Roma , domenica, 21. aprile, 2024 14:00 (ACI Stampa).
Monumento della fede, importante teologo, insigne Dottore della Chiesa: è Sant’Anselmo d’Aosta del quale oggi ricorre la memoria liturgica. Le sue pagine, parole scritte nella storia del pensiero cristiano; i suoi concetti teologici, enormi graniti di marmo che oltrepassano il tempo; la sua vita, una delle più grandi testimonianze palpabili di un Dio che fin dal principio è Verbo. Verbo inteso come Parola soprattutto: ed è da quest’ultima che nasceranno, per il santo teologo, veri e propri flutti di parole incastonate nei testi che compongono la sua vasta Opera teologica. Sant’Anselmo, infatti, rappresenta una delle figure di maggior rilievo del Medioevo europeo. In Italia ha come appellativo “d’Aosta”: dalla città in cui nacque. Ma nella storiografia internazionale è conosciuto prevalentemente con l’appellativo “di Canterbury”: dalla sede episcopale che ricoprì in Inghilterra. Il santo teologo è conosciuto anche con l’appellativo “Doctor Magnificus”: “Dottore Magnifico” che riesce a sintetizzare un’intera vita dedicata prevalentemente allo studio della Parola.
“Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità poiché in nessun modo posso metterle a pari il mio intelletto; ma desidero comprendere in qualche modo la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Poiché credo anche questo: che “se non avrò creduto non potrò comprendere”. In questo passaggio, tratto dal primo capitolo del suo Proslogion - saggio di teologia che il monaco scrisse tra il 1077 e il 1078 - vi è la sintesi perfetta della questione filosofica-teologica della ragione in rapporto a Dio: è famoso binomio “fides et ratio” che vive in quest’opera e, in fondo, in tutta la sua produzione teologica. Il Proslogion è la seconda grande opera di Anselmo. Prima di questa, troviamo il Monologion, del 1076, incentrato sull’analisi degli attributi divini e sul problema di dimostrare l’esistenza di Dio non con argomenti a priori, ma piuttosto con argomenti a posteriori cioè basati su molteplici evidenze tratte dal mondo sensibile e sviluppate con procedimenti razionali.
Nel De veritate (1080-1085) viene trattato, invece, il concetto della verità e delle sue diverse applicazioni nella lingua parlata: la verità stessa culmina poi nella somma Verità, Dio. Questo testo fa parte, insieme al De libertate arbitrii e al De casu diaboli, di una trilogia dedicata ai problemi della verità, della rettitudine, del male, dell’onnipotenza divina e del libero arbitrio.
Il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e la redenzione del Verbo fatto carne sono affrontate da Sant’Anselmo in modo particolare in tre opere: l’Epistola De Incarnatione Verbi (1094), il Cur Deus homo (1098) e la Meditatio redemptionis humanae (1099-1100). Nella Epistola troviamo la risposta di Anselmo alle posizioni di Roscellino di Compiègne (1050-1125), canonico francese e filosofo, massimo esponente del nominalismo estremo. Per il canonico di Compiègne poiché in Dio vi sono tre persone ma costituiscono una sola cosa, il Padre e lo Spirito Santo si è incarnato con il Figlio. Questa conclusione per Roscellino deriva dalla dialettica, ma Anselmo la confuta sia perchè la dialettica è stata utilizzata in un modo non corretto, sia perchè in questo modo la valenza semantica delle parole viene posta al di là della prospettiva della fede per cui le verba non sono fondate sulla fides ma, al contrario, la dominano.
Nel Cur Deus homo, il santo cerca di rispondere alla domanda: perché Dio si è incarnato assumendo la condizione di uomo per poi vivere la passione e morire in croce? Era davvero necessario questo sacrificio? Per rispondere a un così importante quesito, Sant’Anselmo parte dall’argomentazione secondo cui il peccato dell’uomo ha segnato inevitabilmente il rapporto con Dio. L’opera è divisa in due parti. Nella prima, Sant’Anselmo descrive l’incapacità dell’uomo di riscattarsi da solo dalla situazione di peccato nella quale si trova. Nella seconda, viene dimostrato che, per uscire da questo stato, l’aiuto di Dio era necessario a tutta l’umanità. Ed è per questa ragione che Dio si è incarnato, assumendo la natura umana. La redenzione è possibile solo grazie all’intervento del Dio fatto uomo: egli, che ha la capacità di agire, ma non ne ha assolutamente il dovere, si fa incontro all’uomo che ha il dovere di agire, ma non ne ha la capacità.