sarebbe sentito toccato, mosso a cambiare. Sempre così: fede in Dio, fede nell’umano. Un unico anello”.

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In quale modo sant’Antonio era uomo di riconciliazione?

Sono tanti i modi con cui sant’Antonio ha manifestato il suo essere ‘uomo di riconciliazione’. Predicando ha toccato il cuore di molti. Le divisioni all’interno delle famiglie trovavano via di uscita e si ristabiliva nuova comunione. Anche città tra loro in lotta, a volte, ispirate dalla parola forte di Antonio intuivano che la strada migliore sarebbe stata quella di coltivare ponti, legami. Ma Antonio è stato uomo di riconciliazione anche nei confronti dei peccatori che accoglieva e ascoltava. Intuiva nel loro cuore e nel loro pentimento il desiderio di poter ripartire, riconciliati con Dio, rappacificati nell’animo. E il suo stile di uomo forte sapeva da un lato condannare con forza il peccato e la sopraffazione; dall’altro accogliere tutti ed essere mediatore del perdono di Dio”.

 Allora, è ancora possibile annunciare la liberazione?

“Sempre è possibile annunciare la liberazione. Credo che nella misura in cui ciascuno, nella propria vita ordinaria, si contrappone alle ingiustizie, agli inganni, alle bramosie di successo a scapito di altri, si sta annunciando liberazione. Non solo con le parole, ma soprattutto con la concretezza del proprio comportamento. A volte è importante anche esprimersi, a parole, contro ogni forma di schiavitù: le ingiustizie dello sfruttamento nel lavoro; le ingiustizie della violenza contro le donne; le ingiustizie contro i migranti. Sono solo alcuni esempi. Forse ci tornerebbe più comodo stare zitti, non interrogarci. E invece è importante riflettere, parlarne, capire, per poter denunciare tante forme di schiavitù e collaborare a creare una ‘forma mentis et cordis’ (‘forma della mente e del cuore’, ndr.) di persone libere e rispettose”.

Per quale motivo è importante essere ‘custode’?

“Di solito si custodisce ciò che è prezioso e ciò che è fragile. Se una cosa non è preziosa, non la si custodisce. Se una cosa non è fragile, non ha bisogno di custodia. La vita umana, la dignità delle persone, la qualità bella delle nostre relazioni: sono tra alcuni esempi, i  più alti, di ciò che è immensamente prezioso e decisamente fragile. Tutto questo va custodito. E la prima forma di ‘nemico’ da combattere, per essere custodi della vita degli altri, dei nostri fratelli e sorelle, è il nemico della indifferenza. L’indifferenza ci farebbe andare diritti per le nostre strade, ci porterebbe a non scomodarci.

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La persona che sa custodire, è innanzitutto una persona che di fronte agli altri sta ‘sentendosi in debito’, sentendo cioè che l’altro si aspetta sempre qualcosa di buono da lei. Noi siamo custodi degli altri se allontaniamo l’indifferenza e la paura, se apriamo occhi e cuore alle vite degli altri, se non giudichiamo secondo i nostri pregiudizi e se sappiamo accogliere gli altri facendoli ‘respirare’ meglio”.

Sull’esempio di sant’Antonio in quale modo i frati minori conventuali lavorano per la pace?

“Come frati minori conventuali cerchiamo di fare nostro lo stile di Antonio: Vangelo e carità. La pace si costruisce così: cercando nel Vangelo la ragione per cui vivere, vale a dire l’amore di Dio riversato su tutti gratuitamente. E avendo scoperto il vangelo come fonte di vita, si capisce che tale tesoro così grande non può essere trattenuto, ma va condiviso. Ed allora si aprono tante iniziative di carità, che nel nome di sant’Antonio sono davvero tante sparse in tutto il mondo. Non sono solo i frati conventuali a fare questo.

I frati sono solo delle mediazioni, ma la vera ricchezza è quella di tantissime persone che, pour non essendo ricche, scelgono di donare qualcosa per i poveri, per i bisognosi. E’ davvero fonte di meraviglia continua poter constatare che ci sono tantissime persone generose sparse in tutto il mondo disposte a privarsi di qualcosa per curare e soccorrere chi è meno fortunato. Noi frati conventuali abbiamo molto da imparare da tantissime persone buone e generose; e molto da ringraziare!”