“Per dar seguito e concretezza a questo impegno preso a Firenze, la Conferenza Episcopale Italiana ha proposto un Progetto, la costituzione di un Consiglio dei Giovani del Mediterraneo, composto da una quarantina di ragazzi e ragazze di 20 Paesi, dai 19 ai 27 anni di età, i quali attraverso un confronto permanente possano maturare una visione più chiara della comune realtà mediterranea e proporre idee da realizzare con il coinvolgimento di altri giovani e delle stesse istituzioni”.
Per quale motivo i giovani possono essere ‘frontiera di pace’?
“I giovani hanno strutturalmente davanti a sé il futuro. Puntano al futuro e hanno una capacità di rischiare che l’adulto ha perduto. Hanno capacità di sognare ed hanno meno pregiudizi rispetto alle differenze. Allo stesso tempo, rispetto agli adulti, sono più disponibili a mettersi in gioco per perseguire un ideale, nel bene e nel male. I kamikaze giapponesi avevano dai 17 ai 19 anni; sono state pubblicate lettere commoventi che hanno indirizzato alle loro madri, prima di salire sugli aeri imbottiti di tritolo. Giovani erano gli studenti tedeschi di Rosa Bianca, uccisi per essersi pacificamente opposti al nazismo. Sono giovani i foreign fighthers che da tutto il mondo vanno a
combattere. Giovani gli studenti di piazza Tienammen. Giovani han dato vita alle Primavere arabe; e le istanze che hanno portato nelle piazze, non sono secondarie e non possono essere cancellate, rimangono negli animi e nella cultura e riemergeranno. Con il movimento del Sessantotto, nello scorso secolo, i giovani chiedevano cose nuove perché non tolleravano l’ambiguità del potere; manifestavano contro la guerra magari senza avere un piano preciso (c’era allora il VietNam), ma promossero l’obiezione di coscienza (che oggi vantiamo, in Italia e in atri paesi) pagando spesso con le percosse o con il carcere. don Lorenzo Milani a Barbiana aveva scritto ‘I care’ sulla parete della scuola di Barbiana, dicendo che quello era il motto dei giovani americani migliori. Greta Tumberg è una ragazza dei nostri tempi; ed è giovane chi s’impegna nel salvataggio in mare di chi fugge dalle guerre, dai soprusi, dalla fame, giovani anche questi ultimi”.
In quale modo i giovani sono “pellegrini di verità e di pace”?
“Mettendosi in gioco, cercando con tutto sé stesso di camminare insieme verso la meta della pace. Non è un percorso facile, perché impone talvolta di non scendere a compromessi, di non ascoltare le sirene del potere. Per riprendere le parole di un poeta e di un mistico, amico di Giorgio La Pira, Padre Turoldo, dobbiamo dire che non è vero che oggi i giovani sono ripiegati su sé stessi e che non credono a nulla. I giovani credono alle cose vere. Durante il Sessantotto, La Pira era uno dei pochi professori che sapeva dialogare e farsi ascoltare dai suoi studenti, perché aveva capito tutto questo,
aveva compreso che i giovani vedono più lontano”.
I giovani possono realizzare il ‘sogno’ di Giorgio La Pira nel Mediterraneo?
“La radicalità dell’impegno per perseguire un sogno affascina sempre i giovani. Ma il sogno fatto insieme può diventare realtà. E nell’era atomica in cui oggi ci troviamo, la pace (era anche il sogno di Giorgio La Pira sul Mediterraneo come sul mondo) è l’unico sogno possibile che ci apra al futuro. La Pira, diceva che con la guerra muore la speranza, perché la guerra rappresenta sempre il fallimento della politica, che ha come mandato la costruzione della pace. E se la pace vogliamo chiamarla un’utopia, dobbiamo sostenere che utopia è rendere possibile il futuro probabile. Cioè, in questo pianeta interdipendente, occorre costruirla ogni giorno la pace, con tenacia, con pazienza, con impegno, con scelte responsabili, dal cortile di casa fino ai confini del mondo. Il mondo così com’è l’hanno fatto gli uomini e gli stessi possono farne uno migliore. E questo possono farlo soprattutto le giovani generazioni. E poi, tornando a La Pira, nella sua azione dobbiamo anche cogliere un fatto. Cioè, non solo che alla pace non c’è alternativa, ma che la pace conviene anche economicamente. Conviene più della guerra. Recentemente abbiamo presentato a Firenze un libro che riporta la corrispondenza tra lo statista Giulio Andreotti e Giorgio La Pira. Il
titolo del volume è preso da una lettera del Professore: ‘Bisogna smettere di armare il mondo’. Queste parole, per La Pira non erano meri desideri. La spinta che dette per la riconversione di industrie belliche in aziende a produzione civile fece sì che queste fabbriche, non solo di salvassero dalla crisi, ma sviluppassero bene, aumentando il proprio fatturato, dando lavoro”.
In quale modo la memoria può vincere l’indifferenza?
“Nel viaggio apostolico a Marsiglia, papa Francesco ha messo in guardia da l’indifferenza che insanguina il Mediterraneo. Guardare a La Pira, comprenderlo a fondo, significa anche fare un salto con l’anima. La Pira era autenticamente cristiano. Ma proprio per questo non ideologico, rispettoso di ogni percorso culturale autentico, anche se diverso dal suo. Pronto a intercettare in ciascuno le istanze del bene, del comune bene, a imparare da tutti, ma anche a riconoscere le tossine di un mondo oscuro che ci arrivano dal passato, che sono ancora diffusamente presenti nel corpo sociale e che riemergono sempre. Il tema della memoria è fondamentale. Senza memoria non si comprende la dimensione della crisi che il pianeta sta vivendo e nemmeno le potenzialità, le scelte da fare ci sono chiare. Senza memoria è difficile pensare di costruire il futuro. Questo vale per la propria storia personale e ancora di più per la nostra storia collettiva, la nostra storia umana. Sebbene il presente sia sempre altro rispetto al passato, occorre conoscere il passato per non ripetere gli errori e per cogliere il percorso virtuoso che l’umanità ha fatto. Occorre la memoria, come ancora diceva Giorgio La Pira, per fare il punto in cui si trova nell’oceano della storia la barca del mondo, sulla quale tutti stiamo navigando. Quando ci riconosciamo tutti insieme protagonisti di questa navigazione verso il porto della pace, verso il porto dell’unità che valorizza le diversità, allora l’indifferenza automaticamente scompare, emerge la fraternità”.
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