Ci sono stati molti effetti positivi. Ricordo il discorso che ha pronunciato all’Università Cattolica Péter Pázmány di Budapest, dove ha visitato il dipartimento di Informatica e Bionica. Quel discorso, concentrato sul rapporto tra fede e scienza, è stato poi oggetto di discussioni e conferenze.
È stato importante anche l’omaggio che il Papa ha reso alla memoria dei nostri martiri – omaggio che è stato preso come un incoraggiamento ad essere fedeli alla nostra eredità e di continuare nel segno di quella spiritualità che conserviamo. Papa Francesco ha parlato anche del ruolo di ponte del popolo ungherese e dei rapporti tra Oriente e Occidente. È una circostanza, questo essere ponti, che ci impone il dialogo tra queste due versioni della cultura occidentale ed europea, perché pure la cultura bizantina appartiene a questa realtà e non è pensabile nella forma attuale senza il cristianesimo.
Lei citava questo particolare ruolo di ponte della Chiesa ungherese. In che modo questo ruolo si può concretizzare in questo particolare scenario internazionale, in particolare con una guerra nel cuore dell’Europa che mette in discussione i rapporti tra Oriente e Occidente?
Noi, come Chiesa ungherese o comunità cattolica ungherese, non abbiamo illusioni di poter risolvere le grandi crisi politiche del mondo. Non pensiamo secondo l’idea della Chiesa Imperiale, una categoria che è durata dall’epoca dell’Impero Romano – cristiano fino al XX secolo. Viviamo in una posizione molto più modesta. Però possiamo rendere testimonianza della nostra fede e del messaggio cristiano anche riguardo questioni che sono collegate con la sorte dell’umanità.
Cosa si può fare dunque?
Negli ultimi decenni, abbiamo cercato di fare gesti verso i popoli vicini con i quali nella storia avevamo avuto conflitti e antagonismi. Si trattava di atti simbolici, ispirati al “perdoniamo e chiediamo perdono” della Lettera dei Vescovi Polacchi ai Vescovi Tedeschi del 18 novembre 1965. Dal 2006, dunque, cerchiamo di invitare per la festa di Santo Stefano vescovi della regione. Nel 2023, l’omelia di Santo Stefano in occasione della festa nazionale, per esempio, è stata tenuta dal presidente della Conferenza Episcopale Slovacca, l’arcivescovo Bernard Bober, e quest’anno ci sarà l’arcivescovo Aurel Percă, presidente della Conferenza Episcopale Romena. Credo che a livello di gesti e di pensiero comune sulle questioni umane siamo molto vicini ai cattolici della regione. Non si tratta di politica diretta, ma è un avvicinamento umano.
In che modo invece potete essere protagonisti del dialogo ecumenico, specialmente in questo momento in cui Oriente e Occidente sembrano essere così distanti? Addirittura, il Patriarcato di Mosca ha diffuso la definizione di “guerra santa” per descrivere il conflitto in Ucraina…
Malgrado le differenze tra Chiesa di Oriente e di Occidente riguardo l’atteggiamento verso il potere civile – un atteggiamento ereditato culturalmente – noi cerchiamo, e non senza risultati, di scoprire lo spirito del pensiero ortodosso e il messaggio che si trova nella sua eredità propriamente religiosa. Sappiamo che gli imperatori bizantini o i sovrani cristiani dei Paesi a maggioranza ortodossa e le loro rispettive Chiese sono sempre stati molto collegati, e comprendiamo questo tipo di eredità storica. Allo stesso tempo, in quello stesso contesto possiamo identificare gli elementi che appartengono allo spirito del cristianesimo.
In fondo, anche durante l’epoca sovietica, la Chiesa ortodossa, al di là del suo funzionamento pubblico, ha potuto mantenere molti valori spirituali e religiosi nel mezzo di tutte le difficoltà.
La Chiesa in Ungheria si trova al crocevia di molte culture e di molte crisi. È vicina alla Chiesa in Ucraina, è ponte tra Oriente e Occidente, è toccata anche dalla crisi in Terrasanta, considerando che l’Ungheria ospita una delle comunità ebraiche più grandi dell’Europa. Quale è la visione che si ha riguardo questa crisi mondiale?
Se la domanda comprende tutte le crisi che sono in corso nel mondo, non è un segreto che anche tra i cristiani si sentono delle voci apocalittiche. È vero che il Vangelo è stato proclamato già su tutto il mondo, però nessuno sa il giorno e l’ora della fine e quindi non possiamo scendere in speculazioni aritmetiche.
Cosa si può fare allora?
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È importante dialogare con le correnti spirituali che si trovano all’interno di diverse comunità religiose, sia con le altre confessioni cristiane, ma anche nell’Ebraismo. Possiamo da una parte scoprire l’angoscia che si trova in profondità in alcune correnti e movimenti spirituali, e dall’altra dialogare mostrando che abbiamo un buon messaggio e sottolineando che i discepoli di Gesù non devono avere paura. Si tratta di una frase pesante se le circostanze sono invece cariche di minacce e di aspetti tragici. Ma sappiamo che durante e nella profondità della crisi si può incontrare Dio. Dio va però cercato, o si deve comunque girare con gli occhi aperti verso la realtà di Dio.
Quale è il problema più attuale oggi?
È la difficoltà di ragionare liberamente e di usare la propria libertà. Nel mezzo delle grandi ondate di informazione e disinformazione, alimentati anche dalla realtà dei social media, ci si abitua a non ragionare, ma piuttosto a reagire immediatamente. L’essere umano però è capace di fare più che reagire, e questo il suo libero arbitrio. Ma per usare il libero arbitrio si deve usare anche la ragione, cioè l’astrazione e la previsione delle possibilità o delle alternative. Se non c’è una visione sul futuro, se non c’è alcun pensiero logico, il libero arbitrio ovviamente diminuisce.
E da cosa dipende questa erosione del libero arbitrio?
È soprattutto un effetto della distrazione. Sono effetti che arrivano con una forza mai immaginata, una grande quantità di informazioni audiovisive che creano dipendenza. Non a caso, alcuni Paesi cominciano a vietare o limitare l’uso di alcuni programmi per i più piccoli, per evitare la dipendenza.
Quale è lo stato della fede in Ungheria?