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Aborto tra i diritti umani europei: l'Europarlamento dice sì, i vescovi protestano

Dalla Pontificia Accademia per la Vita ai vescovi di Polonia, sconcerto per il voto nel Parlamento Europeo alla vigilia delle elezioni europee

Europarlamento | Il Parlamento Europeo a Bruxelles | Alan Holdren / CNA Europarlamento | Il Parlamento Europeo a Bruxelles | Alan Holdren / CNA

Sembra che l’Europa stia vivendo sempre più il piano inclinato della cultura della morte. Dopo la Francia, che ha incluso nella sua Costituzione la libertà di abortire (il diritto all’aborto tout court non aveva trovato consenso), il Parlamento Europeo lo scorso 11 aprile ha votato una risoluzione che chiede di inserire il diritto all’aborto nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo.

La risoluzione non è vincolante, ma è stato comunque un importante test per saggiare da quale parte vadano gli europarlamentari quando si tratta di difendere la vita. Sono stati 336 i voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, una maggioranza trasversale, che dimostra anche che, al momento di votare testi intermedi, gli europarlamentari mettono da parte tutte le questioni di principio. Non ci saranno conseguenze, perché questa mozione, per diventare esecutiva, ha bisogno dell’unanimità di tutti i 27 Paesi al momento della ratifica, e alcuni Paesi hanno già fatto sapere la loro contrarietà. Ma di certo è un segno da non sottovalutare.

Si tratta di una decisione che ha creato sconcerto in Europa. I vescovi francesi avevano già detto tutto quello che avevano da dire quando il presidente Emmanuel Macron, con fare deciso, aveva portato avanti il progetto di rendere, nelle sue parole, “il diritto all’aborto irreversibile”. I vescovi della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea avevano già detto la loro in un comunicato prima del voto, e dopo non hanno mancato di rendere nota la loro tristezza per la votazione all’Europarlamento. Ma c’è stata anche la dura presa di posizione della Pontificia Accademia per la Vita, rappresentata dal suo presidente, l’arcivescovo Vincenzo Paglia. E anche l’episcopato polacco, in prima linea a Varsavia per ottenere il divieto totale di aborto eutanasico, non ha mancato di esprimere il proprio sconcerto con una nota della presidenza.

Prima di tutto, serve comprendere in cosa consiste la risoluzione. Come detto, non è vincolante. Si tratta di una sorta di parere, una modalità di fare pressione e rendere noto che un certo tema è considerato importante e prioritario dagli europarlamentari.

Il testo licenziato a Bruxelles lamenta “il regresso sui diritti delle donne”, i tentativi di “limitare o rimuovere gli ostacoli esistenti per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi e la parità di genere a livello globale, anche negli Stati membri dell’UE”.

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Gli europarlamentari chiedono una modifica dell’articolo 3 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo in cui si parli esplicitamente di una “autonomia decisionale sul proprio corpo” e all’accesso “libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari”, e per questo si invitano gli Stati membri a “depenalizzare completamente l’aborto”.

Ma c’è di più: come nell’articolo della Costituzione francese la presunta libertà di abortire nega la libertà di coscienza, anche i deputati puntano il dito sull’obiezione di coscienza, e anzi chiede di rendere obbligatori “metodi e procedure per l’aborto” nel curriculum di medici e studenti di medicina”.

C’è poi il dato politico, la preoccupazione per il “significativo aumento dei finanziamenti per i gruppi anti-genere e anti-scelta in tutto il mondo, anche nell’Ue”, e la richiesta di non finanziare più questi gruppi.

Per l’arcivescovo Paglia, la scelta del Parlamento europeo è “totalmente ideologica”, e non contempla “i diritti del nascituro”, cosa “gravissima dal punto di vista culturale, oltre che sociale”, e che prova il fatto che si vada indietro, e non avanti, sul tema del rispetto dei diritti.

Paglia ha parlato di una “mentalità individualista che non tiene conto della realtà della vita”, ha parlato di una ideologia imposta, perché “misconoscere totalmente il diritto di chi deve nascere in favore dei diritti di un altro, soprattutto se poi non può decidere nulla, è chiaro che mi pare un arretramento culturale. Su questo io non ho nessun dubbio, dovrebbe crescere al contrario. E su questo mi pare interessante anche l'ultima dichiarazione della Dottrina della fede, Dignitas Infinita, che sottolinea che la dignità infinita appartiene a tutti, nessuno escluso. Ecco perché la Chiesa deve difendere la vita: siamo contro la pena di morte, contro la guerra, contro l'aborto, contro le ingiustizie, contro l'assenza di diritti sul lavoro, l'assenza della difesa della vita anche per chi lavora in condizioni terribili. È questo quello che dovremmo noi assolutamente promuovere: la difesa della vita a tutto campo e a tutto tondo partendo da quella dei più deboli”.

L’arcivescovo Tadeusz Wojyda, presidente della Conferenza Episcopale Polacca, ha pure fatto una  dichiarazione molto forte, ricordando sia il magistero della Chiesa sia la dichiarazione Dignitas Infinita, e sottolineando l’abominio della pratica dell’aborto.

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Il presidente dei vescovi polacchi nota che “la Costituzione polacca garantisce ad ogni persona la tutela giuridica della vita (articolo 38) e tutela anche la maternità, la genitorialità e la famiglia (articolo 18). Questo è un diritto fondamentale che nessuno dovrebbe violare”.

“I bambini non ancora nati – dice l’arcivescovo Wojda - sono i più indifesi e innocenti tra tutte le persone. L'aborto rappresenta anche una minaccia per le donne e le loro famiglie, nonché per la società nel suo insieme. Costituisce una seria minaccia per la salute delle donne, causando alle madri grandi e durature sofferenze in termini fisici, mentali e spirituali”.

L’arcivescovo Wojda sottolinea l’importanza di sostenere le donne che si trovano in situazione difficile, ed esorta “tutte le persone di buona volontà a prendersi cura della vita dei bambini non ancora nati e delle loro madri e a resistere alla cultura dell'esclusione che priva le persone più indifese e deboli del loro diritto fondamentale: il diritto alla vita”.